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Invito alla lettura: Orgoglio e pregiudizio

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Orgoglio e pregiudizio
di Jane Austen

[Proprio di recente m'è capitato di leggere l'accostamento dell'aggettivo “anacronistico” ai classici. E ne è nato un sorriso, specialmente se consideriamo che classiche sono proprio quelle opere che sfuggono dall'angustia del tempo, valicano le mode e si conquistano la cima dei riconoscimenti di critica e di pubblico. Se, dunque, la scorsa settimana avevo pensato a tutt'altra impostazione per l'invito alla lettura di Orgoglio e pregiudizio, oggi farò il possibile per dimostrarne la modernità (ammesso che sia sempre da ricercarsi)].

Oggetto di molti studi e di altrettante riduzioni teatrali e cinematografiche, il romanzo è senza dubbio tra i più amati della Austen. Esce nel 1813 e, in poco tempo, il successo è conclamato. Perché? Innanzitutto, il romanzo è una godibilissima passeggiata per le colline dell'Inghilterra: Londra è tanto lontana da sembrare iridata e lucente, ma non a sufficienza, per non influenzare la vita e le mode delle famiglie locali. In particolare, la penna vivace e arguta della Austen si posa sulla vita della famiglia Bennet, sempre affettuosamente tratteggiata. Il signor Bennet (meraviglioso esempio di humour inglese) ha il compito ingrato di far sposare le sue cinque figlie a buoni partiti, per accontentare la sua caricaturale consorte (donna frivola e volgare che fa sorridere per il suo ostentato amore per il lusso). Il sogno della famiglia Bennet sembra realizzarsi, quando arrivano in paese dei nobili dalla città: due fratelli, i Bingley, e l'amico di famiglia, Darcy. Se il primo rappresenta un esempio di nobile senza pregiudizi, al punto di innamorarsi della timida ed eterea primogenita Jane Bennet, Darcy è un tenebroso, pronto a mascherarsi dietro una cortina di snobberia, quanto a incrociare infiniti duelli verbali con Elizabeth Bennet, cocciuta e acuta. Vari sono gli episodi che si intrecciano di capitolo in capitolo (sempre di misura contenuta), e tutti sono sorprendentemente fondamentali alla narrazione.

E poi ci sono i dialoghi. Svelti, intelligenti e spesso ironici: la Austen offre sempre una gran prova di prontezza, evitando così il rischio di appiattire il tutto a sterili conversazioni dell'epoca. Infatti, se anche vengono costruiti secondo i dettami linguistici del tempo, non manca una vena di humour inglese accattivante e giocosa. Proprio attraverso le stesse ipocrisie rivelate nelle conversazioni, la Austen non risparmia giudizi pungenti verso la società inglese contemporanea, ancorata al perbenismo, ma pronta al pettegolezzo e alla prevaricazione, nonché aipregiudizi.
Non è difficile capire che le premesse non sono particolarmente innovative, ma la maestria della Austen sta nella capacità di portare al sorriso, tanto quanto alla commozione. Per quanto sia indiscusso la preminenza di Elizabeth e Darcy, tutti i personaggi, persino l'odioso cugino, avido di fama e leccapiedi, si conquistano la simpatia e l'attenzione del lettore. Un possibile motivo? Sono così umani da materializzarsi, fin dalle primissime pagine.

Un buon risultato anche per i film che ne sono stati tratti, meglio la pellicola più fedele al testo, ovvero quella uscita negli Stati Uniti nel 1940, ancora in bianco e nero, per la regia di Robert Z. Leonard, con un convincente Laurence Olivier nel ruolo di Darcy, e l’affascinante Greer Garson in quello di Elizabeth. Non mi sembra comunque da disprezzare la riduzione cinematografica (di grande successo) di Joe Wright, nel 2005, con l’acclamatissima Keira Knightley e Mattew MacFadyen, sempre molto bravo.

GMG