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Libera arte in (non) libero Stato: L'arte nella tempesta di Tzvetan Todorov

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L'arte nella tempesta.
L'avventura di poeti, scrittori e pittori nella rivoluzione russa
di Tzvetan Todorov
Garzanti, 2017

Traduzione di Emanuele Lana

pp. 235
€ 22 (cartaceo)

A cent'anni di distanza dalla rivoluzione d'Ottobre non è più lo stesso. Non che gli artisti abbiamo vinto un confronto politico. Questi due gruppi non appartengono al medesimo ordine (per usare l'espressione di Pascal). I detentori del potere sono capaci di annientare quelli che vogliono sottomettere, ma non hanno alcuna presa sui valori estetici, etici, spirituali, provenienti dalle opere prodotte da questi artisti (o da altre fonti). Senza queste opere l'umanità non potrebbe sopravvivere, né allora né oggi. E qui il trionfo dei fragili eroi del nostro racconto
Così si chiude il, formidabile, ultimo libro di Tzvetan Todorov, edito da Garzanti con il titolo L'arte nella tempesta. Parole gravide di significati e significanza, per usare termini cari allo stesso autore, e che rappresentano un vero e proprio insegnamento, ahinoi purtroppo oramai postumo, per le future generazioni.
Nell'anno del centenario della Rivoluzione d'Ottobre il pensatore originario della Bulgaria e naturalizzato francese realizza un'opera per certi versi eccentrica rispetto alle varie celebrazioni (e volumi critici) sul dato evento storico e dall'altro perfettamente in linea con il proprio pensiero. Egli non pone al centro del ragionamento i dati storici e i grandi personaggi politici e militari del 1917, bensì focalizza l'attenzione sugli artisti che, partendo dalle avanguardie di inizio secolo, si trovano, come il resto della popolazione russa, nel bene e nel male, travolti dalla rivoluzione. Andando ad analizzare i singoli episodi di questi autori, non nel dettaglio ma fornendo uno "sguardo d'insieme", Todorov pone all'attenzione del lettore, in più riprese, come, praticamente in ogni caso, l'artista, nonostante tutti i tentativi di adattamento e camuffante possibili, finirà per venire schiacciato sotto il pesante "stivale" dello Stato totalitario bolscevico.

Nella prima parte de L'arte nella tempesta le parabole biografiche di, solo per citarne alcuni, Bulgakov, Pasternak, Cvetaeva e  Mandel'štam, Ėjzenštejn si traducono in un susseguirsi di sconfitte per questo artisti, che si ritrovano tutte le volte perdenti, sempre più perdenti nei confronti dello Stato da cui, in una sorta di macabro tiro alla fune, sono da un lato foraggiati con elargizione di risorse finanziarie e di ruoli e dall'altro lato osteggiati e talvolta messi sotto accusa dal Ministero della Censura. Così scrive Todorov su Mandel'štam:
Sente il dovere morale di assumere il proprio ruolo di poeta, che per lui comporta la rivelazione della verità. Atto morale più che politico, che ricorda l'intransigenza dei martiri cristiani all'epoca dell'impero romano, consapevoli che la confessione della propria fede costerà loro la vita, ma che non possono impedirsi di proclamarla ad alta voce.
Solo una manciata di anni prima, i poeti, gli scrittori, i registi e gli artisti in genere avevano salutato, quasi tutti in modo uniforme e compatto, in modo positivo la temperie rivoluzionaria. Eppure il pensatore bulgaro insinua un inquietante dubbio a proposito di quella, quasi cieca, adesione:
In Russia, negli anni che precedono la prima guerra mondiale, un atteggiamento avanguardista caratterizza pittori, poeti e uomini di teatro. In generale (ma esistono eccezioni) questi avanguardisti  si considerano rivoluzionari, ciascuno nel proprio ambito, e provano una forte simpatia per la rivoluzione sociale e politica, anche se non vi prendono parte. In altre parole, credono in una stretta parentela tra rivoluzione artistica e rivoluzione politica, come scrive per esempio Bely nel 1917: "Il rivoluzionario e l'artista sono uniti dalla fiamma del loro entusiasmo"
Peccato che le autorità sovietiche, praticamente all'indomani della presa del potere e, in modo ancora più netto, nel momento in cui Stalin raggiunge la leadership del Partito, non credono in questa diretta comunanza e corrispondenza tra rivoluzionari de facto e rivoluzionari nel campo dell'arte: per loro i secondi sono utili soltanto come strumento dei primi, per la propagazione dell'idea rivoluzionaria e l'indottrinamento delle masse. Questo è quello che pensa l'organizzazione dello Stato Totalitario. Per questo gli artisti e i poeti sono spesso condannati per le loro opere, che non rispondono, a detta delle autorità, "ai veri valori rivoluzionari". 

Todorov è abile, abilissimo, infarcendo la narrazione anche di propri pensieri e fatti biografici (in quanto la sua famiglia lascerà la natia Bulgaria, entrata nella sfera di influenza sovietica, per la più libera e ospitale Francia), nel tratteggiare le fasi del rapporto tra artisti e rivoluzione: si passa dalla prima fase che potremmo definire di "innamoramento", ad una fase intermedie in cui s'insinua la "paura" che alle autorità non interessi più di tanto l'arte e, infine, si approda alla terza fase del "terrore". Accuse, infamie, embarghi alle pubblicazioni, processi, imprigionamenti e condanne a morte: a questo andavano incontro gli artisti che non "marciavano allineati e coperti" nella Russia di Stalin.

Come simbolo di quest'impari lotta tra potere e arte viene scelto da Todorov Kazimir Malevič, il geniale pittore inventore del suprematismo. Il suo "caso", che occupa l'intera seconda sezione del libro, è illuminante per Todorov in quanto è l'esempio dell'individuo che va, in maniera lenta ma inesorabile, sotto la pressa del totalitarismo.
Impressionato forse dall'atteggiamento quasi religioso mostrato nei confronti dei leader all'indomani della morte di Lenin, Malevič constata l'identità di una struttura tra la religione "celeste" (il cristianesimo) e la religione "terrestre" (il comunismo), In entrambi i casi un uomo è stato deificato dopo la morte, ma questo è un tradimento del copo-profeta da parte dei discepoli e dei suoi sostenitori, tanto più sconvolgente nel caso del comunismo che Lenin voleva nemico della religione e che invece diventa esattamente una religione. (...) Il trattato di Malevič inizia con un testo sottolineato, le cui prime frasi sono: "È evidente che lo stato non può seguire una via diversa da quella della legge di Dio. Secondo il popolo, Dio è ciò che reprime ogni pensiero diverso: "Non avrai altro Dio al di fuori di me", ossia devi pensare solo a me.
Ecco allora che le parole poste in calce a questa recensione, dalla portata ancor maggiore se si pensano che, almeno a livello di volume inedito, solo le ultime del grande pensatore bulgaro, sono quanto mai profetiche. L'arte nella tempesta è il testamento di un grande intellettuale rivoluzionario nel senso più puro e meno "partitico" possibile. 
Mattia Nesto