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#CriticARTe - Un principe in frac: Il lato privato di Totò

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La locandina dello spettacolo.
Un principe in frac
di Aldo Manfredi
(prodotto dalla Alfiere productions di Daniele Urciolo)

Non credo che esista un italiano che nell'udire il nome di Totò non senta spuntare un sorriso sulle labbra, ricordando le gesta recitative di quello che è stato uno dei comici maggiormente rappresentativi del nostro Paese.

Ma quanti possono dire di conoscere allo stesso modo i risvolti privati del comico napoletano? Quanti sanno della malinconica umiltà che si celava dietro le smorfie buffe del "Maestro della risata"?

Con lo spettacolo teatrale Un principe in frac il regista nolano Aldo Manfredi si pone proprio l'intento di svelare l'uomo e non il comico, la persona e non il personaggio di Antonio De Curtis, e lo fa grazie ad un cast di attori giovani ma assai talentuosi, a cominciare dal salernitano Yari Gugliucci, interprete di grande sensibilità artistica, il quale ha dichiarato:
"Per me è un onore interpretare Antonio De Curtis. Ho accettato la sfida perché si parla della persona, non del personaggio. Totò è inimitabile. Antonio era un uomo sensibile e generoso ma, come tutti gli uomini, ha anche sofferto".
A cinquant'anni dalla morte di questa maschera straordinaria, la sua fama pare finalmente essere stata riconosciuta anche fuori dai confini nazionali, tanto che il 25, 26 e 27 agosto lo spettacolo scritto e diretto da Manfredi ha debuttato al Festival di Edimburgo, per poi proseguire il suo viaggio in terra nostrana il 10 ottobre al Teatro Troisi di Napoli (dove ha conquistato anche l'esigente pubblico partenopeo) ed il 12 novembre al nuovo Teatro Orione a Roma.

Alla recitazione si alternano danza, video e musica, rendendo piacevoli e appassionanti le vicende private del principe De Curtis e attualizzando il lato umano di un uomo che, oltre ad essere un abile comico, compositore e cantante (divertente la scena nella quale Totò intona alcune note di "Miss...Mia cara miss"), ha vissuto numerosi drammi privati, a cominciare dal mancato riconoscimento del padre, al suicidio di Liliana Castagnola, una donna amata profondamente, e alla perdita del piccolo figlio Massenzio, figlio dell'adorata Franca Faldini.

Oltre alla prova recitativa di Yari Gugliucci, meritano di essere menzionati anche Giuseppe Abramo, Francesca Romana Bergamo, Gianluca D'Agostino, Giulia Carpaneto, i ballerini Doriana Barbato e Emilio Caruso, che tutti insieme contribuiscono a restituire la figura di un individuo malinconico e disilluso, che dalle profonde sofferenze ha tratto la linfa per le sue risate ed ha incantato generazioni che nelle avventure tragicomiche di Totò si riconoscevano e continuano a farlo, perché tra le sue "bazzecole, quisquilie, pinzellacchere!" si vedono riflessi.
Una scena dello spettacolo, con gli attori che interpretano Totò e Oriana Fallaci.

In questo spettacolo così particolare non vi è il tentativo di stravolgere un personaggio amatissimo ed immortale del nostro cinema e teatro, ma quello di avvicinarsi con rispetto al principe Antonio De Curtis, il quale si distaccava dal sorriso della sua Maschera, ammettendo:

"Il mio più bel titolo resta Totò. Con l'altezza imperiale io  non ci ho fatto nemmeno un uovo al tegamino, con Totò ci mangio dall'età di vent'anni".
E cosa resta, dunque, a coloro che hanno amato Totò? Cosa lascia a quanti ancora oggi vogliono approcciarsi all'arte in ogni sua forma? Forse il suo lascito più prezioso risiede nelle parole che lui stesso, ormai anziano e quasi del tutto privo della vista, ha speso nell'intervista con Oriana Fallaci, mirabilmente portata sul palco dal regista, forse il momento più autentico dell'intera rappresentazione, parole che fanno comprendere il significato di una vita spesa al servizio del pubblico, con la capacità di tramutare il dolore nell'ennesima maschera, le sofferenze in atti di autentico coraggio artistico come solo i grandi artisti (di più, i grandi uomini) riescono a fare:
"Forse vi sono momentini minuscolini di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza".

Ilaria Pocaforza