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Quel podio a Città del Messico. Una scintilla per venti storie di atleti non comuni

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Abbiamo toccato le stelle

di Riccardo Gazzaniga
Rizzoli, 2018

pp. 236
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Tommie Smith è The Jet. Il promo uomo ad avere corso i 200 metri in 20 secondi secchi. Che pare una combinazione esoterica, 10 metri al secondo, e non un tempo di gara. John Carlos è più giovane di un anno ma già nelle qualificazioni olimpiche americane ha osato sfidarlo. E batterlo con un mostruoso 19,92. Che non gli è stato omologato per una questione incredibile: i chiodi sotto le scarpette. In numero esagerato per la giuria. Ma Tommie e John hanno una cosa in comune. Non se la passano bene. E il motivo è scritto nella loro pelle. Nera. La società americana di quegli anni non scherza. A ben guardare, non ha mai scherzato su questo aspetto, visto che troppi, ancora oggi, traducono una semplice fisionomia in una condanna inappellabile.

Tommie e John hanno chiesto l’esclusione dalle olimpiadi di Città del Messico del 1968 degli Stati razzisti Sudafrica e Rhodesia. Poi hanno minacciato di non partire se a Muhammad Ali non fosse stato restituito il titolo di campione del mondo di pugilato, che la federazione gli aveva tolto perché non era andato in Vietnam. Gli Stati Uniti non possono rinunciare a loro nelle gare di velocità, così le pressioni si moltiplicano fin quando i due, a Città del Messico, vanno in finale. Come da pronostico. E come da pronostico salgono sul podio. Ma nessuno aveva pronosticato i loro pugni alzati e la testa china durante l’esecuzione degli inni nazionali. La bandiera a stelle e strisce non significava altro che ghettizzazione. Tuttavia… c’è un intruso e anche questo non era pronosticato. Per di più bianco. Viene dall’Australia e come per miracolo si è piazzato secondo. Tra Tommie Smith, per l’ennesima volta The Jet, e John Carlos.
Si chiama Peter Norman e Riccardo Gazzaniga si ricorda di lui. Perché apre il suo libro con i due straordinari sprinter statunitensi ma lo chiude, e non poteva essere altrimenti, con l’atleta australiano. Se a Smith e Carlos, quando tornano in patria, la gente volta le spalle come al solito, a Norman accade di peggio. E c’entrano sempre i diritti umani.
Per scoprire come è andata, buttatevi a capofitto tra le pagine del giovane scrittore genovese che dopo “A viso coperto” torna a confrontarsi con lo sport. Ma in questo libro non ci sono i tifosi bensì i protagonisti. Di varie discipline. E di tante vicende: atleti che hanno sfidato i regimi, i pregiudizi razziali, perfino Hitler. O un destino che ha privato il corpo delle gambe. O semplicemente hanno incrociato il fato avverso nel giorno che speravano fosse della consacrazione. Come accaduto al nostro Dorando Pietri a Londra nel 1908. Lo cito perché legato a un fatto personale della vita dell’autore, riportato alla luce come una carezza trattenuta.
E perché non mettere subito in chiaro che troverete pure un “Giusto tra le nazioni” come Ginettaccio Bartali che ha salvato un numero impressionante di ebrei nel modo a lui più congeniale, ovvero pedalando, e tante donne, campionesse anche se a volte rimaste senza medaglie al collo.
Sono 20 in tutto i capitoli di Riccardo Gazzaniga, 20 come i secondi di The Jet e del suo record mondiale che ha resistito tanti anni. Non ci sono costellazioni troppo benevole, incroci di pianeti, allineamenti zodiacali, anzi le stelle voltano le spalle o al limite stanno a guardare. Generando amarezza, disillusione, rabbia e lotta. Un cocktail di sentimenti che può portare a un salto fantastico, come per Jesse Owens davanti al capo del Raich nel 1936, ma può anche ridurre vite alla schiavitù di ricordi legati a quel che poteva essere e non è stato. Ma Gazzaniga lo sa ed è proprio in questo modo che le stelle dello sport, quelle più vere perché più coraggiose, si offrono nel loro lato umano, un trucco che ce le avvicina maledettamente. Così tanto, che sembra addirittura di toccarle.


Marco Caneschi