in

#CriticArte - Vivian Maier: Una fotografa ritrovata

- -
Vivian Maier. Una fotografa ritrovata
dal 20 novembre al 31 gennaio 2016

presso Forma Meravigli
(Via Meravigli 5, 20123 Milano)



È il 2007 quando l’agente immboliare John Maloof acquista all’asta parte dell’archivio di Vivian Maier trovandosi di fronte ad opere di rara intensità. Quasi per un bizzarro colpo del destino Maloof e la Maier, sono animati entrambi da sconcertanti doti di catalogazione e ricerca, tipiche di coloro che amano il collezionismo, si incontrano indirettamente a distanza di 50 anni. Sembra quindi naturale che l’uno, intuendo la natura dell’altro e riconoscendone l’intrinseco valore aggiunto dell’operato, venga spinto dalla curiosità ad approfondirne la conoscenza, fino a riscoprirne l’immenso tesoro, nonchè a tributargli il giusto merito sociale ed artistico. La Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto, presentano un’affascinante mostra dedicata all’opera di Vivian Maier: ll caso fotografico che ha conquistato il mondo, a cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, realizzata in collaborazione con di Chroma Photography e promossa da Forma Meravigli. 120 fotografie in bianco e nero realizzate dalla Maier tra gli anni Cinquanta e Sessanta insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8, sono i tasselli che animano un’avvincente viaggio alla scoperta dei tratti distintivi di questa tata-fotografa, che non mostrò mai durante la vita i propri scatti, ma consapevole del loro immenso valore, li conservò gelosamente, arrivando al paradosso di non sviluppare la maggior parte dei rullini.

La Maier, schiva e riservata, dai tratti fortemente compulsivo-ossessivi, collezionava quotidiani, biglietti, articoli di giornale, piccoli oggetti, quasi volesse “congelare” il tempo, così come i sali d’argento su carta. I suoi scatti evidenziano la grandissima capacità di sintesi dei grandi fotografi del nostro tempo, di reportage ed una dote innata di abbattere la barriera tra soggetto e fotografo in tempo immediato.


Chi la conosceva, parla di lei come di una donna dal carattere austero, cupo, a cui si aggiungeva la capacità di entrare in sintonia con luoghi e persone, nonchè con i bambini che amava in modo particolare e ritraeva sovente nei suoi scatti. In qualsiasi momento Vivian non abbandonava mai la sua Rolleiflex, che le permetteva un punto di osservazione del mondo piuttosto discreto e diretto, al punto di passare quasi inosservato agli occhi dei passanti, conferendo inoltre alle immagini una visione dall’alto verso il basso, che ne aumentava il fascino e potenza, soprattutto nei casi di ritratti.



All’oggi l’archivio creato da John Maloof annovera oltre 150.000 negativi e 3.000 stampe di immagini scattate dalla Maier nelle città di Chicago e New York, fotografie che raccontano la vita della strada, i cambiamenti sociali, le abitudini e consuetudini del tempo, consegnandoci un’importante lascito documentaristico di grande valenza storico-sociale. Numerosi sono gli autoritratti, quasi a voler divenir presenza fisica agli occhi di un possibile pubblico con il quale non ha mai interagito in vita. “Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi”; così scrive Marvin Heifermann nell’introduzione al catalogo edito da Contrasto che accompagna la mostra.



Vivian Maier. Una fotografa ritrovata costituisce uno dei più avvincenti viaggi alla scoperta di un’artista, che conservò i propri scatti come il bene più prezioso in vita e che oggi, può essere identificata solo dai dettagli che emergono da questi stessi. Parafrasando Calvino: “Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere. (Quando contano, naturalmente) Perciò i dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all’altra” (Italo Calvino nella lettera a Germana Pescio Bottino, 9 Giugno 1964).

Elena Arzani

(Tutte le immagini sono di proprietà © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York - è vietato l'uso senza consenso espresso da parte del proprietario)