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Il post-esotismo di Antoine Volodine

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Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima di Antoine Volodine,
66thand2nd

p. 106
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Traduzione di A. D'Elia


Gli ultimi libri di Volodine pubblicati in Italia sono comunicati strategici diramati all'esercito che ha perso la guerra, chiamate alle armi quando non restano altro che lacrime da piangere e mea culpa da recitare.
L'autore francese è il cantore di una fine disperata e sempre in corso: una fine che non finisce mai. Un po' come nelle opere di Beckett, peraltro parzialmente affini solo da questo punto di vista.
Lanciati verso le soglie del nulla, verso il limbo grigio tra una non vita e una morte che è un miraggio irraggiungibile, i Malone e i Godot sono purificati dalle scorie di ogni possibile vissuto. Sono liberi da qualsiasi sovrastruttura, e per Beckett, in fondo, tutto è sovrastruttura: la filosofia e la psicanalisi, la letteratura, l'etica e la politica.
Il processo di nientificazione scarnifica l'uomo in quanto prodotto culturale, e si arresta solo – ed è uno smacco non da poco – prima di investire anche la voce nominante, l'io biologico che dice 'moi'. Senza di essa, il silenzio definitivo sarebbe raggiunto.


Nel Post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima – così come in Terminus radioso, pubblicato anch'esso dalla meritoria 66thand2nd, e in Angeli minori – la dimensione sociale è invece fortissima e onnipresente. Tutto si origina dal fallimento di un sogno collettivo: «Una volta rinchiusi in carcere, quell'esercito ormai vinto, il nocciolo duro dell'egualitarismo, ha riversato la propria mai spenta passione in una forma romanzesca».
Le ideologie egualitariste hanno fallito dovunque, l'utopia rivoluzionaria è tramontata. Non c'è rassegnazione, però, non c'è pacificazione.
Una rabbia implacabile illumina la narrazione che procede con uno scrupoloso incedere argomentativo.
In effetti questa letteratura sa farsi immaginifica e sognante ricorrendo, paradossalmente, agli strumenti retorici e stilistici mutuati dalla saggistica, dalla critica letteraria e dalla stampa a ciclostile dei pamphlet degli anni di piombo. Del resto, «le basi della letteratura post-esotica furono gettate durante il decennio Settanta...».
Proprio il rigore di una contestazione che coinvolge le fondamenta della società contemporanea, testimoniata dai reduci di un'avventura ormai conclusa, è uno degli elementi più interessanti del libro. Volodine non gioca a emozionare i lettori facendo leva sulla loro facile indignazione, non ammorbidisce i toni per venire incontro alle logiche del “vogliamoci bene” e non ha il piglio edificante di chi vuol dare lezioni. I suoi personaggi sono stati rivoluzionari e tali restano ora che il nuovo ordine ha trionfato e li ha condannati a una detenzione perpetua.
C'è una violenza nobilissima nelle loro parole insurrezionali e nelle voci in sordina da cospiratori smaliziati. Parlare senza farsi del tutto comprendere dal nemico è uno degli intenti dichiarati: lo scrittore post-esotico «sembra rivolgersi a un lettore che intrattiene rapporti di stretta connivenza ideologica e culturale con l'autore, ma in realtà parla a un pubblico più vasto, sconosciuto, in mezzo al quale si dissimulano entità non amichevoli».

Che cos'è, dunque, il post-esotismo? Il volume in esame si propone di rispondere a questa domanda. Naturalmente, come è scritto nella quarta di copertina, «non è il compendio esaustivo di una pseudocorrente letteraria». Non solo non è un compendio esaustivo, ma non è neppure un compendio: siamo nel terreno ibrido della metaletteratura. Sotto le spoglie di un manualetto esplicativo si fa letteratura proprio definendo alcune categorie della letteratura post-esotica (la stessa definizione di post-esotismo è frutto della fantasia di Volodine, principale pseudonimo dell'autore).
Troviamo così lezioni dedicate alla Shagga («uno degli artifici poetici attraverso il quale il genere esprime la propria grande, grandissima peculiarità»), al romanso (una forma narrativa simile al romanzo ma con caratteristiche specifiche, tra cui la non opposizione dei contrari e «una tematica della disperazione portata all'estremo, un principio aggressivo legato all'estremizzazione, a ipotesi di non ritorno») e alle intrarcane (termine che «suggerisce delle pratiche magiche, un misterioso incantamento»). 
I capitoli sul post-esotismo inframezzano le dichiarazioni di Lutz Bassmann – altro pseudonimo usato in passato dallo stesso scrittore – e di altri reclusi, impegnati a tramandare la memoria di un sogno morente e confinati nei corridoi di un penitenziario che è l'unico bastione rimasto dell'utopia egualitarista. Nei loro sussurri rabbiosi è ribadita continuamente, ostinatamente, la distanza che passa tra loro e gli 'altri'. Anche il post-esotismo non ha niente a che spartire con le categorie critiche usate fuori dal braccio di massima sicurezza:
«Non riuscendo a collocare il post-esotismo in modo convincente, lo si relega in seno alle avanguardie, nei cui confronti, va detto con chiarezza, quest'ultimo intrattiene gli stessi rapporti che ha con il resto del mondo esterno al carcere. Il post-esotismo è una letteratura che proviene dall'altrove e incede verso l'altrove».
Ho trascurato poi, fin qui, la dimensione onirica presente nei testi di Volodine. Essa è, in effetti, fondamentale. 
L'onirismo si mescola al sociale, il simbolico e il magico si fondono col materialismo storico e con l'ateismo. Il risultato è un'originale miscela di assoluto valore che fa di Volodine uno dei migliori scrittori contemporanei.