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"Il cielo è dei potenti" di Alessandra Fiori

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Il cielo è dei potenti
di Alessandra Fiori
edizioni e/o, 2013
pp. 294
Un affresco della politica italiana ai tempi della Prima Repubblica, su cui si stagliano le sagome di Roma e della provincia capitolina imbevute di quell'inconfondibile atmosfera paesana e caciarona ai limiti del surreale, che si dipana dalla macerie del secondo dopoguerra per ritrovarsi ad imbastire l'ordito della ricostruzione sui telai dell'abusivismo edilizio delle borgate: tutto è lecito pur di accaparrarsi i voti e le preferenze di palazzinari e alti prelati, con un occhio di riguardo anche per i delinquenti, i pazzi e gli impostori, blandendoli sì, ma facendo anche attenzione a tenerli a debita distanza, tanto per scongiurare il rischio che "gli odori e più spesso le puzze" di questa variegata fauna italica si impregnino nelle carni e nelle viscere dei pochi (si fa per dire) eletti - in senso proprio e figurato - dinanzi ai quali si spalancano le stanze del potere.
Alessandra Fiori, che ben conosce questo mondo (suo padre, Publio Fiori, è stato ministro, vicepresidente della Camera dei Deputati, militando per lungo tempo nelle fila dell'ex Democrazia Cristiana), ha cesellato con mirabile destrezza uno spaccato della nostra storia affidandolo alla voce di Claudio Bucci, io narrante nonché protagonista di questo sogno che più volte viene deturpato dalle cicatrici di più di un incubo, al quale tuttavia sceglie stoicamente di non soccombere fino al brusco risveglio all'alba di Tangentopoli.
Ma facciamo un piccolo viaggio a ritroso nel tempo. Verso la metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, Claudio Bucci sogna di sottrarsi alla morsa opprimente dell'atmosfera piccolo-borghese di cui è permeata la sua famiglia  Per la cronaca, Claudio registra che è stata sua madre a chiedergli la prima tangente, subito dopo avergli spiegato "com'è la regola: i soldi dati dai nonni devono prima passare per la madre", premurandosi di sottolineare a mo' di pseudo-minaccia estorsiva: "Non lo sai che i bambini che dicono le bugie vanno dritti all'inferno?"
In occasione dei pranzi ai quali era invitato lo zio Alvaro, che si diceva avesse fatto il partigiano, il padre di Claudio, un conservatore con vaghe simpatie fasciste, fingeva di litigare con il cognato, poiché in realtà nutriva una grande stima per i partigiani che considerava uomini veri. Insomma, tra finte litigate e richieste di tangenti, il piccolo Claudio assorbe suo malgrado i canoni fondamentali su cui si innestano le regole della politica, soprattutto italiana.
Terminato il liceo, dopo qualche esitazione, Claudio decide di iscriversi a giurisprudenza, sulle orme del padre avvocato, accantonando l'idea di laurearsi in medicina alla stregua del suo ex compagno di classe Guido, con il quale è pressoché perennemente in competizione.
Una cosa è certa: Claudio non intende affiancare il padre nel suo studio di avvocato che vanta una clientela recuperata perlopiù fra i contadini di Fiano e dintorni che pagano l'onorario con qualche caciotta. Negli anni dell'università, inizia a familiarizzare con i primi dibattiti e con la corsa all'accaparramento dei voti per poter essere eletti nelle liste studentesche democristiane. Durante le gite in pullman organizzate dai preti prima delle elezioni, c'era la speranza di poter strappare qualche preferenza, una volta appurato di rientrare nello schieramento prescelto. L'uso della diplomazia declinata nelle sue innumerevoli sfumature, a seconda delle circostanze e degli interlocutori, si è rivelato ben presto un elemento chiave del mestiere della politica. Claudio comprende che "in politica, come ovunque d'altronde, solo una cosa può essere più forte del richiamo del sesso. Non i soldi, ma il potere."
Dopo la laurea, Claudio decide di partire alla volta di Milano, dove ha l'opportunità di farsi le ossa presso uno studio legale molto prestigioso. Fra la prospettiva di farsi spremere come un limone a Milano, dove tuttavia girano cause e soldi veri, e quella di occuparsi di furti di galline e somari, prevale la volontà di fare esperienza nel capoluogo lombardo. Lo accompagna Giuliana, una bella ragazza dalla folta chioma fulva ma di umili origini, che diventerà la sua compagna di vita, sfidando le ostilità della suocera che avrebbe voluto vederlo accasato con una giovane donna della buona borghesia. Ma l'amore, almeno in questo caso, sembra vincere su tutto e viene coronato da un matrimonio (riparatore) allietato dalla nascita, a stretto giro, di Laura e, successivamente, di Giovanni. Nel frattempo, la carriera politica di Claudio avanza - e a tratti arranca - in una girandola di volti e di parole pronunciate in un romanesco rozzo e volgare all'interno di quella bolgia che delinea per certi versi i bassifondi della DC in cui pare nuovamente di respirare l'odore delle caciotte che si mescola agli effluvi del potere, il cui principio di fondo è ben sintetizzato dall'atteggiamento imperturbabile di De Santis (in cui riconosciamo agevolmente Andreotti), a proposito del quale si era soliti ripetere: "Della politica, come del mondo, aveva una concezione semplice ed elitaria al tempo stesso...Alla base c'è il consenso e se la società è essenzialmente merda, per ripulire le fogne bisogna sporcarsi." Ed ecco quindi affiorare il folto esercito della "manovalanza" a cui viene affidato il lavoro sporco, in una convulsa girandola di regalie, mazzette, contrattazioni anche ai margini di un certo sottobosco imbevuto di un turpiloquio greve e ammiccante. Una "manovalanza" che però, in virtù di un singolare impasto alchemico, permette ai potenti, che viaggiano con le auto blu, di assumere quell'aplomb di affettata cortesia impreziosita da un eloquio studiatamente forbito adottato ad uso e consumo degli elettori.
Nel corso degli anni Settanta, il sogno di Claudio Bucci comincia a tramutarsi in realtà. Inizia la scalata al potere che, in un onnipresente turbinio di alleanze, tradimenti, vittorie, mazzette e clientelismi, gli permette di diventare consigliere regionale, onorevole, sottosegretario e ministro. La sua inarrestabile scalata al potere conosce una battuta d'arresto il 2 novembre 1977, quando viene gambizzato con "undici colpi di odio" per mano delle BR (attentato che Publio Fiori, a cui è liberamente ispirata la vicenda di Claudio Bucci, ha subito in quella stessa data). La trama del romanzo vuole che Claudio Bucci venga operato da Guido, il suo ex compagno di scuola ritrovato dopo lunghissimi anni di silenzio. I due non si perderanno più di vista, anche se la loro amicizia viaggerà spesso sui binari dell'opportunismo e dei favori (soprattutto da parte di Claudio nei confronti di Guido e della sua carriera).
Il matrimonio di Claudio, che non ha mai subito scossoni, conosce un primo cedimento poco prima dell'attentato alla stazione di Bologna. L'incontro con Marta, un'interprete parlamentare dal fascino provocante, spinge per la prima volta Claudio verso l'insidia dell'infedeltà. La liaison con Marta finirà in malo modo, ma da quel momento i due coniugi prenderanno progressivamente le distanze fra di loro. Il rapporto con i due figli è ancor meno gratificante: Laura, studentessa svogliata, è una ragazza superficiale, attratta esclusivamente da tutto ciò che ruota intorno all'effimero e all'apparenza. Giovanni è uno studente modello con una grande passione per l'informatica e per le barche, ma trincerato in un mutismo inespugnabile. A quanto pare, l'incomunicabilità, seppur giocata su due dimensioni contrapposte, è la cifra del rapporto fra Claudio e i suoi due figli.
Alla vigilia della lenta ma inesorabile parabola discendente della sua carriera politica, il sentiero di Claudio incrocia quello di Signorelli (alias Licio Gelli), capo indiscusso di una loggia massonica intorno a cui gravitavano diversi centri di potere, in un florilegio di appalti, speculazioni e lobby. In quel periodo iniziavano a uscire le prime interrogazioni parlamentari, e Claudio, sempre meno propenso ad accettare le profferte di Signorelli, decide di chiamarsi fuori poco prima che scoppi lo scandalo della P2
All'inizio degli anni Novanta, Tangentopoli e l'agguato mortale ai giudici Falcone e Borsellino minano la sopravvivenza della cosiddetta Prima Repubblica, mentre all'orizzonte si intravede la sagoma di Ludovico Moroni, un imprenditore milanese proprietario di tre emittenti televisive e di un impero editoriale, che getta le fondamenta della Seconda Repubblica, rendendo tristemente anacronistico quel teatrino popolato di personaggi "brutti, unti e grassi" che hanno tenuto banco per oltre quarant'anni.
La carriera politica di Claudio Bucci è giunta al capolinea, così come il suo matrimonio naufragato sotto il peso delle ripicche e delle reciproche infedeltà.
Claudio è tornato a vivere a Fiano Romano, lasciandosi alle spalle senza troppi rimpianti i fantasmi di un passato ormai definitivamente sepolto: "perché in fondo ho corso parecchio, vinto abbastanza e anche quando ho perso, non si può dire che non l'abbia fatto alla grande."
Il linguaggio di questo libro, spesso cinico e crudo, rappresenta una sorta di metafora del potere che inebria e distrugge chi se ne appropria facendone una ragione di vita.