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#CriticaNera. Un'indagine lirica: "Il cargo giapponese" di Giorgio Manacorda

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Il cargo giapponese
di Giorgio Manacorda
Edizioni Voland, 2014

«Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero»


Queste parole, che Pier Paolo Pasolini scrisse nel 1974 sul Corriere della Sera, mi hanno accompagnato durante l'intera lettura de Il cargo giapponese di Giorgio Manacorda. In particolare dal momento in cui il commissario Sperandio ha iniziato ad utilizzare la poesia, di cui è nella finzione del romanzo un cultore e praticante, per risolvere una serie di omicidi che hanno come vittime uomini della Yakuza e che ruotano attorno a un misterioso cargo incagliatosi nel porto di Cagliari. Una nave completamente vuota che si adagia una notte d'inverno nel porto del capoluogo sardo.
Il procuratore della città, non sapendo da che parte cominciare, richiama il commissario Sperandio, romano, e mandato qualche anno prima in “esilio” a Gavoi, un piccolo borgo della Barbagia (zona montuosa della Sardegna, ndr). Sperandio è un poeta poliziotto, un uomo colto che ha il vizio di ragionare fuori dagli schemi convenzionali, che conduce le proprie indagini utilizzando gli strumenti non solo della scientifica, ma della letteratura. Un personaggio che potrebbe essere uscito dalla penna di Leonardo Sciascia, o da quella di Jorge Luis Borges. Un commissario lontano dalle figure che popolano le pagine del noir contemporaneo: Sperandio non ha nulla di Pepe Carvalho o di Bacci Pagano. È un uomo solitario, acuto e che legge il mondo che lo circonda secondo gli schemi della poesia. Non del romanzo o di un altro genere letterario, ma della poesia, espressione più alta della lingua in senso universale, che non conosce barriere per essere compresa.

Proprio per questo suo non convenzionale commissario, Il cargo giapponese è un romanzo difficilmente catalogabile sotto la voce noir: ne rispetta alcune formalità, ma va ben oltre la mera indagine su una serie di omicidi. Dà l'esatta idea del fatto che la vita dell'uomo non è scindibile, per quanto cerchino di convincerci del contrario, in compartimenti stagni, ma che tutto è in qualche modo legato. E che anche un assassino seriale può seguire uno schema poetico, dare una struttura lirica ai suoi omicidi: decifrando i versi di un poema scritti in tedesco, ma ugualmente leggibili da Sperandio, a conferma dell'universalità della poesia, il commissario è addirittura in grado di prevedere le mosse dell'omicida. E non solo. Sperandio intuisce anche la spiritualità, profonda, di un uomo che uccide per portare a termine un preciso disegno che culminerà con la morte dell'ultimo giapponese.
Il modo di procedere del commissario non si basa sulla ferrea logica dell'osservazione: Sperandio cerca ciò che non si vede, trova legami tra cose che apparentemente non hanno alcuna relazione, ristabilisce la logica là dove sembra regnare il caos. Non è Sherlock Holmes, né Maigret: è un poeta, uno scrittore, che fa il poliziotto. Quindi solo lui, che sa leggere nelle trame della poesia, che sa interpretare la lingua universale del verso, può capire, parafrasare e spiegare la sequenza di omicidi ordita da un assassino fantasma. Che fino all'ultima pagina rimane una presenza misteriosa, per poi piombare sulla pagina romanzesca con tutto il suo carico (giapponese) di umanità. Perché anche un
omicida seriale, per quanto efferati siano i suoi crimini, rimane pur sempre un essere umano.

Cos'è, d'altronde, la poesia se non l'espressione più intima dell'uomo? Il cargo giapponese più che un noir in grado di darci una percezione nuova del mondo reale, è un romanzo che ci parla dell'uomo, delle sue debolezze e delle sue virtù, che scava nell'animo umano con la stessa forza del verso poetico. È, forse, un poema in prosa, o un'indagine in versi, che contribuisce a risolvere l'oscuro mistero della natura umana.