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#PagineCritiche - Sulla critica letteraria giapponese: da Marsilio, "Letterario, troppo letterario"

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Letterario, troppo letterario. Antologia della critica giapponese moderna.
Di L. Bienati, B. Ruperti, A. Wuthenow, P. Zanotti
Venezia, Marsilio, 2016

pp. 240
€ 14,00 (carteceo)
€ 9,99 (ebook)


Letterario, troppo letterario nasce dal lavoro di docenti universitari gravitanti attorno al mondo della letteratura e delle arti giapponesi, tre dei quali appartenenti all'Università Ca' Foscari di Venezia (Luisa Bienati, Bonaventura Ruperti e Pierantonio Zanotti), mentre una proveniente dall'Università di Heidelberg (Asa-Bettina Wuthenow).
Come suggerisce il sottotitolo, il libro è un'antologia, molto ben curata, della critica giapponese moderna. Il campo della critica, parallelo a quello della letteratura, è quantomai vasto, comprendendo sia discussioni più strettamente letterarie che quelle inerenti il campo artistico. L'opera si districa abilmente tra questi argomenti, offrendo una vasta e interessante panoramica della critica giapponese. Il periodo compreso, dagli anni ottanta del XIX secolo agli anni trenta del Novecento, copre solo una parte della critica giapponese ma la restrizione ad un periodo limitato fa sì che la proposta sia ampiamente articolata e particolarmente approfondita.

Come affermato nella Presentazione, Letterario, troppo letterario si collega direttamente ad altri volumi sulla cultura giapponese, pubblicati da Marsilio all'interno della stessa collana Elementi: La narrativa giapponese moderna e contemporanea, di Luisa Bienati e Paola Scrolavezza (2009); Introduzione alla storia della  poesia giapponese, di Pierantonio Zanotti (2012) e Storia del teatro giapponese, di Bonaventura Ruperti, (2015). Il titolo fa riferimento ad uno dei testi proposti nell'opera, quello di Akutagawa Ryūnosuke, nel capitolo dedicato al dibattito sulla trama del romanzo, avvenuto tra l'autore del testo e Tanizaki Jun'ichirō, tra il febbraio e il maggio 1927.
L'intento del saggio è dichiarato esplicitamente:
Questa antologia si propone di introdurre i lettori italiani alla conoscenza di questo vasto patrimonio attraverso la traduzione di una serie di testi rappresentativi. La selezione abbraccia un arco di tempo che va dagli anni ottanta del XIX secolo agli inizi del periodo Shōwa (1926-1989). Questo intervallo corrisponde al periodo di formazione e consolidamento del discorso metaletterario moderno in Giappone: dalle battaglie per il romanzo condotte dagli intellettuali riformisti Meiji (rappresentati da Tsubouchi Shōyō e Futabatei Shimei), alla rivendicazione dell'autonomia euristica e perfino esistenziale della critica letteraria decretata da Kobayashi Hideo. (pp. 11-12)
Ed è proprio questo «discorso metaletterario» a costituire la peculiarità del libro e non viene proposta solo la voce degli autori giapponesi sulla letteratura del proprio paese ma anche quella degli autori del libro che accompagnano i brani estrapolati dai testi critici più importanti e forniscono, tramite accurate presentazioni, dei tagli interpretativi di straordinario acume.
La raffinatezza delle argomentazioni e l'alto livello di elaborazione critica è ben visibile in ogni punto del testo, e l'attenzione e la cura riservata alla sua organizzazione è evidente anche dalla presenza delle avvertenze riguardo il sistema di trascrizione e la periodizzazione, dall'ampia bibliografia e infine dalla presenza di un glossario, fondamentale per la piena comprensione del discorso.
Per quanto riguarda la struttura dell'opera, il testo è diviso in sedici capitoli, composti da un saggio introduttivo scritto da uno dei diversi autori del libro, in cui si passano in rassegna gli scritti più importanti di quel periodo, evidenziandone le peculiarità, seguito dalla traduzione dei brani più significativi di questi saggi, corredati da utili note al testo.
A titolo esemplificativo, si può citare l'ampio e interessante studio di Luisa Bienati sul Naturalismo:
Fu Mori Ōgai a parlare nel 1889 per primo di shizenshugi (naturalismo) e a introdurre in Giappone l'opera di Èmile Zola nel saggio Igaku no setsu yori idetaru shōsetsu ron (Trattato sul romanzo basato sulla teoria medica, 1888). Lo scrittore, dopo il suo lungo soggiorno in Germania, era interessato all'applicazione delle teorie scientifiche alla letteratura ma fu sempre critico nei confronti di tali movimenti, sottolineando la mancanza di artisticità nelle opere che si proponevano una rappresentazione “oggettiva” e libera dalla soggettività dell'autore. Alla diffusione di Zola contribuirono anche altri scrittori, come Shimazaki Tōson, e le molte traduzioni apparse in Giappone sul finire del secolo. Diversi scrittori provarono a imitare le sue opere, tanto che il primo periodo del naturalismo in Giappone è stato definito “zolaismo” (zoraizumu) e coincide con la prima fase della distinzione cronologico-descrittiva proposta da Shimamura Hōgetsu (1871-1918) e ormai canonica tra zenki shizenshugi e kōki shizenshugi (pre o primo naturalismo e secondo naturalismo). Secondo la visione tradizionale, il primo è caratterizzato da un'adesione alle teorie di Zola e di altri scrittori francesi (Maupassant, in particolare), il secondo rappresenta invece lo sviluppo più originale del naturalismo giapponese. (pp. 79-80)
Ma a caratterizzare quest'opera è anche la molteplicità degli ambiti indagati, infatti al capitolo VI si introduce il dibattito sulla pratica artistica, partendo dal saggio di Takamura Kōtarō Midoriiro no taiyō (Il sole verde):
In  Midoriiro no taiyō  Kōtarō rivendica la priorità della libera espressione della personalità dell'artista rispetto a qualsiasi vincolo, sia esso dettato dalle convenzioni pittoriche vigenti o dalla prescrizione di esprimere programmaticamente la propria appartenenza nazionale. In questo senso l'articolo si inserisce nella battaglia per un'arte individuale, soggettiva, perfino “anarchica”, ingaggiata da  Kōtarō contro il tradizionalismo e l'accademismo del mondo culturale fin dal suo ritorno a Tōkyō dopo un soggiorno di studio (1906-1909) a New York, Londra e Parigi. […] Il «sole verde» è l'immagine che racchiude in sé l'ideale di libertà (Freiheit, jiyū) antimimetica perorato da Kōtarō: se un artista vede o sente il sole di questo colore, è perfettamente legittimo che lo rappresenti in questo modo sulla tela, se ciò risponde alle sue «esigenze interiori» (naimen no yōkyū). (pp. 99-100)
In conclusione, possiamo ben dire che l'opera qui recensita presenta un alto grado di elaborazione critica e i suoi capitoli si susseguono uno dopo l'altro, a costruire una raffinata analisi: tale complessità, tuttavia, non è di ostacolo a coloro che sono a digiuno di critica letteraria giapponese, poiché gli autori del libro, tramite le introduzioni ai saggi giapponesi, diventano delle valide guide per la comprensione dei testi proposti, permettendo al lettore di concludere la lettura senza particolari difficoltà. Quest'opera, quindi, pur configurandosi certamente come studio critico essenziale per gli studiosi del genere, presenta delle caratteristiche che lo rendono un testo fruibile anche dai non addetti ai lavori.

Valentina Zinnà