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È la vita, Joy: l'East End di Londra, gli anni Sessanta e i sogni di una ragazza

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Foto di Debora Lambruschini
È la vita, Joy
di Nell Dunn
Sonzogno, settembre 2015

Traduzione di Marinella Magrì

pp. 128
€ 15,00


Tanto vale fare progetti, anche se non si realizzano mai… i sogni sono tutto quello che hai, la vita si riduce a questo, in realtà, una lunga sfilza di desideri che non si avverano mai, vero Jonny?
A ventidue anni, un bambino, un delinquente per marito, Joy di sogni ne ha tantissimi nonostante i guai della vita, troppo giovane e ottimista per abbandonarsi allo sconforto. Dopotutto sono gli anni Sessanta, Londra è in fermento ed è facile, per un momento, fingere che quella vita nell’East End sia solo qualcosa di transitorio, una parentesi che presto sicuramente si lascerà alle spalle per trovare la felicità e il successo altrove, in un posto più elegante, sano. Ha fiducia in fondo che la vera vita sia altrove e che la felicità sia possibile anche per lei, ragazza sveglia e intraprendente che finge di non vedere la miseria del quotidiano per non cedere allo sconforto di un’esistenza già scritta.
Per un po’ la felicità è stata con Tom e la famiglia sgangherata che insieme avevano costruito: il primo amore, la scoperta del sesso, un bambino in arrivo e il matrimonio, una casa di cui prendersi cura e i soldi che un giorno ci sono e quello dopo forse no. Ma l’instabilità è parte del fascino dell’essersi innamorata di un rapinatore, Joy ne è consapevole, in un’alternanza di spese frenetiche e giorni in bolletta, gelosia e scatti di rabbia. Quando Tom viene arrestato, la ragazza resta sola con il figlio piccolo perdendo anche quel poco di stabilità che sperava di aver conquistato; eppure – almeno all’apparenza - non si abbandona allo sconforto, nemmeno quando è costretta a tornare a vivere dalla strampalata zia Emm e i soldi troppo velocemente stanno per finire. Tocca a Dave, un socio di Tom, aiutare la dolce Joy e il suo adorabile bambino; basta un attimo per innamorarsi follemente e mettere insieme una vita all’apparenza normale. Una piccola famigliola felice, un bel bambino da coccolare, una giovane coppia che scopre la passione, i soldi necessari per piccoli lussi e gite fuori porta.
Ma per ragazze come Joy non esiste stabilità e anche questa vita è destinata a scontrarsi con la realtà: Dave viene arrestato per il reato commesso mesi prima insieme a Tom e condannato a dodici anni di reclusione. La ragazza, di nuovo sola e senza un soldo, torna dalla zia Emm e tra una visita in carcere e lettere appassionate, cerca come può di sistemare la propria vita. Non è per niente facile senza istruzione, senza soldi, prospettive e il figlio a cui badare, ma Joy come sempre non si lascia sconfiggere dalla vita e tra un lavoro come barista – in un misero pub frequentato per lo più da uomini, un «mondo che si richiudeva su di lei, con le risate degli uomini e l’odore di fumo» – e qualche servizio fotografico non proprio vestita, cerca in qualche modo di tirare avanti, aggrappandosi ai suoi sogni con ostinata fermezza per non farsi schiacciare dallo squallore quotidiano.

Sono sempre stata una sognatrice io, Joy… Joysy, come mi chiama la zia. Sognavo di… oh, sognavo un mucchio di cose… ma già di avere qualcosa, di essere qualcuno. Non voglio vivere sempre in bolletta, vorrei… non so che cazzo vorrei, ma un mio sogno di guidare un’automobile, essere seduta in un bel macchinone e andarmene in giro. Ti senti qualcuno se possiedi un’automobile. È una cosa fantastica. Ti senti indipendente, ecco.

È il racconto vivo e schietto di una vita come tante della working class della Londra anni Sessanta che Nell Dunn ha reso romanzo nel 1967 e subito dopo adattato per il cinema in un film che ha visto l’esordio alla regia di Ken Loach. Scandaloso, esplicito, coraggioso, il breve romanzo della Dunn ora tradotto in italiano per Sonzogno è una commedia amara di cui Joy è assoluta protagonista: dolce, a tratti ingenua, testarda nonostante le continue sconfitte e soprattutto indipendente, emancipata e diretta. Sogna l’amore e la serenità di una famiglia per sé e il piccolo Jonny, ma non rinnega la passione e vive il sesso liberamente, senza sensi di colpa o falsi perbenismi. E se proprio la vita vuole umiliarla, allora è decisa almeno a guadagnarci qualcosa.

L’unico punto fermo e felicità perenne è Jonny, quel bel bambino a cui Joy non sa negare niente, che ride sempre e abbraccia la mamma; per il figlio farebbe ogni cosa, si priverebbe di tutto, perché in fondo ci sono sempre stati solo loro due fin da quella mattina quando è rientrata da sola dall’ospedale con il neonato e Tom, rimasto a casa, si era perfino dimenticato di portarle i vestiti post gravidanza. Poco importa non poter avere nuovi vestiti alla moda se il suo piccolo Jonny ha giocattoli e tutine nuove, se cresce sereno e sorridente. Per lui, Joy la sognatrice, può fare ogni sacrificio e, mentre giocano insieme sdraiati sulla moquette, fingere per un momento di essere una di quelle famiglie normali e benestanti che non smetterà mai di immaginare.
Commedia amara, si diceva: la Dunn costruisce una storia a tratti divertente e sentimentale ma sempre oscurata da miseria e solitudine e dalla sensazione di ineluttabilità del destino per la giovane protagonista. Seguiamo i suoi sogni, assistiamo alle cadute e ai suoi tentativi di rialzarsi, ma fin dalla prima pagina è difficile credere davvero che Joy possa trovare la felicità che porta nel nome, che possa anche solo andarsene da quel quartiere, da quella vita di perdenti, ubriaconi, relazioni fallimentari.

Nell Dunn ha scelto Battersea e una vita bohemien, ma per Joy non è una scelta, è il quotidiano: che racconta con ironia e vive con testardaggine, decisa a non farsi sconfiggere. Ed è proprio la sua voce – diretta, schietta e vivida – che l’autrice elegge a principale narratore del romanzo, i pensieri di Joy – fatti di frasi brevi, a tratti spezzate – che si alternano alle lettere che indirizza all’amato Dave in carcere – sgrammaticate, sdolcinate - , ai versi delle canzoni pop che ascolta, ai dialoghi con la zia Emm e la sua filosofia spiccia. È la voce vivida e diretta di una ragazza come tante, che l’autrice ha saputo tanto abilmente riversare sulla pagina – e questo tipo di narrazione non conosce mezze misure, o lo si ama o lo si odia -  e piegare via via alle esigenze narrative in quello che è uno dei tratti più interessanti e caratteristici del romanzo, insieme a quella disperata solitudine di fondo e al coraggio di lasciare che sia una donna a parlare esplicitamente e senza falsi moralismi muoversi nel mondo. Sono gli anni Sessanta, ambientazione e realtà in cui il libro ha visto la luce, e nonostante il fermento culturale della swinging London ancora provoca scandalo un tale grado di emancipazione femminile. Perché al di là della solitudine e della povertà, Joy rappresenta anche una giovane donna che cerca la passione, vive storie da una notte senza sensi di colpa, seduce gli uomini e cerca di conquistare un posto nel mondo con i soli mezzi che possiedi. È indipendente, o si convince di esserlo.
E per un attimo, ma solo per un attimo, ne seguiamo pensieri e sogni fingendo che dietro l’apparenza non si celino disperazione e miseria. E che Joy, alla fine, possa trovare la felicità lontano da qui.

di Debora Lambruschini