di Claudio Panzavolta
Ponte alle Grazie, maggio 2025
«Non tutto ciò che è sepolto giace in pace. Alcune storie, anche se vecchie, aspettano ancora qualcuno che abbia il coraggio di ascoltarle.»
Con Lascia stare i morti, Claudio Panzavolta torna al noir con una scrittura matura e affilata, ma è un noir che affonda le radici in qualcosa di più profondo e perturbante: la memoria collettiva, la colpa che si tramanda come un’eredità muta, e l’impossibilità o il rifiuto di lasciare andare i fantasmi. Il romanzo si distingue per la sua capacità di mescolare un’indagine classica a un’indagine interiore, in cui la verità è un territorio accidentato, e spesso scomodo da abitare.
Protagonista e voce narrante è Ciparisso Briganti, nome già di per sé indimenticabile, che sa di greco antico e di campagna romagnola, di mito. Ex poliziotto, partigiano da giovane (cosa che ha contribuito al suo congedo) ora investigatore privato e resistente alla retorica del “caso chiuso”, Ciparisso riceve una visita: una donna gli chiede di riaprire il fascicolo di un duplice omicidio di adolescenti, consumato trent’anni prima in una casa ormai divorata dalla ruggine e dal tempo. Ciparisso acconsente, non per eroismo, bensì per necessità, perché qualcosa dentro di lui non ha mai smesso di chiedere giustizia.
L’ombra del passato bussa alla sua porta e un uomo, forse condannato ingiustamente, chiede verità, almeno da morto, visto che l’infamia degli infanticidi, che il fornaio Federico Ronconi si porta dietro, nonostante li abbia confessati, sembrerebbero portare da un’altra parte, proprio grazie a un biglietto lasciato dal presunto colpevole. La figlia chiede quindi a Briganti di riaprire le indagini. L’investigatore dovrà fare i conti con i peccati della Prima Repubblica, mentre le ombre degli anni di piombo arrivano a soffocare la sua provincia.
Panzavolta evita la spettacolarizzazione della trama per privilegiare un tono grave e riflessivo. L’indagine si muove su due piani paralleli: quello dei fatti – che si srotolano lentamente, tra reticenze, paure, confessioni parziali – e quello della coscienza, dove Ciparisso si confronta con le proprie omissioni, i compromessi del passato, e un senso di fallimento che non cerca redenzione ma riconoscimento.
Lo stile è secco, controllato, ma capace di balzi improvvisi. La campagna emiliana non è un semplice sfondo, ma un organismo vivo, ferito, che partecipa al mistero. Le nebbie, le strade secondarie, le case dove si aspetta in silenzio: tutto nel romanzo contribuisce a creare una tensione che non è solo narrativa, ma morale.
Il titolo “Lascia stare i morti” si trasforma progressivamente in domanda: davvero possiamo lasciare stare i morti, quando i vivi non hanno mai fatto i conti con loro? La risposta che Panzavolta costruisce, pezzo dopo pezzo, è disturbante ma necessaria: il passato non è un’ombra alle spalle, ma un riflesso nel presente. E chi sceglie di guardarlo negli occhi sa che ne uscirà trasformato o consumato.
Samantha Viva
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