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Non si può nuotare a pugni chiusi; tutt'al più si combatte

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E venni al mondo
Barbara Buoso
Apogeo Editore, febbraio 2018

pp. 141
€ 15,00 


Mauro si sente una donna intrappolata nel corpo di un uomo. Marzia sopravvive lavorando come proiezionista di film in un piccolo cinema-teatro, fino a quando lo tzunami del cancro non andrà a intaccare la sua quieta stabilità. Nessuno dei due, né Mauro né Marzia, vive la vita che desidera, ed entrambi sono vittime inconsapevoli di loro stesse. Solo quando si emanciperanno dalla condizione di vittime diverranno i veri protagonisti della loro esistenza. La sinossi del libro di Barbara Buoso è promettente, è ambiziosa e al contempo “moderna”. La scrittrice si assume il difficile compito di porre l'attenzione su tre grosse tematiche assai delicate, una che tocca il disturbo di identità di genere, l'altra l'omosessualità e infine una malattia spietata, come è quella del cancro.
Avrebbe avuto una vita difficile quel ragazzo, la gente non avrebbe capito, non lo avrebbero compreso, nemmeno lei lo era stata. Si era sposata perché si doveva, non che Mauro fosse un amore minore, Dio solo sa quanta gioia aveva provato ad averlo messo al mondo, ma era un ragazzo fragile e delicato come i fiori dei papaveri che, appena toccati, si innervavano di un nero dolente ripiegandosi su se stessi.

Non importa che se ne parli bene o male, l'importante è che se ne parli” sosteneva a grandi linee Oscar Wilde. E se su diversi fronti si può anche appoggiare tale convinzione, per altri è bene procedere con cautela. Dietro l'angolo si può nascondere una buccia di banana intrisa di stereotipi e di errata informazione che porta a un irreparabile scivolone colmo di banalità e di beceri luoghi comuni, figli diretti del “sentito dire”. Affrontare certi argomenti in poche pagine è come porre grandi bicchieri di cristallo in un piccolo vassoio e cercare di fare lo slalom con eleganza, sinuosità e delicatezza tra i tavoli da scansare, dove i tavoli sono le ovvietà da evitare. 
Da un lato si parla di Mauro, un ragazzo particolarmente legato alla mamma che, per evadere dal rifiuto costante e aggressivo del padre, si prostituisce e pubblica annunci per adescare clienti e dall'altro si parla di Marzia che, dal rapporto contrastante con la madre, non appena quest'ultima viene colpita dal cancro, costruisce un lieto rapporto fondato sulla menzogna. Marzia non metterà mai al corrente la madre delle sue reali condizioni - terminali - di salute e farà in modo che la mamma veda soltanto film a lieto fine per farle trascorrere l'ultimo periodo di vita rimastole spensierata. Infine vi è l'omosessualità latente, non riconosciuta, ma rinnegata per paura. 
A volte è solo questione di equilibrio tra sensibilità e conoscenza di un dato argomento a fare la differenza.
Lodevole è l'accenno alla rivoluzione apportata quarant'anni fa dalla Legge Basaglia, grazie alla quale Mauro, uno dei due protagonisti della storia, non andrà in manicomio per volere del padre. Il padre Carlo infatti si fa portavoce tra le righe dei tempi bui in cui ancora si credeva che alcune scelte individuali potessero essere segno di follia, devianza o peggio di una malattia.
La storia però stava sbeffeggiando Carlo: gli Istituti che promettevano di ospitare questi ragazzi per farli guarire dalle devianze stavano chiudendo tutti, uno alla volta, si parlava di un rivoluzionario, tal Franco Basaglia, che apriva i cancelli di tutte le strutture dove prima queste persone venivano rinchiuse. Mauro non sarebbe stato allontanato e quando lo seppe, dalla felicità, scrisse una poesia che regalò a sua madre e che volentieri avrebbe spedito al dottor Franco Basaglia, se solo avesse avuto l'indirizzo.

Ed è altrettanto lodevole che si metta in luce come un tempo, tra le difficoltà della terra, tra la dura vita dei contadini e alcune volte tra la condizione di ignoranza (dettata purtroppo dalla povertà e dalle esigenze familiari), si celasse la felicità della semplicità, dei valori e delle piccole cose. Tuttavia la terra diventa anche metafora del passato, trappola irrazionale di cui l'uomo è solito divenir preda, privandosi della naturale evoluzione.
È menzionata anche la speranza, l'ultimo incandescente miraggio dei malati terminali, predisposizione innata nell'essere umano che secondo il filosofo Nietzscheè il peggiore dei mali, perché prolunga le sofferenze degli uomini”.
Tutto è descritto in buona fede, è chiaro. Vi è la lapalissiana intenzione di provocare reazioni nel lettore, di farlo entrare in empatia con i due protagonisti.
I protagonisti sono due persone che inseguono la loro strada, che cercano uno disperatamente, l'altra oniricamente, di essere semplicemente se stessi, di venire al mondo con tutte le implicazioni che comporta esporsi ed essere liberi dalle catene dei pregiudizi e dalla macchina del fango azionata dalla gente.
Voleva solo essere se stesso anche se questo significava essere diverso da tutto ciò che conosceva. Proprio per questo voleva che la sua presenza fosse lieve.
[…] Aveva finalmente intravisto se stesso e la possibilità, un giorno, di potersi truccare gli occhi e anche di vestirsi da donna senza timore di essere considerato matto. Sarebbe stato bello come sua madre, un giorno, ma sarebbe stato sempre anche suo figlio.
Era strana la vita, pensò Marzia quando lo incontrò al cinema col sacchetto di locandine in mano, io sono qui che faccio carte false per fare sperare mia madre, e c'è chi, invece, muore ogni istante per colpa dei ricordi.

Mauro e Marzia sono forti, hanno tutti gli strumenti per venirne a capo, ma devono seguire il percorso obbligato della consapevolezza e della maturità per potersi salvare dalle insidie e dalla viscosità che la vita stessa ci fornisce.
Lo stile è scorrevole, sapientemente dosato tra citazioni di opere teatrali e di libri e tra modi di dire e proverbi espressi in vari dialetti italiani, spesso non così decifrabili.
Barbara Buoso, insegnante di scrittura creativa alla Scuola di scrittura Virginia Woolf, disegna in questa storia un tracciato mirato, ben studiato, che poggia le basi sulla volontà di trattare questioni scottanti, contemporanee portate avanti con le certezze narrative che sono solite ammaliare il lettore medio. Una lettura comunque consigliata poiché suscita empatia, rispetto e voglia di riscatto. L'arcobaleno esibito però è sbiadito, è blando ed è carente da un punto di vista argomentativo, così come il fiocco rosa è una spilla staccata dall'indumento. 

Alessandra Liscia