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Il turbinio dell'infanzia in una Sicilia distopica: "Anna", l'ultimo romanzo di Ammanniti

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Anna
di Niccolò Ammanniti

Einaudi, 2015


Siamo in Sicilia, nel 2020, e un morbo potentissimo e letale ha invaso tutta l’Europa, uccidendo l’intera popolazione adulta e devastando l’ambiente antropico, rendendo la terra un luogo totalmente inospitale e disumano. Soltanto i bambini, almeno provvisoriamente, si salvano: l’epidemia colpisce solamente “i Grandi”, colpisce solo quando si supera la pubertà. In questo deserto di distruzione sono proprio i bambini ad avere l’arduo compito di fondare un qualche tipo di forma di vita sociale.

Cosa succederebbe se, in un domani spaventosamente vicino, il mondo intero fosse popolato da bambini senza educazione, senza una guida adulta? Questa è la domanda di fondo attorno cui ruota la narrazione di Ammaniti. Quesito che richiama alla memoria Il Signore delle Mosche di William Golding, grande classico di questo genere che affrontava un tema affine, su un’isola deserta. Anche in Anna ci troviamo su un’isola, la Sicilia, della quale, nonostante un incendio abbia letteralmente annientato la gran parte delle forme di vita e dei segni del passaggio umano, riconosciamo alcuni tratti: il mare, primo tra tutti, ma anche il cielo, il sole. E le città di Trapani, di Palermo, di Messina, insieme ad altri borghi minori lungo l’autostrada che collega le due punte del triangolo. Oltre lo stretto, la Calabria, il continente, e la fioca e illusoria speranza – ma non per questo inutile – che qualcosa, o forse meglio, qualcuno, al di là si sia salvato.


Una Sicilia popolata da bambini, dunque, tra i quali spicca una ragazzina tredicenne, Anna, che giustappunto dà il nome al romanzo. Arguta, intelligente, matura, spigliata, coraggiosa. È nata a Palermo ma ha passato gli ultimi anni della sua vita in campagna, in un podere, dove viveva con la madre e un fratellino piccolo, Astor. Ma la Rossa, questo il nome della fatale epidemia, ha colpito anche gli angoli più remoti della Terra e si è portata via la madre di Anna, una donna forte e acuta, che ha guardato avanti e ha lasciato un prezioso alleato a sua figlia, conscia delle difficoltà che avrebbe affrontato di lì a pochi mesi. Un quaderno scritto a mano, con i più importanti consigli di vita, ma soprattutto indicazioni pratiche su come stare al mondo, un mondo infestato dalla calamità: cosa fare quando si è malati, come fare a meno dell’elettricità. Soltanto che un quaderno non può essere sufficiente ad affrontare la crescita e la vita. Anna deve tutti i giorni combattere contro orde di ragazzini violenti e ubriachi, branchi di cani randagi, la fame, la paura, la stanchezza, la solitudine. E la responsabilità di essere una sorella maggiore, badare ad Astor, insegnargli a leggere, andarlo a recuperare dopo un rapimento.

Il romanzo che pare correre ad altissima velocità; è diviso in tre parti, in un continuo crescendo di tensione, allentata da momenti di labile tranquillità. Una velocità della narrazione che in un certo senso è il riverbero della rapidità con cui passano di solito gli anni dell’ultima infanzia. Un turbinio di emozioni e sensazioni nuove, qui vissute in modo ancora più intenso e primordiale e, se vogliamo, più difficile, nella solitudine e nella desolazione. Ma non manca nulla di quello che si trova nella vita, in questo romanzo: c’è la paura, la gioia, la speranza, l’apprensione, il dolore, la perdita, il ricordo, la forza del gruppo, l’arroganza del più forte e c’è l’amore, il primo amore, quel sentimento così difficile da capire, che fa venire mal di stomaco e che si fa sentire soprattutto quando manca. Un insieme di sentimenti diversi e contrastanti, che caratterizzano un momento di passaggio reso ancora più arduo dalle avversità esterne, in un mondo in cui si è veramente rimasti soli.

Anna però non si perde d’animo e dà una lezione a tutti, quella della speranza. Anna spera sempre in un futuro migliore, dà una possibilità al genere umano. Anna è un romanzo di formazione, è letteratura di viaggio, è una narrazione distopica, è tutte queste cose e forse di più, e Ammaniti dà l’ennesima prova di saper tenere tutto insieme, di saper raccontare, di saper scavare dentro i sentimenti di chi legge, di sapere usare le parole. «La vita non ci appartiene, ci attraversa».

Elena Sizana