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#PagineCritiche - Con Asselineau scopriamo il vero Charles Baudelaire, fra genio poetico e grandezza umana

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Charles Baudelaire. La vita, l'opera, il genio
di Charles Asselineau
Bietti, 2016
Traduzione e cura di Massimo Carloni

pp. 180
cartaceo: 15 euro
ebook: 6,99 euro


I fiori del male non sono l’opera d’un poeta di talento, ma d’un genio; e col passare dei giorni si vedrà sempre meglio quale gran posto occuperà nella nostra epoca, tormentata e sofferente, quell’opera essenzialmente francese, essenzialmente originale, essenzialmente nuova. (p.100)

Profetica invettiva, quella di Théodore de Banville, pronunciata «davanti alla tomba aperta del suo amico»; come profetica e rivelatrice è la biografia dedicata al genio di Charles Baudelaire, dal suo fedele amico Charles Asselineau, pubblicata per la prima volta nel 1869, ad appena due anni dalla morte del poeta, e giunta in Italia quest’anno, nella bella edizione di Bietti, curata da Massimo Carloni.
Nonostante il testo abbia un secolo e mezzo di età, la biografia firmata da Asselineau è affascinante e coinvolgente, con un lessico complesso che arricchisce l’esperienza della lettura, rendendola necessariamente attenta e stimolata.

Con Asselineau, il lettore ripercorre la vita e l’opera del poeta parigino, apprendendone il metodo di lavoro, la sua passione inesauribile per l’arte e la dedizione che lo animavano.
Convivono nel libro due toni narrativi: quello del biografo letterato, attento alla fedele ricostruzione dei fatti e delle idee, e quello, naturalmente più coinvolgente, dell’amico affezionato, che ci regala aneddoti intimi, rivelatori degli aspetti più divertenti e personali del poeta.
Come non sorridere, per esempio, di fronte alla cieca ammirazione di Charles Baudelaire per le opere di Edgar Allan Poe, che decide di tradurre in francese e, per farlo, si dedica a un’instancabile ricerca di droghieri, camerieri e marinai inglesi, battendo in lungo e in largo i boulevard parigini, allo scopo di trovare qualcuno in grado di istruirlo sull’inglese quotidiano, che esula da quello letterario?
E  come non lasciarsi andare a un sentimento di simpatia contagiosa ispirata dall’ingenuo egoismo di Baudelaire, che non esita a costringere gli amici a seguirlo in bettole e locali squallidi per bere e mangiare agli orari più improbabili, o a ospitarlo per giorni e notti in fuga dai creditori?
Si tratta di dettagli che rendono la biografia qualcosa di molto più prezioso di una semplice ricostruzione fattuale: un’opera che è dono e incommensurabile manifesto di affetto, verso il lettore, a cui si regala tanta intimità, e verso il poeta, il cui ricordo si comprende essere vivido e caro all’autore.
È, dunque, un meraviglioso dono, quello che ci fa Asselineau, sottraendo la figura di Baudelaire al mito, per farla apparire anima umana, prossima, amica. Un’impressione che viene rafforzata dalla presenza, in appendice, di una serie di documenti preziosi: la raccolta di aneddoti; le lettere tra Baudelaire e Asselineau, e tra Asselineau e la madre del poeta, dopo la sua morte; il discorso completo pronunciato dall’autore, nel giorno del funerale…
Accanto all’aspetto prosaico, a determinare l’elevata apprezzabilità di quest’opera concorre anche un elemento più aulico, che innalza la natura del testo a manifesto concettuale del lavoro poetico e artistico in generale. A rivelarlo è l’invettiva con cui Asselineau prende le difese dell’amico poeta, nel ripercorrere le sue vicende legali che lo portarono di fronte al tribunale con l’accusa di offesa al buon costume, all’indomani della pubblicazione de I fiori del male.
Da parte nostra, senza mancare di rispetto alla magistratura e alle sue sentenze, non potremmo esprimere il nostro stupore nel veder assimilato un eccesso di letteratura a una violenza bestiale, una fantasia artistica a un traffico illegale? In un processo simile, il primo dovere di un tribunale non dovrebbe forse essere quello di dichiararsi inadeguato e sottoporre il caso a qualcuno più competente? (…) In una poesia, il magistrato è colpito da una parola cruda che lo ferisce, è catturato da un’espressione forte che rimane impressa nella sua mente, ed emette la condanna. Cosa volete che faccia? Sente uno sventurato gridare: «Dio non esiste!», e conclude che l’autore è un empio. Dov’è il poeta esperto, a dirgli che quel grido esprime il delirio disperato di un infelice, che tale immagine è ammirevole, che la parola scioccante è al posto giusto? (p. 67-68)
Il biografo solleva una questione meritoria di attenzione e lo fa con uno stile e una retorica degni di un grande scrittore: come può un giudice, esperto di diritto, esprimere una sentenza contro un’opera poetica, che appartiene a un mondo che gli è sconosciuto, quello dell’arte?
Come giudicare colpevole ed empio un autore che usa una frase forte, quando quella frase è utile a comunicare, nella sua crudezza, un sentimento?
La licenza poetica, ci fa notare Asselineau, è più di un mero luogo comune o di un’espressione vacua. È una realtà quotidiana.
È impensabile, ci spinge a riflettere Asselineau, confondere l’opera con il suo autore; l’identità è solo creativa, mai concreta. Confondere i due elementi è sinonimo di ignoranza, ingenuità, e incapacità di giudizio.

L’arte, sembra essere la morale di questa bell’opera, ha (fortunatamente) vita propria.

Barbara Merendoni