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"Crimini di guerra" di Alberto Stramaccioni e le pericolose conseguenze della rimozione delle colpe

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Crimini di guerra. Storia e memoria del caso italiano
di Alberto Stramaccioni
Laterza, 2016

pp. 194
€ 20

Le guerre che gli italiani fecero in Africa e nella penisola Balcanica per espandere il loro dominio coloniale sono un capitolo della storia d’Italia poco conosciuto, a volte mistificato, più spesso dimenticato. L’Italiano medio – mediamente benestante e mediamente istruito – probabilmente sa che l’Italia in passato ha avuto delle colonie, si ricorda che ne ha letto nei libri di storia, magari si sovviene pure di una strofa di Faccetta nera. Ma, come ha dimostrato Simone Brioni, docente alla Stony Brook University, nel suo documentario Aulò. Roma Postcoloniale (Kimerafilm, 2012) non è raro che lo stesso italiano alla domanda “dove si trova l’Eritrea?” non sappia come rispondere. 
Ancor più che l’impreparazione geografica è grave quella storica: perché l’Eritrea non è solo un Paese dell’Africa orientale, ma è anche un Paese che è stato colonizzato dagli Italiani e che ha avuto e ancora ha una strettissima relazione con l’Italia. L’attuale Eritrea, e la Somalia, l’Etiopia e la Libia, sono state invase dagli italiani già dalla fine dell’Ottocento, e poi durante il fascismo sono state l’oggetto delle mire espansionistiche di Mussolini. L’impero coloniale italiano, quel sogno fascista di non essere da meno rispetto alle altre potenze europee, durò ben poco: l’Africa orientale italiana si dissolse nel 1941 e l’Italia perse anche la Libia nel 1943. 
La brevità e l’esiguità dell’esperienza coloniale italiana, se paragonata a quelle di altre nazioni, hanno promosso nell’immaginario comune l’idea che gli Italiani sono fondamentalmente “brava gente” – come scrive Angelo Del Boca –, che non hanno fatto poi così male, sono stati i soliti bonaccioni, e che altri in ogni caso hanno fatto peggio. Uno stereotipo che continua a fare ingenti danni: non riconoscere la gravità delle violenze da noi commesse porta a non comprendere la storia passata e soprattutto a non sapersi orientare in quella presente.
Un libro che rema contro questo disgraziata mancanza di consapevolezza storica, e cerca di rimettere gli eventi e le loro conseguenze in una giusta prospettiva, è Crimini di guerra. Storia e memoria del caso italiano di Alberto Stramaccioni, docente di Storia contemporanea all’Università per stranieri di Perugia, pubblicato a settembre 2016 da Laterza. L’obiettivo dell’autore è proprio quello di colmare un importante pezzo di memoria storica mancante, con la consapevolezza che 
un rapporto disarticolato tra storia e memoria può incidere negativamente sull'identità unitaria di un Paese, come in effetti è avvenuto per tanti decenni in Italia sulla questione dei crimini di guerra compiuti e subìti soprattutto nel corso della seconda guerra mondiale. 
In sei capitoli, Stramaccioni traccia e documenta un’accurata storia italiana, delle sue leggi e delle sue scelte diplomatiche, dalla repressione del brigantaggio nell’Ottocento fino alla caduta del muro di Berlino e agli eventi immediatamente successivi. Il focus è sui crimini di guerra, con guerra intesa non tanto come controversia tra Stati, ma come strumento di oppressione di soldati e civili; la prospettiva è quella del particolare caso dell’Italia, che si trova ad essere sia colpevole che vittima all’indomani della seconda guerra mondiale. L’Italia sedeva, infatti, nello schieramento occidentale insieme alla Germania federale, e per questo motivo non ha mai potuto davvero rivendicare i crimini commessi dai nazisti sul proprio territorio. Contemporaneamente, i crimini commessi dagli italiani in Jugoslavia e in Africa non vennero mai veramente puniti e l’Italia – paese vinto che però nel nuovo assetto internazionale collabora con Gran Bretagna e Stati Uniti – non ebbe mai nessuna Norimberga. A tal proposito Stramaccioni scrive: 
queste scelte di politica interna e internazionale, segnate dall'assenza di giustizia e dalla rimozione dei crimini, hanno finito con l'incidere decisamente sui caratteri della ricerca storica e dell’identità nazionale. 
La rimozione dei crimini (e della consapevolezza di essere stati dei criminali) di cui parla Stramaccioni è stato un atto politico studiato a tavolino. Le conseguenze sono ben visibili nel vittimismo odierno di cui i media italiani e l’opinione comune sono colmi: gli Italiani si sentono ancora brava gente, lo ripetono ogni giorno affermando con convinzione “non sono certo razzista ma…” (“ma che colpa ne ho io di quello che succede in Africa o in Siria?”, “ma io non sono mai andato a fare nulla di male lì da loro, perché devono venire loro da noi?” eccetera eccetera). Sull’origine dell’ideologia della vittima Daniele Giglioli ha scritto un libro molto bello, Critica della vittima (Nottetempo, 2014), che in un certo senso va a braccetto con i Crimini di guerra di Stramaccioni, che affiancano sul piano storico e giuridico quanto Giglioli sostiene sul piano culturale e sociale. 
Sono le conseguenze di tale rimozione delle colpe, del resto, che hanno fatto sì che il Corriere della Sera potesse pubblicare un articolo come quello che è apparso il 2 ottobre 2015, nell’ottantesimo anniversario dell’inizio della guerra in Etiopia, firmato da Antonio Carioti. Un articolo in cui si parla tanto della “superiore potenza italiana” e molto poco dell’uso delle armi chimiche da parte degli italiani che secondo l’autore “non si può considerare decisivo per la vittoria italiani”. Un articolo che nuoce proprio perché con una dozzina di schede (poco) critiche liquida così i crimini commessi dagli italiani, edulcorati senza essere analizzati. 
Infine, non sarà azzardato affermare che a far sì che, scandalosamente, in Italia ancora nel 2016 non esista il reato di tortura avrà contribuito anche la rimozione dalla memoria collettiva dell’esistenza di campi di concentramento italiani in Libia e delle centinaia di migliaia di etiopi uccisi dai gas e dalle bombe all’iprite lanciate dai nostri soldati. 

Serena Alessi