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"Denti Guasti": Il neorealismo di Matteo De Simone

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Denti Guasti
di Matteo De Simone

Hacca, 2011
pp. 232, 14

E’ un gioco che faceva con papà quando era bambina. Prima di andare a dormire si mettevano sul balcone e guardavano la gente passare. E cercavano di capire dalla faccia se la gente si lavava i denti oppure no. Se uno aveva una faccia rovinata, gialla, rugosa, aveva certamente i denti guasti. (…) Era bello poter credere quello che volevi tu. Giudicare sull’apparenza e sghignazzare da lontano.
 Roman ha 19 anni ed è moldavo. Ha i denti perfetti, “non sono i denti di uno che ruba nei supermercati”. E invece nel supermercato di Torino dove incontra Giulia sta facendo scivolare sotto la manica una bottiglia di qualcosa, lo stesso qualcosa che si è insinuato nella vita della ragazza dopo la morte del padre come un ospite indesiderato, trascinando inesorabilmente nell'abbisso la madre Silvana. Ma Giulia negli occhi di Roman "ci ha visto subito la  paura" e gli ha comprato la bottiglia.
Un gesto di aiuto fa da incipit all'incontro delicato e fortuito con cui il giovane scrittore Matteo De Simone interseca due cosmi etnici separati e indifferenti che coabitano la nostra società; i due protagonisti, superficialmente così distanti, sono in realtà profondamente accumunati da un presente caratterizzato dal degrado, dalla mancanza di amore, dalla diversità: il delicato sentimento che nasce naturalmente tra loro, seppur acerbo, accompagna come un velo di speranza e di riscatto i pensieri di entrambi durante il susseguirsi di avvenimenti drammatici in un climax che si risolve in un amaro finale.
La trama procede da questo "snodo" in poi, così come era avvenuto prima dell'incontro, su due binari paralleli: la vita da immigrato clandestino appena sfuggito al "protettore" Ivan assieme al minorenne Silviu da un lato, la vita da studentessa italiana diciottenne, figlia di un' impiegata delle Poste alcolizzata, dall'altro.
Giulia riflette. Non sa se prima spegnere la musica. Oppure prendere subito mamma e portarla a letto. Oppure  chiudere semplicemente la porta del soggiorno e lasciare mamma così, come un dente guasto devitalizzato nella bocca della casa.
La poliedricità del giovane scrittore e musicista torinese Matteo De Simone (autore, cantante e bassista del trio rock indipendente Nadàr Solo http://www.myspace.com/nadarsolo) emerge non soltanto nella capacità con cui riesce attraverso un linguaggio semplice ma palpitante a non banalizzare personaggi e temi dall'essenza stereotipata, ma anche nella diversità dei temi affrontati: immigrazione e alcolismo sono infatti solo due dei temi trattati durante la narrazione. 
Personaggi e dinamiche che avvolgono "Un tram chiamato successo", il programma televisivo che ha "sfornato" il mito di Giulia, la cantante Caterina Samperri, dove la possibilità di riscatto e successso le vengono offerte seppur indirettamente dalla madre stessa, aprono profonde riflessioni su un altro tema: l'attualissimo mondo dei talent show, spietato, manipolatore, risultato di una società passiva, vittima dei suoi stessi sogni.
La focalizzazione interna, l'alternarsi del discorso indiretto libero a dialoghi estremamente realistici e crudi, così come la verità dolorosa e violenta delle vicende narrate, permettono di definire Denti Guasti un romanzo "Neo-Neorealista" in cui lo scrittore accompagna i personaggi in una Déchéance che ricorda quella presente nelle opere di Zola.
L'opera di De Simone non manca della presenza dell'ironia, seppur celata: la si ritrova nelle situazioni narrate, nei nomi dei "professori" che gravitano intorno al talent show (Beppe Vestali, Rudy Genovese, Grazia Di Marco...), ma sopratutto nelle vicende del personaggio secondario Marco Zecca, un agente immobiliare "che ha smesso di bucarsi" dalla deontologia discutibile, che richiama alla mente i più spassosi personaggi al limite del trash che popolano i romanzi di Ammaniti.
A far da cornice a questa "sceneggiatura di un film neorealista che preferiremmo non vedere" (dalla prefazione di Pierpaolo Capovilla, cantante de Il teatro degli orrori)  una Torino contemporanea e "civilissima", che si eleva a simbolo di un'Italia dal futuro incerto
E' bella Torino. (...) Se Silviu dovesse regalare Torino a una ragazza, prima toglierebbe la Mole. Magari solo la punta. La Mole rovina tutto. E' troppo alta, ma non è abbastanza alta. Non è la torre di Pisa, ma non è la torre Eiffel. Vista davanti alle montagne mette tristezza. Vorrebbe, lei vorrebbe ma non ce la fa. E messa al dito di una ragazza, potrebbe fare male a qualcuno. Se Silviu fosse l'artigiano che l'ha inventata, adesso guardando Torino direbbe tra sé: non ci siamo ancora.
Una denuncia pronunciata sottovoce quella di De Simone, indirizzata al modello fallimentare di una società in cui un'apparenza che stona con i sorrisi "senza macchia" di politici e personaggi del Jet Set autorizza all'emarginazione, al giudizio affrettato, al disinteresse e all'indifferenza per l'individuo stesso: i denti guasti diventano così simbolo e iperbole di povertà, del marcio del mondo da arginare, di uno specchio spesso ingannevole della natura dell'anima.
Non ci piace che la gente, gli italiani soprattutto, ci vedano coi denti così. Getta una cattiva luce sulla Romania. Sembra che non siamo gente per bene.
E allora forse il vero riscatto per l'uomo nasce dall'istinto di giustizia, di ricerca di quei valori comuni che possono cancellare la vergogna di un sorriso imperfetto e annientare il male attraverso l'amore.

Elisa Pardi