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"Ciò che inferno non è" di Alessandro D'Avenia

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Ciò che inferno non è 
di Alessandro D'Avenia
Mondadori, 2014


pp. 316
€ 19,00


Panormus, conca aurea, suos devorat alienos nutrit

Le parole incise sotto la statua del Genio di Palermo, a Palazzo Pretorio, ci dicono di una città conca d'oro che, come una madre famelica, divora i suoi abitanti ma nutre gli stranieri. Per definizione è tutta porto e tutta mare, è esplosione infinita di luce e buia come la notte, città segno di un'isola che - per usare le parole di Gesualdo Bufalino - è "una mischia di lutto e luce".
A Palermo vive Federico che nel 1993 ha diciassette anni, un'età beffarda che suona come "un errore di tempistica tra domanda e offerta". Ha tutte le domande ma nessuna risposta, si aspetta giorni luminosi e pieni di incanto e non sa ancora come può essere scura e labirintica la notte della vita. 
A Palermo vive anche il professore di religione di Federico, Padre Pino Puglisi, che diciassette anni non li ha più, ma come i ragazzi ha la mente e il cuore pieni di domande. Qualche risposta in più Don Pino ce l'ha, per esempio la vita gli ha insegnato che l'inferno non ha niente a che fare con il fuoco e le fiamme: 
L'inferno è pura sottrazione, è togliere tutta la vita e tutto l'amore da dentro le cose. 
Ogni giorno cammina per Brancaccio con le sue scarpe troppo grandi, si fa spazio tra l'inferno di un quartiere che "sorge sui detriti che ogni mare abbandona sulla costa" e tra i pezzi rotti trova tesori, bellezza e coraggio; dove gli altri distruggono lui costruisce, dove loro spogliano e svuotano lui riempie di speranza. 
Padre Puglisi porta Federico tra le macerie di Brancaccio, tra le quali il ragazzo trova una ragazza che diventa il suo paradiso. Gli fa scoprire un mondo che sembra dominato dalla sola forza bruta ma in cui c'è ancora la possibilità di sottrarsi alla legge di natura, la legge di Cosa Nostra. Questa è la vera lezione di Don Pino per i bambini di Brancaccio: ci si può allontanare dalla strada e costruire insieme un nuovo sentiero.

Sulla strada sta l'umanità offesa di Palermo, che sogna di volare via, ma che con forza è riportata a terra da una forza di gravità che ha radici storiche, non scientifiche. I personaggi creati dall'autore hanno grande dignità e valore, sono gli indifesi (ma forti) figli di Don Pino, che è padre non solo per etichetta. Le loro storie arricchiscono questo libro di verità e di forza. 
Alessandro D'Avenia ambienta il suo terzo romanzo nella Palermo dei primi anni Novanta, a solo un anno di distanza dalla scomparsa di Borsellino e Falcone.  La città è fiaccata dal potere della mafia, si richiude su se stessa come il mare che la circonda, veicolo di mondi possibili e insieme forza capace di annullare ogni cosa: il cambiamento, i sogni, i desideri. 
Il libro ha il vigore della testimonianza ma l'eleganza delicata della poesia, correlativo oggettivo di Federico, giovane e ingenuo collezionista di "parole àncora":
L'ho scoperto alle elementari, quando tutto è appunto elementare: con le parole metto l'àncora a tutte le cose che se ne vanno alla deriva nel mare che è dentro il core, le ormeggio nel porto della testa. Solo così smettono di sbattere tra loro, di arenarsi, di spaccarsi. 
Ma la vera àncora è Don Pino, che a testa alta cammina tra la polvere, e alla rabbia della sopraffazione risponde con il sorriso.
Ciò che inferno non è è un libro importante perché ci ricorda che la vita ha le sue regole feroci, ma esiste una forza più destabilizzante di tutte: l'amore.


Claudia Consoli