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Capire la finanza, amarla e vivere felici? Marco Onado ci spiega come, in compagnia dell'homo oeconomicus-cinematograficus

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Prendi i soldi e scappa.
La finanza spiegata con il cinema
di Marco Onado
Laterza, 2018

pp. 179
€ 16,00 (cartaceo)

Si può imparare a non preoccuparsi e ad amare la finanza? La domanda, che nel sostituire la disciplina economica alla minaccia nucleare fa il verso al sottotitolo di uno tra i più noti e amati film di Stanley Kubrick (Il dottor Stranamore, del 1964), ha una risposta meno retorica del previsto. O, perlomeno, è questa la prospettiva da cui guarda alla questione Marco Onado, autore per Laterza di un libro fresco di stampa e dal titolo ammiccante – Prendi i soldi e scappa (citazione letterale di un altro film di culto, girato da Woody Allen nel 1969) – tutto incentrato sul rapporto tra cinema e finanza. Meglio: sulla finanza spiegata attraverso il cinema. 

Già autore per la stessa casa editrice di I nodi al pettine. La crisi finanziaria e le regole non scritte (2009), il docente universitario e giornalista ha concepito il volume come una visita guidata nel mondo di banchieri, investitori, risparmiatori, speculatori e broker di borsa attraverso le immagini – e dunque l’immaginario – che di esso, nel tempo, ci ha restituito la settima arte. L’accento sui personaggi non è casuale, si badi: perché è proprio attraverso le loro storie – vere o verosimili, ispirate a fatti reali o del tutto inventate – che viene aperta una via d’accesso a un ambiente di cruciale incidenza sul nostro quotidiano, eppure percepito dai più  (e a ragione) quale autentica stanza dei bottoni. Onado ne è ben consapevole, e lo annuncia già in apertura:
«diversamente da altre tecnocrazie, la finanza tocca la vita di ognuno di noi e tutti i giorni, ma è avvolta da una duplice cortina. La prima è la complessità tecnica, forse superiore a quella di altre parti dell’economia; l’altra è la spiccata tendenza all’autoreferenzialità dei suoi adepti».
Quale chiave di accesso migliore del cinema, dunque? L’arte del grande schermo, nel suo essere popolare per eccellenza e per vocazione, diventa così un vero e proprio strumento conoscitivo, capace, se non di annullare, almeno di ridurre le distanze rispetto agli addetti ai lavori e ai loro segretissimi uffici: tutta l’astrattezza di formule e strategie si incarna nei corpi e nei volti di attori e attrici che, nei rispettivi ruoli, hanno a che fare con gli oneri e gli onori della gestione del denaro, e che, nel loro agire, dimostrano come capitali, guadagni e interessi (e il loro contrario) abbiano importanza solo se messi in relazione con esseri umani la cui vita ne può trarre vantaggio o svantaggio. Come spiega Onado, il cinema
«guarda alla moneta e alla banca attraverso i personaggi dello schermo, quindi con gli occhi di gente come noi che entra in contatto ogni giorno con le banche e i servizi che esse offrono. Questa prospettiva ci offre almeno tre vantaggi. Rende più semplice superare le mille tecnicalità che chiudono la finanza in un castello apparentemente inespugnabile. Ci mostra che l’homo oeconomicus, così freddo e astratto nella rappresentazione della letteratura specialistica, è fatto di carne, ossa e sentimenti non sempre nobili e talvolta anche sordidi. Infine ci fa capire che, come tutte le tecnocrazie, la finanza può risultare incapace di controllare i processi che essa stessa ha creato».
In dodici capitoli e poco meno di centotrenta film citati, l'autore riesce a toccare tutti i miti, gli idoli e gli stereotipi dell’economia e della finanza, aiutato da uno stile brillante e una cinefilia più che evidente: ci sono banche da rapinare fino all’ultimo spicciolo o a cui voler bene come grandi mamme; c’è il denaro in ogni sua forma e versione (da quelle per così dire vintage a quelle più contemporanee); c’è la malapianta della speculazione innaffiata dalla sorgente perenne dell’avidità; e ci sono soprattutto gli spettri dei crack e dei default, più le conseguenze di una crisi che, nel non avere ancora esaurito la sua carica di negatività, continua a ispirare trame e intrecci di storie sempre più drammaticamente comuni.

Pur nella chiarezza delle sue spiegazioni, Prendi i soldi e scappa non può certo sostituire un percorso di studi pluriennale nel settore economico, e nemmeno si propone di fornire al lettore quegli strumenti interpretativi professionali che solo anni di esperienza sul campo e un aggiornamento costante e continuo permettono di acquisire. Il suo scopo, dunque, non è quello di proporsi come bignami di una materia impegnativa ma declinata, per maggiore diletto di chi legge, in chiave ludico-cinematografica. Nessuna illusione: l’argomento, al di là di ogni appassionante fiction su di esso incentrata, e nonostante l’aiuto di un Glossario minimo e una Bibliografia di riferimento in coda al volume, si conferma ostico e tecnico, proprio come da reputazione. Se i conti, alla fine, tornano, - se il libro, cioè, si legge che è un piacere - è perché anche lì, in una terra di nessuno animata da cifre a innumerevoli zeri e inaccessibile ai più, il cinema è riuscito a fare un altro dei suoi sofisticatissimi nidi. Non a caso, uno dei più redditizi.

Cecilia Mariani


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