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#IlSalotto - «Ho paura dell’abuso del controllo e ne ho fatto un libro»: Christina Dalcher racconta il suo "Vox"

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L'autrice con l'edizione inglese del romanzo
Vox, l’esordio narrativo dell’autrice statunitense Christina Dalcher, è un libro che non si dimentica, lo abbiamo già raccontato qui su CriticaLetteraria il giorno dell’uscita del romanzo. Fa male essere catapultati in un mondo dove ogni giorno le donne possono pronunciare solo cento parole, dove il lavoro e l’opinione politica sono appannaggio esclusivo degli uomini, dove il "Movimento dei Puri" ha preso il controllo dello Stato. Fa male perché fa riflettere sulla (breve?) distanza tra quella distopia e il mondo in cui viviamo oggi. E incuriosisce la gestazione creativa di quella distanza e di quel mondo: come ha fatto l’autrice a inventarlo? 
A rispondere è direttamente lei, Christina Dalcher, che ci ha gentilmente concesso un’intervista in esclusiva. Ci svela le circostanze (e le paure) che l’hanno spinta a scrivere Vox, i suoi modelli, qualche anticipazione sui progetti futuri e ci racconta del particolare rapporto che lega lei, il suo romanzo e l’Italia. Dove speriamo tornerà presto a promuovere il libro. 


In alcune interviste hai affermato che Vox non è conseguenza dell’attuale clima politico statunitense. In realtà è nato come un brevissimo racconto di 700 parole sull’afasia (e solo in seguito è diventato un romanzo). Eppure è impossibile non considerarlo un libro politico. È stato anche salutato come il romanzo del movimento #MeToo. Cosa ne pensi? Credi che il tuo libro abbia il potere di far riflettere le persone, forse di cambiare le loro opinioni - analogamente alla protagonista, che si pente della sua indifferenza nei confronti della politica e poi capisce che il tempo di agire è arrivato?
Vox è sicuramente conseguenza del clima politico, e ha a che fare con la mia personale paura dell’abuso del controllo: ogni tipo di abuso, ma particolarmente da parte di un governo o di una fazione estremista della società. Ma il libro non è stata una risposta diretta all’ “attuale” situazione politica; piuttosto direi che ho costruito una storia facendo ricorso ad aspetti della nostra attualità. 
In realtà quando ho scritto Vox mi sono chiesta: e se la cultura della vita domestica dell’epoca vittoriana ritornasse? In fondo è quello che in qualche modo è successo negli anni Cinquanta, un’epoca in cui le donne che avevano lavorato durante la seconda guerra mondiale sono ritornate a fare le casalinghe, un’epoca in cui avevano successo programmi televisivi come Papà ha ragione (Father knows best). 
Quindi Vox è un libro politico, ma preferisco pensarlo come politico in un senso più generale. A prescindere dalla realtà attuale, uno dei temi principali del mio romanzo è l’importanza di fare sentire la propria voce, usarla questa voce finché ancora possiamo. Quindi spero molto che il libro porti le persone a riflettere sui loro ruoli e sulle loro responsabilità di cittadini, di oggi e del futuro.

Foto di ©Bruce Dalcher
L’Italia (e gli italiani) hanno un ruolo importante nella tua storia: paragonata agli Stati Uniti della protagonista, l’Italia sembra la terra della salvezza e l’italiano la lingua melodiosa delle donne indipendenti. Il paragone ha sicuramente senso all’interno del romanzo, ma non per questo non stupisce il lettore italiano, dato che la situazione politica e sociale nel nostro Paese non è certo paradisiaca! Potresti dirci di più sul tuo rapporto con l’Italia e con la lingua italiana, e se ti va anche sulla tua percezione dell’Italia di oggi? 
Diciamoci la verità: nessun Paese è perfetto, nessun Paese è un paradiso o un’utopia. Ho fatto della mia protagonista una donna con origini italiane perché con la cultura italiana ho una connessione più forte che, diciamo tanto per fare un esempio, con quella norvegese. E avendo trascorso molto tempo in Italia, mi sono fatta l’idea che gli italiani siano meno repressi. Posso sbagliarmi chiaramente, è molto difficile fare generalizzazioni su qualsiasi Paese quando quel Paese non è il tuo. 
Senza avventurarmi troppo nelle politiche religiose, la mia percezione è che in Italia non ci sia quel tipo di influenza fondamentalista religiosa di certi gruppi degli Stati Uniti. Mi sembra anche che i governi italiani soffrano meno le ingerenze religiose. Quindi dovendo scrivere un romanzo su un Paese in cui l'estremismo di tipo religioso si infiltra nello Stato, allora l’Italia mi è sembrato un ottimo controesempio. 

1984 di Orwell, La fabbrica delle mogli di Levin e Il racconto dell’ancella di Atwood sembrano i modelli più evidenti del tuo libro. Come e fino a che punto ti sei ispirata a loro quando hai scritto il romanzo? Quali sono – se ne hai – gli altri modelli della tua scrittura? 
Tutta la narrativa distopica sembra condividere un tema centrale: quello di un gruppo che esercita un potere su un altro gruppo. Quindi non sorprende che Vox sia paragonato ad altri romanzi distopici, e non è un caso che i tre libri che hai menzionato sono stati tra i miei preferiti per molti, molti anni. Hanno sicuramente giocato un ruolo nella scrittura di Vox: lo ha giocato lo Stato invadente di Orwell, l’addomesticamento delle donne di Levin, l’elemento della narrazione femminile di Atwood. 
L'edizione italiana di "Vox".
Ma credo che ormai tutti sappiano che da una vita sono fan di Stephen King. E quando dico “da una vita” intendo da almeno quattro decenni. Non so dire se la scrittura di King abbia direttamente ispirato Vox, ma è possibile che leggere i suoi libri mi abbia insegnato a scrivere di tensione e di terrore. 

Tradurre un libro come Vox non è un compito facile. Ti sei coordinata in qualche modo con la traduttrice, Barbara Ronca? Dato che conosci l’italiano, qual è stato l’effetto di leggere il tuo libro in traduzione? 
Padrona di non crederci, ma non ho avuto nulla a che fare con la traduzione italiana. Penso che probabilmente sia una cosa normale per molti scrittori, anche per quelli che parlano altre lingue. Il punto è che il mio italiano è fluente, ma non è perfetto. E la traduzione è un’arte, un buon traduttore non è solamente una persona con delle competenze nella lingua di partenza e in quella di arrivo, ma è qualcuno che ha l’abilità di scrivere bene e catturare in un testo la “voce”. 
Non ho ancora letto per intero Vox in italiano, ma ho letto qualche capitolo. È una cosa abbastanza incredibile leggere le tue stesse parole tradotte, un’esperienza quasi surreale. Sono le mie parole ma non lo sono! E Barbara Ronca ha gestito la prosa magnificamente! 

Jean McClellan e la sua famiglia si prestano molto bene a essere i protagonisti di un’intera saga. Hai qualche idea a tal proposito che vuoi condividere con i tuoi lettori italiani? 
Mi piacerebbe tantissimo scrivere un seguito di Vox, possibilmente altri due libri. Penso che ci sia un sacco di margine di lavoro con Steven – il figlio maggiore di Jean – e abbastanza margine per capire quali saranno le scelte di Jean in futuro. Ritornerà negli Stati Uniti? Sarà più coinvolta? Sto anche valutando il tipo di contraccolpo culturale e politico che può avere il Paese subito dopo il Movimento dei Puri, e Jackie avrebbe sicuramente un ruolo da giocare in questo. 

Intervista e traduzione a cura di Serena Alessi 
@serealessi