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Invito alla lettura di "Nineteen Eighty-Four": un monito contro il totalitarismo

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Titolo: Nineteen Eighty-Four (1984)
Autore: George Orwell
Anno di pubblicazione: 1949

Difficile da dimenticare, il dystopian novel di George Orwell che, pubblicato dopo la fine del secondo conflitto mondiale, è stato riproposto negli ultimi anni all'attenzione del grande pubblico televisivo per aver fornito il titolo a un famoso reality, il “Grande Fratello”.

Il riferimento non è semplice aneddotica, perché l'equazione 1984 = romanzo del Grande Fratello va rivista alla luce di più profonde considerazioni. Laddove il reality “svilisce” l'onnipresenza del Grande Fratello in un compiaciuto voyeurismo offerto ai telespettatori, il romanzo presenta in tinte ben più tetre e inquietanti la realtà di un “futuro possibile” (il 1984) dominato da un totalitarismo oppressivo. La “presenza” del Grande Fratello si esprime attraverso la continua trasmissione sui teleschermi di un volto virile vistosamente assimilabile a Adolf Hitler, ma soprattutto a Iosif “Stalin” Vissarionovič Džugašvili (della sua profonda avversione nei confronti della degenerazione del socialismo Orwell aveva già dato prova nell'allegorico The Animal Farm). Il Grande Fratello è e non è, come una misteriosa divinità della cui reale esistenza nulla è possibile sapere: un feticcio di odio e morte da adorare senza chiedere spiegazioni.

Il mondo di Nineteen Eighty-Four è il regno dispotico della non-verità, il regime della falsificazione: lo stesso protagonista, Winston, ne è in un certo senso il sacerdote. Il potere del Partito controlla le vite degli uomini, distorce le loro aspettative: i tentacoli dell'Ingsoc (Socing) si insinuano nel presente, nel futuro e nel passato, modificandolo irrimediabilmente. Orwell si spinge ancora oltre le prove di mistificazione offerte dai totalitarismi “storici” (nazismo, stalinismo, e il “totalitarismo imperfetto”, il fascismo): la distorsione del passato è attuata con spaventosa, scientifica sistematicità. Le informazioni sono trasformate secondo le esigenze del partito e gli uomini, gli “omuncoli-scarafaggio”, sono educati a convivere con queste continue incoerenze tra il passato “ufficiale” e i loro personali ricordi tramite la tecnica del double-think (bipensiero). “In generale, più si sa, più grande è la delusione: il più intelligente è anche il meno sano di mente.” Questo il principio che dovrebbe legittimare il double- think, il mostruoso sistema di pensiero la cui ortodossia viene tutelata dalla thought-police (psicopolizia) e dal monitoraggio incessante effettuato ad opera dei teleschermi, che trasmettono e ricevono simultaneamente, (che possono essere oscurati ma mai spenti del tutto), registrando, scrutando, riprendendo ogni gesto, parola o sguardo ma anche interpretando un tic poiché “even a back can be revealing”. All'individuo, in Nineteen Eighty-Four, non è permesso esistere, pensare, sognare, tanto meno tentare di realizzare se stesso: la pena di qualsiasi anelito alla libertà è l'annullamento, la regressione allo stato di nonperson (nonpersona), la morte per vaporization (vaporizzazione) e una damnatio memoriae che è il più temibile effetto della manipolazione del passato.

E' questa la vita gloriosa cui alludono i nomi di Victory Mansion, Victory Cigarettes ed i piani triennali che registrano continue sovrapproduzioni nella capitale dell’Oceania: London, Airstrip one (“base aerea uno”). Ma se gli incrementi produttivi sono davvero tali perché il cibo, i beni di prima necessità, la luce elettrica vengono continuamente razionati? Perché le impiccagioni di coloro che vogliono rovesciare il potere, il cinema sempre violento, le denunce da parte degli stessi figli nei riguardi di genitori, traditori del partito? Perché il mondo scivola verso l’oblio nel bisogno impellente di un gin con chiodi di garofano mentre le tue stesse ossa ti dicono che non può essere stato sempre così?

Winston Smith (il nome ricorda i patriottici appelli di Churchill, mentre il cognome è tipicamente inglese - e non a caso quello del suo antagonista, O’ Brien, è peculiarmente irlandese a rimarcare l’ impossibilità di cancellare atavici rancori), è una figura fragile la cui salute è minata da un’ ulcera alla caviglia: il fisiologico ribadisce il messaggio metaforico: la persona non si regge in una società in cui vengono tolte la libertà, la ragione e la serenità.

Così i tre slogan “WAR IS PEACE, FREEDOM IS SLAVERY, IGNORANCE IS STRENGTH” (GUERRA E' PACE, LIBERTA' E' SCHIAVITU', IGNORANZA E' FORZA) riecheggiano tristemente rivelando i veri scopi del partito: la guerra con Eurasia ed Estasia, il metus hostis, per distogliere l’attenzione dai problemi interni, la xenofobia per tacitare l’odio verso le gerarchie; la libertà entro la misura stabilita dal fantomatico Big Brother, libertà di essere come gli altri ti impongono di essere; l’inconsapevolezza come forza dei gerarchi.

Ovviamente le restrizioni valgono per tutti meno che per i proles (prolet), trattati alla stregua degli animali perché subalterni al punto da non essere considerati nemmeno umani… eppure dalla massa proletaria deve, secondo Winston, venire la riscossa. In attesa che qualcosa cambi il solo modo per non dimenticare, per trattenere qualche frammento dilaniato di una storia “a brandelli” è scrivere. La scrittura come “emorragia dell’anima” che fa riaffiorare da uno stato comatoso memorie a lungo sopite e con esse dubbi “principi di certezza”. La prosa del protagonista diventa quasi maniacale, compulsiva, tralasciando maiuscole e punteggiatura nell’urgenza di esternare la rabbia, nel più distopico degli stream of consciousness. E se Winston diventa nel corso del romanzo un dead man walking, il suo assassinio un vero e proprio processo di annichilimento, in cui la persona rinnega sé stessa per amare un Big Brother che non conosce il perdono.

Si tratta di un romanzo che è al contempo storia dell'orrore e allarme per il futuro, e potrebbe essere tranquillamente accostato a Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt in un'ipotetica biblioteca della libertà. Un romanzo che, per dirla con Jonas, può educare a una “euristica della paura” che ci spinga ad evitare estremismi, oppressione, e qualsiasi forma di ottusità mentale.


Laura Ingallinella & Eva Maria Esposto Ultimo