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Il Signore delle mosche: ritratto di un'infanzia perduta

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Il Signore delle Mosche
di William Golding
Oscar Mondadori, 2001

pp. 250
€ 9.50

A seguito di un incidente aereo, alcuni ragazzi e bambini inglesi si ritrovano naufraghi su un’isola deserta del Pacifico. Sullo sfondo di una natura meravigliosa, incontaminata e selvaggia, si stagliano i resti dalla fusoliera che giace arenata in una lunga scia di sabbia bianca, come un grosso pachiderma di lamiere. Una laguna dalle acque cristalline, circondata da palme e da una vegetazione variopinta e lussureggiante, fa da cornice all’incontro dei primi due protagonisti del romanzo: Ralph, un ragazzino biondo di dodici anni, e un bambino miope e grassottello, soprannominato Piggy. I due ragazzi trovano sulla spiaggia una grande conchiglia bianca che decidono di utilizzare come richiamo per individuare la presenza di altri sopravvissuti. Il suono grave della conchiglia richiama due gemelli, Sam ed Eric, alcuni bambini e un gruppo corale guidato da un ragazzino fulvo e robusto, Jack Merridew. Tra i
membri del coro si distinguono Simone, schivo e poco incline ad interagire con gli altri ragazzi che lo deridono per le sue frequenti crisi epilettiche, e Ruggero, “piccolo e guardingo”, solitario quasi “come se avesse orrore della compagnia”. L’assenza di adulti fa sì che nelle menti dei giovani naufraghi si concretizzi il miraggio di un paradiso di giochi e divertimento sfrenato. Ma il retaggio dei precetti educativi ancora vivo nelle loro coscienze, li richiama al dovere di costruire una comunità basata comunque sul rispetto delle regole fondamentali per la sopravvivenza in quel mondo senza adulti. Innanzitutto s’impone la necessità di eleggere una guida e, Ralph, che fin da subito appare astuto, affascinante e dotato del carisma del leader, viene eletto capo del gruppo. Avvalendosi dei saggi consigli di Piggy, che ben presto diventa oggetto di scherno per il suo aspetto goffo e malaticcio, Ralph ripartisce tra i ragazzi i compiti che appaiono di primaria importanza: convocare periodicamente delle assemblee, all’interno delle quali il diritto di parola è sancito dal possesso della conchiglia, costruire i rifugi sulla spiaggia, procurarsi il cibo cacciando nella foresta, compito che i ragazzi del coro si propongono di svolgere, malgrado Jack sembri non accettare di buon grado la supremazia di Ralph. Tuttavia, la decisione più importante riguarda l’accensione di un grande fuoco sulla montagna che domina l’isola con la speranza che il fumo prodotto richiami l’attenzione di qualche nave di passaggio e permetta la salvezza del gruppo.
Dopo una fase iniziale entusiastica e concitata, caratterizzata dall’ordine e dalla cooperazione, la situazione inizia inesorabilmente a degenerare. Bambini e ragazzi cominciano a trascurare i propri doveri e, abbandonandosi al gioco e al divertimento, smettono di costruire i rifugi e persino di tenere acceso il fuoco. L’attrazione per la caccia, inizialmente necessaria alla sopravvivenza, comincia ad esercitare un richiamo istintivo e primordiale, irresistibile sulla maggior parte dei ragazzi che, stanchi delle ammonizioni e dei richiami di Ralph, cominciano a seguire il gruppo dei cacciatori. Il sistema simil-democratico ideato da Ralph e Piggy si sgretola inevitabilmente mentre si fa strada il modello di una società dispotica, violenta e quasi tribale imposta da Jack.
Una paura irrazionale s’insinua pericolosamente negli animi dei naufraghi quando si diffonde la notizia che l’isola sia popolata da una “bestia” che appare di notte e si agita terribilmente sulla montagna. Con il volto e il corpo dipinto, dominati dal terrore e dalla superstizione, il gruppo di Jack inizia praticare danze e riti dal sapore tribale, nel tentativo di tenere lontano la bestia.
Il simbolo della decadenza morale e materiale in cui precipitano uno dopo l’altro bambini e ragazzi, diventa la testa mozzata di una scrofa, infilzata con un palo da Jack e offerta in sacrificio alla “bestia” per placare la sua furia. Simone, in preda ad una delle sue crisi epilettiche, si imbatte in quella sorta di totem putrefatto e invaso dalle mosche (da cui il titolo, Il Signore delle Mosche) che gli rivela di essere il Male che non potranno mai sconfiggere. Spaventato e delirante, Simone corre disperatamente tra i rami intricati della giungla fino a trovarsi di fronte alla bestia; una visione rivelatrice che scongiura il pericolo dell’esistenza di quel mostro così temuto. Il ragazzo si precipita sulla spiaggia per comunicare agli altri ciò che ha appena visto, ma si ritrova al centro di una macabra danza tribale durante la quale viene ucciso a calci e pugni dai ragazzi che lo scambiano per la bestia. Dopo la morte di Simone, la violenza incontrollabile della “tribù” di Jack si scatena contro gli ultimi tra i ragazzi che sembrano aver serbato un piccolo barlume di razionalità. I gemelli vengono catturati e violentemente costretti a far parte del gruppo dei cacciatori. In un crescendo di follia e brutalità si consuma l’orrore della morte di Piggy, e la spietata caccia all’uomo con cui Jack, dando fuoco all’intera foresta dell’isola, cerca di catturare Ralph. La malvagità umana trasforma quel paradiso naturale fatto di alberi, fiori, radure incantate, uccelli variopinti e acque trasparenti, in un inferno di fiamme e morte. Un gioco infantile diventa una mostruosa spirale di violenza che soltanto l’arrivo degli adulti può spezzare.


Il Signore delle mosche è l’opera di maggior successo di William Golding, Premio Nobel per la Letteratura nel 1983. Dopo il rifiuto espresso da alcune case editrici, il romanzo, scritto nel 1952, fu pubblicato nel 1954, grazie all’interesse mostrato da T. S. Eliot. Fu lo stesso Eliot a sceglierne il titolo definitivo partendo dalla traduzione ebraica di Belzebù, simbolo di un Male che nella seconda parte del romanzo guida le azioni dei giovani protagonisti. La scelta di dare fiducia al primo romanzo di Golding, si rivelò vincente: la fortuna editoriale del romanzo fu enorme e inaspettata con milioni di copie vendute in tutto il mondo, oltre a due rivisitazioni cinematografiche.
Il romanzo si presta ad una lettura in chiave simbolica e metaforica dei personaggi e delle loro avventure all’interno del microcosmo che prende vita sull’isola. Tra le pieghe di un racconto fantastico si materializza il tema della perenne lotta tra il bene e il male, tra la ragione e l’istinto. Elementi che si incarnano nei personaggi di Jack, metafora della violenza brutale e irrazionale, Ralph, esempio di bontà e democrazia, Piggy, espressione della saggezza e della razionalità, Ruggero, incarnazione della compone belluina dell’animo umano, dell’istinto e della forza bruta che ha il sopravvento sulla ragione. Tutti i personaggi portatori di valori positivi vengono sopraffatti da individui feroci e violenti; una supremazia che culmina nella morte di Piggy, schiacciato da un masso fatto rotolare da Ruggero (metafora dell’istinto che schiaccia e uccide la ragione).
Il Signore delle mosche ha, dunque, una forte connotazione antropologica e filosofica in quanto costituisce l’emblema della concezione pessimistica della natura umana, considerata da Golding intrinsecamente malvagia. L’uomo visto da Golding è per sua natura votato al male, verso gli altri e verso la società; una visione riassunta nelle parole di una massima forte e inequivocabile:
L’uomo produce il male come le api producono il miele. 
I bambini isolati dal mondo degli adulti, senza alcuna figura che impartisca loro delle regole educative, liberi da ogni freno inibitore, regrediscono inevitabilmente verso una barbarie primitiva, si riuniscono in una società tribale e sanguinaria, e finiscono per sovvertire i valori della civiltà da cui provengono scegliendo di mettere in atto quanto c’è di più negativo nel comportamento umano: invidia, cattiveria, odio, superstizione, paura, irrazionalità, prevaricazione e derisione dei più deboli. Caratteristiche che, secondo Golding, sono connaturate nell’essere umano e che nel romanzo assumono il volto dei fanciulli. Dopo la metamorfosi che da giovani cittadini della gloriosa Inghilterra li trasforma in individui feroci e quasi primitivi, l’autore sceglie di riferirsi ai suoi personaggi utilizzando non il loro nome, ma le parole “selvaggi” e “tribù”. La “scomparsa” dei nomi, etichette imposte da una società civile che non può essere ricreata sull’isola, simboleggia la perdita dell’individualità e la regressione verso una condizione bestiale, una sorta di “gregge” umano guidato dalla violenza e dall’istinto in cui i più piccoli finiscono persino per dimenticare come si chiamano. Nel libro non compaiono riferimenti temporali; l’autore non specifica l’epoca in cui si svolge la narrazione, né per quanto tempo i ragazzi rimangono sull’isola; l’unica informazione che trapela dai loro dialoghi è l’imminenza di un conflitto planetario. Tutto ciò conferisce una dimensione universale ad un’opera i cui confini si dilatano nel tempo.
Il Signore delle mosche è uno di quei romanzi che lasciano l’amaro in bocca; leggendolo non si può non provare una sensazione di angoscia e di tensione di fronte alla violenza e alla spregiudicatezza che dominano, ad esempio, le scene di caccia o l’episodio della morte di Simone.
I bastoni scesero con forza e la bocca del nuovo cerchio stritolò e urlo. La bestia era in ginocchio nel centro, le braccia piegate sul volto. In mezzo a quel terribile fracasso, gridava qualcosa a proposito di un corpo sulla collina. La bestia si trascinò avanti, spezzò il cerchio e piombò giù dall'orlo della roccia, cadde sulla sabbia presso l'acqua. Subito la folla la inseguì, scese dalla roccia, balzò sulla bestia, strillò, colpì, morse, strappò. Non ci furono parole, solo una furia di denti e di unghie che laceravano.
Il contrasto tra la concitazione della lotta, sottolineata dal ritmo narrativo incalzante, e la calma quasi irreale le fasi in cui il corpo inerte di Simone, fatto quasi una creatura naturale, viene trascinato via dalle onde. La natura, in tutta la sua magnificenza, rimane impassibile di fronte alla miseria umana in quelle che appaiono tra le pagine più belle e toccanti di tutto il romanzo.
Verso mezzanotte la pioggia cessò e le nuvole se ne andarono, così il cielo fu di nuovo sparso di prodigiose lampade di stelle. Poi morì anche la brezza, e non ci fu altro rumore che il gocciolio dell'acqua che correva per le fenditure e si riversava da una foglia all'altra fino alla terra bruna. L'aria era fresca, umida e chiara: e dopo un po' anche il rumore dell'acqua cessò. La bestia giaceva rannicchiata sulla pallida spiaggia e le macchie si allargavano adagio adagio.
L'orlo della laguna diventò una striscia di fosforescenza che avanzava adagio adagio, col procedere della marea. L'acqua chiara specchiava il cielo chiaro con tutte le sue strane, lucenti costellazioni. La linea fosforescente si gonfiava intorno ai granelli di sabbia e ai ciottoli, li avvolgeva con una curva tesa, poi improvvisamente li assorbiva senza rumore e passava avanti.
Sull'orlo interno della laguna, dove l'acqua era più bassa, quel chiarore che avanzava era pieno di strane forme che sembravano animali dal corpo fatto di raggi di luna e dagli occhi di fuoco. Qua e là un ciottolo più grande emergeva, ricoperto da uno strato di perle. La marea raggiunse la sabbia bucherellata dalla pioggia e coprì tutto con uno strato d'argento.
Raggiunse la prima delle macchie che sgorgavano dal corpo massacrato e le forme lucenti la invasero, ne fecero una chiazza di luce. L'acqua si alzò e rivestì di bagliori i capelli arruffati di Simone. Il contorno della guancia si fece d'argento e la curva della spalla diventò come di marmo. Le strane forme dagli occhi di fuoco si affaccendarono intorno alla testa. Il corpo si alzò impercettibilmente dalla sabbia, e dalla bocca con un sommesso rumore sfuggì una bolla d'aria. Poi l'acqua lo voltò, delicatamente.
In qualche parte del cielo, sopra la curva oscura del mondo, il sole e la luna esercitavano la loro attrazione, e la superficie dell'acqua, sul pianeta terra, si gonfiava leggermente da una parte, mentre la massa solida girava. La grande onda della marea veniva avanti su tutta l'isola e l'acqua si alzava. Adagio adagio, circondato da una frangia di forme lucenti che sembravano indagare, il corpo morto di Simone, fatto d'argento anch'esso sotto le costellazioni tranquille, si mosse verso il mare aperto.