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Provare a diventare adulti

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Storia di chi fugge e di chi resta
di Elena Ferrante

E/O, 2013

pp. 382
19,50


Siamo all’atto terzo del ciclo “L’amica geniale” di Elena Ferrante. Seguendo sempre le vite di Elena e Lila. Poi il rione. Questa ambientazione fagocitante che ci accompagna come le due protagoniste fin dal primo romanzo. Perché stavolta ho sentito come un rumore di fondo: un magma sotto la superficie della trama, un’entità indifferente e cinica e che si espande, contrae, trasforma, rovina, ingloba, uccide, resuscita.
Un rione di Napoli, proletario e monarchico, strozzino e cafone, zoppicante e assassino. È quello da cui si fugge, è quello in cui si resta. Non è detto che chi fugge abbia partita vinta e non è detto che chi resta debba finire stritolato. Siamo negli anni Settanta, l’alleanza tra proprietari e picchiatori fascisti si scontra pure qui con l’altra compagine: lavoratori e studenti eredi di una borghesia salottiera. Però, perfino l’epoca più politicizzata della storia repubblicana deve piegarsi a dinamiche di quartiere, a risentimenti familiari, alla logica stringente del rione.
Il rione ha i suoi figli, genera incastri fin dall’infanzia. Ci sono le famiglie, a loro volta nemiche o amiche a seconda di ciò che è successo in passato. Si può regredire fino a epoche e stadi primordiali e la modernità ne esce condizionata. Comunisti, missini, padroni e salariati. Certo, la modernità prova a inserirsi in un tessuto con le sue logiche estranee, ma fa fatica. Il rione si muove, sacrifica i suoi membri non perché di estrema destra o di estrema sinistra ma perché è un Urano a cui è concesso di divorare perfino le ideologie.
Dopo questa premessa, sta delineandosi l’epopea letteraria della Ferrante, che scorre lungo l’eterno dilemma pubblico-privato: dove arriva il primo, fin dove ti suggestiona, come e quando è legittimo ritrarsene. Quanto è legittimo. Se il pubblico, il sociale, è quello del rione, Elena che va a vivere in un’altra città sarebbe il prototipo della fuggitiva mentre Lila, devastata e devastante, dovrebbe affogare. Ma Lila ha Elena. Come Elena ha Lila. E sono due legami inscindibili. Particolari. Cito le parole della stessa Ferrante:

«Avevamo mantenuto il legame tra le nostre due storie, ma per sottrazione. Eravamo diventate l’una per l’altra entità astratte, tanto che adesso io potevo inventarmela sia come un’esperta di calcolatori, sia come una guerrigliera urbana decisa e implacabile, mentre lei, con tutta probabilità, poteva vedermi sia come lo stereotipo dell’intellettuale di successo, sia come una signora colta e agiata, tutta figli, libri e conversazioni dotte col marito accademico».

Pare che Elena e Lila si stiano perdendo. La sottrazione di cui parla la Ferrante è nei fatti: da bambine sempre assieme, anche per motivi scolastici, quindi sempre più lontane. Il rapporto si tiene vivo non grazie alla frequentazione ma alla voce, telefonata dopo telefonata. Nessun contatto, solo la mediazione di una cornetta. Sottrazione. Poi dal sentirsi di frequente, si passa alle telefonate diradate. Altra sottrazione. E a forza di sottrarre si rischia di raggiungere lo zero, l’assenza, la fine: il vuoto insopportabile.
Se non che ritornano inevitabili, in questo ritrarsi dalla sfera pubblica, in questo chiudersi in un appartamento per motivi familiari o ingobbirsi sopra le dispense di un corso per corrispondenza sui primi calcolatori Ibm, per non si sa quali stimoli, i pensieri e le sensazioni di un’infanzia, di una perversa alleanza, che per Elena e Lila sembra non finire.

«Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un’ambizione determinata».

Ecco il punto: Elena si macera su questo pensiero, non ce la fa a troncare il cordone con Lila. Elena teme che Lila diventi chissà chi e, di conseguenza, che lei stessa resti indietro. Era voluta diventare qualcosa, scrittrice, madre, giornalista, maître à penser, ma nelle sue riflessioni, che sono regressioni, sottrazioni di auto-stima, si convince di non essere nulla di queste cose. Perché il suo era un diventare dentro la scia di Lila. Chissà se troverà la forza, magari con l’aiuto di un uomo, con il quarto e ultimo romanzo, di diventare per sé, fuori dell’amica.
Marco Caneschi