in

#PagineCritiche - Ben oltre l’incontro: l'imperialismo identitario di Adriano Prosperi

- -

Identità. L'altra faccia della storia
di Adriano Prosperi
Laterza, 2018 (2016)

pp. 105

€ 9,00 (cartaceo)
€ 5,99 (epub)


«Ma intanto possiamo dedicare qualche osservazione al modo in cui il processo di costruzione dell’identità…» (p. 45): bisogna trasalire al cospetto della citazione, come fosse stato decifrato il codice cui sottende il saggio L’identità. L’altra faccia della storia del prof. Adriano Prosperi, edito in edizione economica da Laterza. Docente di Storia Moderna: occorrenza da non tralasciare nell’economia d’interpretazione dell’elaborato. Di qualche riga precedente l’allusione all’artificio degli artifici, il Leviatano di cui Thomas Hobbes propone il brulichio di squame nel 1651 identificando in un grumo dai lineamenti feroci la moltitudine individuale. Se il Leviatano possiede una virtù, oltre naturalmente a una rara turpitudine, è quella di erigersi a conato deliberato dalle singolarità, le quali, ponderati insieme libero arbitrio e sicurezza, si assoggettano alla rappresentazione dell’imperio erigendo un bel monumento all’autonomia decaduta. L’assoggettamento non-sottomesso genera una figura altrimenti inedita, che pur tautologica bisognerà citare: quella del soggetto.

Tale l’esordio del saggio di Prosperi, un processo di costruzione il cui riverbero nel linguaggio comune permette l’indagine sul carattere insieme artificioso e plurale della questione identitaria. Chiara la ragione per cui l’autore affidi la premessa alla stolida diceria della cronaca, ricettacolo di un’attualità così attuale da sgusciare oltre lo sguardo sin dopo l’orizzonte; una suggestione, come un sussurro che laddove scovato diviene grida: l’invito all’osservazione della questione identitaria, anticamera del sovranismo, non già come un radicamento sul territorio di individui sedentari, bensì in un nomadismo dal passo imperiale e lo strabismo del colono.

La terza regione del primo capitolo, Centomila, - le prime due hanno naturalmente in insegna Uno e Nessuno -, ben segnala il volto dell’identità collettiva 
come oggetto di costruzione per via di eredità familiare e ambientale, ma anche di persuasione, di propaganda aperta o occulta, di imposizione violenta (pp. 35-36),
dove siano da una parte annientati gli aneliti di perorazione muscolare dell’identità (biologica o sovrana che sia), dall’altra osservate le interferenze in forma di dominazione di una collettività su un'altra. L’incontro è spesso uno scontro; è necessario che qualcuno soccomba all’ordine naturale altrimenti inedito. L’evocazione terminologica di Prosperi è poderosa: il «disciplinamento», il quale 
ha investito i popoli coloniali ma anche quelli europei: ha avuto l’aspetto della propaganda e della persuasione, ma anche quello dell’imposizione dura e violenta (p. 43).
Se già il celebre Storia e geografia dei geni umani a cura di Luigi Luca Cavalli-Sforza (Adelphi) segnalava nel nomadismo la maggior virtù di cui potessero fregiarsi i gruppi sociali, facendo delle popolazioni genetiche un affare da tassonomisti, è nella natura profondamente dialettica che il saggio di Prosperi ritrova tesi predominante, un rovesciamento sotto il cui agone manifesto ribolle la natura del Valore che dice “buono” e “cattivo”; “civile” e “da civilizzare”. Tanto si potrebbe saccheggiare in merito dall’opera di Friedrich Nietzsche che appena sarà citato un brano della Genealogia della morale (F. Nietzsche, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, a c. di G. Colli – M. Montinari, Adelphi): 
I due valori antitetici […] hanno sostenuto sulla terra una terribile lotta durata millenni; […] ancora non mancano luoghi in cui si continua con esito incerto a combattere questa battaglia.
L’avvento della civiltà, dell’ordinamento sociale, permette il sistema entro cui può evocarsi la distinzione: non ha cominciato forse il buon uomo naturale che solca le spiagge dell’isola a vantare decorazioni identitarie l’istante dopo che l’europeo l’ebbe battezzato “Venerdì”?

«L’assenza di identità può essere il risultato di un rifiuto deliberato o di un abbandono forzato» (p. 32), conferma Prosperi: l’identità assente è pur sempre un’identità. Lo scambio che l’Europa intesse con le altre civiltà (o civiltà altre?) è allora quella di osservare i fenomeni di acculturazione come «uno scontro duro e sanguinoso» (p. 66), al cui esito la cultura europea ha tratteggiato su un marmo altrimenti poligonale i lineamenti della natura umana, soffiandole «valori universalistici» (p. 67); sia pur di alterità. Per tale ragione, dunque, l’indagine storiografica si erge a sguardo privilegiato attraverso cui interrogare le modificazioni, a volte repentine, molto più spesso sordide e pigre, degli avvenimenti. L’invenzione del passato, sistematicamente adottata dagli storici, interpreta la dialettica tra le civiltà. 

Antonio Iannone