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«Se si vuole una cosa è giusto prendersela»: sì, ma cosa?

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Meno di zero
di Bret Easton Ellis
Einaudi, 2012

Traduzione di Marisa Caramella
pp.  186
€  10

Prima edizione originale: 1985




E mentre l'ascensore ci porta giù, oltre il secondo piano, oltre il primo, ancora più giù, mi rendo conto che i soldi non c'entrano. Che quello che voglio è toccare il fondo. (p. 153)

Il primo romanzo di Bret Easton Ellis, Meno di Zero, liberamente ispirato alla canzone di Elvis Costello (Less Than Zero, appunto), buca il panorama letterario del 1985 portando un ritratto disincantato della generazione di chi ha tutto ed eppure non vuole né sente niente. I giovani protagonisti, alle prese con sesso, droga e un po' di buona musica, passano il tempo - o meglio, lo spendono - con loro amici-spacciatori e amici-amanti. Di loro interessa ben poco: certo, Muriel è anoressica e la frase risuona nella testa del protagonista Clay, ma nessuno ferma la ragazza davanti alla sua prima devastante iniezione di eroina. O addirittura ci si chiama per andare a deridere un morto per overdose in un vicolo. E si viene a patti con la propria dignità pur di pagare debiti di droga... Poi c'è Blair, quella che tutti considerano la ragazza di Clay, tranne Clay stesso. Lei è rimasta nonostante la partenza del ragazzo per il collage e tre mesi di silenzio totale: una cosa inspiegabile, certo, agli occhi di chi non si vuole concedere di provare nulla. Perché Clay è così: vuole solo l'esagerazione che autodistrugge, quel misto di spavalderia e sputo sulla vita che è insieme incosciente e nichilista.
D'altra parte, tutto è corrivo e sostituibile: lo dimostra la bisessualità del protagonista e di tanti suoi amici, mai frutto di una scelta consapevole, ma simbolo della più totale indifferenza. Saltabeccare da un amante all'altro/a (meglio ancora se con le tasche piene di droga) è una pratica normale e nessuno se la prende se l'amante della notte prima passa nel letto di un amico. Ma questo, credetemi, è il meno: leggendo Meno di zero, il qualunquismo dei personaggi è quasi stordente, come il loro buttare le giornate di Natale all'insegna dell'annientamento. "Non bisogna pensare, perché tanto siamo meno di zero", sembrano suggerire di volta in volta i diversi visi che incontra Clay: e così non ci sono aspettative per il futuro, già l'immediato domani è inimmaginabile.

Le vacanze di Natale di Clay sono un annoiato trascinarsi di locale in locale, di letto in letto, mentre la famiglia lotta per fingersi serena, nella più totale ipocrisia e mancanza di sensibilità. Incontrerete pagine in cui vorrete chiudere il libro, detesterete i personaggi per il loro menefreghismo. Ma poi tornerete ad aprirlo, per sapere come va a finire: perché è impossibile, totalmente impossibile, che Ellis volesse solo raccontare quella palude sentimentale e di pensiero, senza drammi o svolte. Eppure... Eppure gli sviluppi tardano (ma arrivano): le ultime trenta pagine sono una corsa verso la ripartenza di Clay, un capitombolare di eventi quanti non ne sono accaduti nelle prime centocinquanta pagine. Allora la tachicardia (del lettore e del protagonista) aumenta: cosa accadrà? Perché quel mazzetto di pagine sempre più esiguo allarma e fa temere che Ellis arrivi a un finale mozzo, e invece... Invece le ultime trenta pagine valgono la lettura di tutto il romanzo: sono la prova che quei personaggi a tratti odiosi e noiosi hanno qualcosa da esprimere, anche a costo di non farcela. E testimoniano che la frase «Se si vuole una cosa è giusto prendersela» è solo un delirio d'onnipotenza da bambini viziati che, in realtà, non hanno ancora capito cosa li faccia respirare.

GMGhioni