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"Fisiologia dell’impiegato" di Honoré de Balzac

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Fisiologia dell’impiegato
di Honoré de Balzac
Elliot, 2018

Traduzione di Marco Diani

pp. 92
€ 12,50


Breve e graziosa è la trattazione della figura dell’impiegato e della classe burocratica del primo Ottocento in Francia. Attraverso 14 capitoletti, deliziosamente impreziositi dalle sagaci e ben eloquenti illustrazioni di Trimolet, Balzac definisce il ruolo e lo status dell’impiegato, dandone una precisa connotazione: “un uomo che per vivere ha bisogno dello stipendio e che non è libero di lasciare il proprio posto perché non sa fare altro che maneggiare scartoffie”.  

L’autore racconta dell’impiegato di città, che vive a Parigi e lavora per lo Stato. Ne declina forme e fattezze, varietà e tipologie, ceto e rango. 

“Il libro tratta esclusivamente questa classe di pennigeri, l’unica in cui siano visibili, manie, usanze, istinti che fanno di quel mammifero pennuto una creatura strana, capace di dar vita a una fisiologia, termine che significa: discorso sulla natura di qualcosa”.  
Nella piramide umana del mondo dei burocrati, il settimo assioma recita: “l’impiegato di provincia è qualcuno, mentre l’impiegato parigino è qualcosa.”
Nel disseminare nel testo i suoi assiomi, Balzac compone un mosaico di tasselli che espongono enunciati e massime sulle figura dell’impiegato:  
“oltre i ventimila franchi di stipendio non c’è più impiegato”.
“In un paese dai tre poteri si può scommettere mille contro uno che un impiegato senza protettori non farà carriera”.
In una formidabile ideazione di immagini, l’autore affresca le differenti sfaccettature dell’uomo parigino in un susseguirsi di caratteri con specifiche personalità, dall'impiegato letterario a quello sgobbone, da quello adulatore e quello accumulatore, da quello povero a quello usuraio, mettendo in scena una caleidoscopica amalgama di generi e di tipi, che quotidianamente sono alle prese con incarichi e mansioni.

Tra grottesche frenesie e indolenti capricci si manifestano, in un intreccio di modi e di consuetudini, gli animi e i temperanti dei diversi funzionari: 
“L’impiegato è di due sole specie: celibe o coniugato. Il celibe è di solito un cattivo impiegato e si distingue nettamente dallo sposato. È pieno di debiti e non è pulito e in ordine come l’altro. Quasi sempre quest’ultimo decide di far carriera nell'Amministrazione e di rado si dimette. Su cento impiegato celibi quaranta lasciano invece il posto. Il celibe è in balia di influssi che lo fanno mutare mentre il coniugato dà retta a una voce sola”.
Luogo principe dell’impiegato è e rimane l’ufficio, del quale Balzac descrive con dovizia di particolari l’arredamento e il mobilio, non tralasciando nemmeno il colore dei tendaggi e suddividendolo a seconda del ruolo ricoperto dall'impiegato – scrivano, sottocapo, capoufficio, capodivisione – difatti, come in una “macchina”, la categoria viene divisa tra coloro che fanno parte degli “ingranaggi” e quelli invece che ne sono i “motori”.
“L’arredamento degli uffici, volendo, potrebbe rivelare al postulante che osserva o è osservato le peculiarità degli abitanti: le tendine possono essere bianche o colorate, di cotone o di seta; le sedie di ciliegio selvatico o mogano, rivestite in paglia, stoffa o marocchino; la tappezzeria è più o meno recente”.  
Ma l’autore dell’ufficio ne fornisce anche un tratto sensoriale, dove il soffitto diventa cielo, l’aria è nella polvere delle carte e gli odori, che si propagano in camere senza ventilatori, si sprigionano dagli inchiostri delle penne.

Il testo, mai noioso, è costruito con spirito ingegnoso e acuto, maniacale è la cura dei singoli dettagli e degli ambienti. I ritmi narrativi sono sottolineati dai mutamenti tipografici, come il corsivo per l’enunciazione degli assiomi o il maiuscoletto per i titoli e i proclami, mentre gli effetti iconici  sono ottenuti giocando con le illustrazioni, ma non manca neanche un capitolo con un’Invocazione e una nota finale con tanto di Morale della presente fisiologia, tutta da leggere, e relativa: PROPOSTA. 

La babelica attenzione e la vivace curiosità verso l’uomo e le sue molteplici sfumature ci regalano un ritratto ricco di declinazioni e di straordinarie trame espressive in un labirinto di dense e complesse rappresentazioni, una sorta di macchina sprigionatrice di profili umani.
Attraverso variopinti orditi, Balzac inscena, in una convulsa società, nature di una straordinaria lucidità, dove attori e comparse lavorano all’interno dell’imponente sistema della burocrazia.
Con poliedrico e originale talento, fotografa gli accenti di una realtà che si palesa tra tediose gerarchie e polverose carriere, riunendo fatti e personaggi in una narrazione costellata da segni precisi e minuziosi, frutto di una non comune capacità di osservazione e di una rigorosa capacità nel costruire storie. È artefice di una ricerca peculiare e metodica in cui ogni testimonianza si sposa perfettamente alla propria etichetta. Un traduttore formidabile di sequenze, in cui fonde visioni e rivelazioni in una miscela eclettica di motivi, che restituiscono tracce nitide di un tempo e di una società.

Silvia Papa