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Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio...

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Theophile Gautier

Jettatura

1856

100 pp. ca.

Tascabili economici Newton


In una Napoli ottocentesca, brulicante di vita, formicolante e grottesca, Gautier ambienta una delle sue opere minori, un racconto lungo pubblicato in 15 puntate sul Moniteur Universel . La trama è semplice, tratta dalle stesse fibre popolari e superstiziose che costituiscono il tessuto sociale e culturale partenopeo, se non dell'intera Italia Meridionale (cfr. il titolo e la famosa citazione di Lino Banfi). A Napoli giunge il nobile francese Paul D'Aspremont, lo jettatore capace con il solo sguardo di far accadere ad ogni pagina incidenti e spiacevolezze, venuto per raggiungere miss Alicia Ward, la sua promessa sposa, rifugiatasi a Napoli su ordine del medico per motivi di salute. In realtà è lo stesso fidanzato che, senza volerlo, nuoce alla salute della giovane con il suo influsso malevolo. Napoli, così, e i suoi abitanti, in particolare il Conte d'Altavilla e tutto lo stuolo di servi e servetti, facchini e sguattere che ruotano attorno ad Alicia e al suo tutore-zio Commodoro Joshua Ward, compiono una vera e propria opera di disvelamento e riconoscimento della Jettatura. Un'apertura brillante, sfavillante nel luccichio di corna e cornetti, corallo biforcuto e amuleti vari con un gusto tipicamente francese (se non dello stesso Gautier) per la dovizia di particolari e la brillantezza espositiva che viene insaporito dall'arcano senso di superstizione italiano. Ed è quest'ultima, la superstizione, la Jettatura, a far da protagonista e a diventare tanto palpabile da rompere ogni scetticismo del very british sir Joshua Ward. Un racconto gustoso e "disimpegnato", divertissement ricco di citazioni e di specchietti per allodole letterate, in cui l'autore ricorre, dopo tanto luccicchio di forme e di parole, ad un finale tragico, non immediatamente prevedibile, che per "Il capitan Fracassa" gli sarà negato a causa di un diktat editoriale.

Adriano Morea