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L'altra faccia della luna: il lato nascosto di Giorgio Orelli in “Un giorno della vita”

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Un giorno della vita
di Giorgio Orelli
Milano, Marcos y Marcos, 2017

pp. 224
€ 18

A pochi anni dalla dolorosa scomparsa di Giorgio Orelli (Ariolo 1921 – Bellinzona 2013), Marcos y Marcos ha deciso di ridare alle stampe l'unica raccolta di racconti del poeta ticinese, uscita ormai più di cinquant'anni fa, nel 1960, per Lerici editori.
Il libro si presenta come una raccolta eterogenea di brevi storie, ognuna indipendente dall'altra, e ognuna con il proprio universo da raccontare. L'Orelli prosatore ha delle caratteristiche ben precise ma non è molto lontano dal poeta autore delle immortali raccolte poetiche ormai entrate nel canone letterario novecentesco. Sono infatti molteplici i punti di contatto tra le due dimensioni della scrittura orelliana e sebbene questo sia un argomento da trattare con maggiore spazio, si può delineare una qualche linea di lettura dell'opera, utile a chi voglia approcciarsi all'opera. Le prime linee interpretative ci vengono offerte da Pietro De Marchi, autore della preziosa postfazione Per tornare a leggere "Un giorno della vita" di Giorgio Orelli, posta in coda al volume.

Situazioni, immagini, persino sintagmi o giri di frase transitano infatti dalla sua poesia alla sua prosa, e viceversa. […] Si pensi, per citare un esempio, al quinto racconto del libro, Sosta al lago d'Iseo, in cui già si parla della gran sete del padre a cui è dedicata una poesia del Collo dell'anitra (2001) intitolata Da molti anni. O ancora, proprio all'inizio dello stesso racconto, si veda la statua di san Giacomo a Pontida, che sta “in bilico sul campanile, con un piede già nel vuoto e una faccia come se dicesse: vo un momento e torno”: che è la stessa immagine a un dipresso che troviamo in una delle ultime poesie pubblicate da Orelli, Lombardia: dove ci sono viaggiatori “guardati da santi / che in cima a campanili alzano un piede / come per volar via”. (pp. 211-212)
Un'ulteriore e indispensabile riflessione riguardo i punti di tangenza tra le due dimensioni va fatta – oltre che sul versante contenutistico – sulla scrittura e sullo stile di Orelli prosatore. Da questo punto di vista, il libro presenta delle particolarità estremante interessanti. La prosa di Orelli si presenta particolarmente musicale, ricca di particolarità fonico-espressive che fanno sentire al lettore l'eco della lirica orelliana. Troviamo, inoltre, un intenso ricorso a molteplici figure retoriche: ellissi, inversioni, stringhe di parole allitteranti (la giostra gira - in Serale; come se fosse solo un pezzo di sole caparbio - in La morte del gatto) e sintagmi dal gusto iperbolico (Berrebbe l'universo - in Sosta al lago d'Iseo). E ancora, aggettivi sostantivati (scorgo un nero che ondeggia e mi salta sul portapacchi - in Pomeriggio d'estate) ed espressioni caratterizzate da un particolare lirismo (una grande nuvola bianca, accesa agli orli di sole - in Pomeriggio d'estate). Non manca, inoltre, il ricorso alla personificazione di oggetti inanimati (Le due biciclette riposavano allacciate contro un mucchio di fascine - in Serale), i quali diventano oggetti lirici in grado di rafforzare la diffusa atmosfera di sogno che si respira in più di un racconto.
Un'altra caratteristica della prosa orelliana, infatti, è la creazione di un'atmosfera rarefatta, quasi sognante, in cui le coordinate spazio-temporali si perdono, a favore di una dimensione atemporale in cui hanno luogo vicende dagli accenti talvolta surreali. Si veda in caso del racconto che apre la raccolta, Scherzo: in esso un giovane viene invitato a salire sulla carrozza di un principe, il quale, dopo aver percorso un tratto di strada insieme, scende dalla carrozza, per non tornare più indietro. Il ragazzo, attorniato da una folla di persone, comincia a sentirsi a disagio e
decide allora di sparire a sua volta assottigliandosi, e strisciando “attraverso varchi odorosi d'ossa e di licheni” arriva fino al carretto del gelataio e poi alla sagrestia degli altri compagni di scuola. È un racconto onirico e strano, che si potrebbe mettere accanto alla prosa si Spiracoli intitolata Su una cartolina come uno dei pochi esempi di “surreale” orelliano, di un “surreale senza surrealismo”, come avrebbe detto Contini. (dalla Postfazione, pp. 213-214)
Ma quest'atmosfera fiabesca, in cui i personaggi sembrano uscire da un mondo parallelo, per poi scomparire improvvisamente in un repentino giro di frase, compare anche in altri testi, tanto che Romano Bilenchi e Mario Luzi, presentando il volume nella loro collana, scrivono di «guizzanti incandescenze da favola che si annidano sotto quella placida realtà ticinese» (p. 214). Questa capacità lirica coinvolge soprattutto la caratterizzazione delle figure femminili, mai del tutto determinate e circondate da un alone di rarefatta bellezza, con la creazione delle parentesi connotate da un romanticismo delicato e soave:
Cinse con un braccio la vita della ragazza e le premette il seno.. Provarono a stare così abbracciati senza staccare i piedi dai pedali, ma ogni poco rischiavano di cadere,  ora lui, ora lei, mettevano un piede a terra.
All'Adriana piaceva abbandonare la testa sul petto di Piero, e lasciarsi carezzare il collo e rigare i capelli dalle sue lunghe dita: taceva e chiudeva gli occhi. Né lui spezzava il silenzio: attento, mentre passava adagio le mani in quei folti capelli, alle voci che non mancavano di levarsi familiari e nuove, nella caligine notturna; finché non lo colse un brivido di freddo, per cui si tirò su in fretta il bavero della giacca. Disse ch'era fortunata lei, col suo maglione invernale. (Serale, p. 67)
Il lirismo orelliano, la rarefatta atmosfera sognante che caratterizza la sua scrittura è una caratteristica ben evidente, e permette a De Marchi di offrire nella Prefazione un collegamento a Chagall:
Nel racconto Suite provinciale si parla così di un ospedale, il San Filippo, e si accenna alle suore, che vi prestano servizio, con la stessa aerea leggerezza di un quadro di Chagall: “Le suore di San Vincenzo, se a una giusta distanza trascorrevano con i loro alati cappelli bianchi, non ci saremmo stupiti di vederle volare su qualche pino rappreso nel sonno della collina”.
Tale clima si lega anche alla costruzione della trama, per cui l'autore non tesse intrecci particolarmente complicati, e anzi, pare preferire «un racconto quasi senza intreccio, che abbia la naturalezza e l'imprevedibilità dell'esistenza stessa» (p. 217) Questa caratteristica accomuna anche i racconti dal tono maggiormente realistico, quelli ambientati in una dimensione concreta.
La penna di Orelli, quindi, dimostra una rara versatilità, una capacità di approcciarsi alla prosa con la stessa delicata grazia tipica della sua poesia, trasportando in essa la bellezza e la piacevolezza dei suoi versi. Un lato nascosto, quindi, o perlomeno meno conosciuto, che vale certamente la pena di conoscere, per completare il quadro dell'autore ticinese.

Valentina Zinnà