A. Asor Rosa, La storia del “romanzo italiano”? Naturalmente, una storia anomala
in Il romanzo, a c. di F. Moretti, vol. III Storia e geografia,
Torino, Einaudi, 2002, pp. 255-306
“L'italia non è la patria del
romanzo”. Pesa come un macigno l'affermazione di Asor Rosa nel suo
saggio La storia del romanzo italiano? Naturalmente, una storia
anomala”. Perché, se entriamo in libreria, l'offerta editoriale
oggi è essenzialmente narrativa. Se poi si pensa al passato
letterario dell'Italia i primi nomi che ci vengono alla memoria,
scavalcando per un solo secondo Dante, sono sempre loro: i Promessi
Sposi, i Malavoglia, il Fu Mattia Pascal, la Coscienza di Zeno.
In realtà le cose non sono andate
esattamente così, e Asor Rosa lo dimostra con una precisione
illuminante nel suo saggio.
Il romanzo innanzitutto non nasce in
Italia, nasce in Inghilterra e in Francia, e anche quando la nostra
penisola arriva a conoscere una propria fioritura romanzesca non
se ne costituisce mai una tradizione.
Attenzione, ciò non significa che in Italia non siano mai stati
scritti romanzi: i nomi fatti prima lo dimostrano. Il nodo della
questione è che ognuno di questi testi, che pure sono dei
capolavori, è un caso a sé, un prodotto irripetibile
che, appunto, non dà origine a una tradizione di testi a lui simile.
Anzi, sono tutti fra loro diversi. Inoltre sono difficilmente
collocabili in un contesto europeo,
restano diversi e unici, e proprio per questo motivo di maggiore
qualità.
Ma, a
questo punto, verrebbe da domandarsi se esiste il narrativo
italiano e la risposta non può
che essere affermativa. Dalla notte dei tempi l'uomo ha bisogno di
raccontare e di raccontarsi, e l'Italiano non si smentisce. Il
narrativo italiano
però, a differenza di molti altri stati europei, non si identifica
con il romanzo, bensì con la novella, di cui certamente l'Italia è
patria a tutti gli effetti. Boccaccio, il Novellino, Bandello e via
dicendo esprimono il massimo della vocazione narrativa
italiana, ma in una modalità di
espressione pre-moderna. Se infatti “il romanzo è la modernità”
(C. Magris) – perché è espressione del mondo borghese moderno,
perché è la fine della società di Anciem Regime, perché si
rivolge a un pubblico di massa – la novella è espressione di un
mondo pre – moderno.
Altra
modalità di espressione del narrativo italiano
è il romanzo cavalleresco di Boiardo e Artiosto, dove emerge una
narrativa fantastica e basata su una materia del tutto irreale,
anch'essa pre-moderna.
E allora, cosa
succede nella modernità, in Italia?
Manzoni dà il suo
enorme contributo, con il primo grande romanzo moderno italiano, ma
dopo i Promessi Sposi non scrive più nulla, sottolineando
l'inconciliabilità di Invenzione e Storia.
Nievo scrive un
romanzo interessante, che parla di patria, amore, sentimento, ma con
una lingua debole, talvolta sciatta, talvolta gonfia e antiquata. L'
esperimento fallisce.
Sorprendentemente
tra il 1880 e il 1900 conosciamo il vero romanzo
autentico italiano:
con il Realismo di Verga, Capuana. Ma se pensiamo ai Malavoglia esso
presenta vari aspetti che lo allontanano dal Realismo, primo fra
tutti il fallimento del positivismo e del progresso. Insomma, non
appena il romanzo italiano entra in scena, subito ne esce, superando
il genere proprio col testo più rappresentativo.
L'unico strumento
che pare adesso in grado di descrivere la realtà e cerca di darle un
senso è il riso e l'ironia: stiamo parlando chiaramente di
Pirandello, Svevo e Moravia.
Il successivo snodo
è costituito dal Neorealismo e dalla letteratura resistenziale ma di
nuovo qui il romanzo italiano si inabissa, poiché arriva ad avere
toni epici: pensiamo a Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio.
Da qui
in poi ci si avvicina ai giorni nostri. Si provano diverse vie:
quella avanguardista del Gruppo 63, assolutamente anti-romanzesca,
quella del romanzo magmatico
di Arbasino e Volponi, massicci modelli letterari che vorrebbero
riprodurre per intero la realtà, ma che di fatto non riescono e poi
Calvino.
Il più
grande narratore italiano degli ultimi tempi ci mette di fronte a un
fatto paradossale: non ha mai scritto un romanzo (se non quello tutto
particolare che è Il sentiero dei nidi di ragno). Ciò che fa
Calvino è scrivere un romanzo sull'impossibilità di
scrivere un romanzo: Se una
notte d'inverno un viaggiatore, che è costituito da dieci incipit di
romanzo collegati tra loro da una cornice, il cui tema centrale è
la Lettura e la Scrittura (leggi le nostre recensioni: 1 - 2). Siamo tornati all'inizio: a qualcosa di
troppo simile a delle novelle. Calvino si (e ci) chiede non tanto
come scrivere un nuovo romanzo, ma se è possibile farlo.
La risposta che si dà sembra
essere negativa. Il fatto è che dopo di lui gli scrittori italiani
hanno ripreso a scrivere romanzi. Ma perché hanno saputo rispondere
alla sua domanda o perché l'hanno semplicemente ignorata?
Con questo
interrogativo si chiude il saggio. Intanto noi che amiamo i libri non
possiam fare altro che continuare a leggere e a scrivere. Certamente
con qualche consapevolezza, e dubbio, in più.
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