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Storia della fama di Alessandro Lolli: come siamo diventati dei palcoscenici?

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Storia della Fama
di Alessandro Lolli
effequ, 2025

pp 235
 17,10 (cartaceo)
 10,99 (e book)

Cosa hanno in comune Napoleone, Marx, Fedez, Giulio Cesare e Taylor Swift?
Storia della fama di Alessandro Lolli è un saggio sociologico, antropologico (e quindi imprescindibilmente psicologico), ma soprattutto storico, nel senso di storicizzazione di un fenomeno, finalizzata a capirne l'evoluzione, l'adattamento e le risposte collettive all'evoluzione e – eventualmente – a immaginare con cognizione di causa i correlati scenari futuri. 

SAPPIAMO COSA SIGNIFICA FAMA?

La fama, se analizzata in una prospettiva storica, è un concetto complicato da condensare in un significato granitico. L'autore, quindi, procede escludendo le definizioni non rispondenti alla ricerca di un collante comune. La celebrità non è sinonimo di status, anzi è probabilmente il suo contrario; esibire uno status vuol dire utilizzare una gamma di simboli per dimostrare di appartenere ad una determinata classe sociale e/o culturale (il Rolex, i jeans strappati, il filler alle labbra, la cravatta, per comunicare all'altro in quale cluster ci si trova). La fama non rivendica la classe, esibisce l'individuo in quanto singolo, unico, non ripetibile. Non significa  reputazione, che invece appartiene a qualunque cerchia sociale piccola o grande che sia, buona o cattiva che sia. E non è nemmeno assimilabile al denaro, se pensiamo che Taylor Swift ha un patrimonio che corrisponde a un centesimo di quello della fondatrice di L'Oréal, della quale non conosciamo il volto. E allora cos'è questa fama? «Essere noti a chi ci è ignoto, dunque un rapporto di conoscenza asimmetrico» (p. 53).

DA GIULIO CESARE A CHIARA FERRAGNI: QUELLO CHE È SUCCESSO NEL MENTRE

L'excursus storico dei primi capitoli è davvero molto interessante, perché offre una prospettiva di relativizzazione del concetto rispetto al contesto, sembra quindi di fare un veloce viaggio nel tempo che meriterebbe lunghi dibattiti, ma qui in questo paragrafo mi fermo alla cronaca. Nell'antica Roma la fama era totalmente legata al concetto di vita pubblica e cursus honorum, ovvero avere un ruolo attivo conquistato nel tempo nella gestione della cosa pubblica. Non potendo valicare i confini geografici per mancati mezzi di comunicazione idonei la fama era attribuibile post mortem. Nel Medioevo fama e cristianesimo sono due concetti osmotici, si pensi alla Commedia e a Dante che rende famosa una cerchia di persone prima note soltanto nel territorio fiorentino attraverso gli archetipi di inferno, purgatorio e paradiso. Il primo punto di svolta storica si ha con l'invenzione della stampa nel 1450: la riproducibilità delle opere consente la diffusione di visibilità e narrazione e se qualcosa può essere visto allora quel qualcosa moltiplica la sua esistenza. Intorno al 1700 la stampa con il primo quotidiano "The Daily Courant" a Londra si inaugura un nuovo filone storico: quello delle protocelebrità; non solo regnanti, sovrani e personaggi raccontati potevano diventare famosi, ma finalmente l'accesso alla fama iniziava a democratizzarsi attraverso i media e quello che oggi definiamo dibattito pubblico (o gossip). Nel ventesimo secolo si susseguono l'era del divismo, la fama diventa appannaggio di attori e attrici, quella delle meteore che possiamo riassumere con il nome di Andy Warhol. Con l'avvento della televisione, facendo un salto temporale, arriviamo ai talent e ai quiz, fino ad approdare alla fama digital e social, quella contemporanea.

8 MILIARDI DI CELEBRITÀ

«La fama di massa non è il tuffo in piscina al grido Italia Unooo o la comparsata nei reality show, come ancora si credeva all'inizio del millennio. È una modalità costante attraverso cui ci relazioniamo tra noi, l'insieme dei palcoscenici che siamo, su ogni social che abbiamo deciso di frequentare» (p. 167). 
Negli ultimi capitoli del testo siamo in grado di analizzare l'oggi con una maggiore consapevolezza e ci troviamo davanti all'epoca dei social network e della creazione di contenuti, in cui siamo tutti delle potenziali celebrità. Ma siccome uno su mille ce la fa, gli altri 999 che fanno? E quell'1 con cosa si misura e confronta? Cosa ne facciamo di quella dose di dopamina che proprio a livello neuronale un like scatena? Ne vogliamo altra? Come la ricerchiamo e a costo di cosa? Dall'attivismo, alla politica, passando per il beauty e per OnlyFans, tutto passa sotto la lente della simulata autenticità, il valore di riferimento della fama contemporanea, e dalle metriche di misurazione dell'individuo (un tempo era Auditel oggi sono i follower, un tempo le metriche riguardavano un prodotto oggi riguardano la persona). Come l'Intelligenza Artificiale inferisce e inferirà in questi processi è ancora da scrivere, sicuramente si possono intravedere degli scenari, che sembrano dire "O self branding o muerte".

INDIVIDUALISMO, NARCISISMO, VIRTUE SIGNALING

«Fin dalle origini il Cristianesimo ha messo in guardia sulle insidie della vanità. State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, fa dire Matteo a Gesù» (p. 37).
Non sono quindi concetti recenti quelli dell'individualismo, del narcisismo e del virtue signaling (che certamente né Matteo né Sant'Agostino e nemmeno Gesù chiamavano così. Virtue signaling è «l' accusa che si rivolge sui social, a chi esprime un'opinione o sposa una causa con lo scopo principale di segnare la propria virtù, di farsi notare, insomma» (p. 194). Questa desiderata notorietà rappresenta anche un potenziale capitale relazionale e quindi anche economico, rispetto al contesto di cui parliamo. In una sintesi semplicistica: più mi espongo, più mi connoto, più polarizzo la mia posizione più mi conoscono, più sono nota, più capitalizzo. Tutto però dovendo sembrare il più reale possibile nella percezione altrui, che parallelamente alza il livello della propria diffidenza, avendo capito il gioco. 

ESISTE UNA MATRICE PSICOLOGICA?

Considerando che si tratta di un fenomeno che cambia connotati ma che resta trasversale a tutte le epoche storiche, risulta complicato analizzare la fama di ieri con gli strumenti di oggi. Invece, probabilmente più attuale risulta indagare una matrice psicologica contemporanea della fama. Lolli analizza una serie di personaggi famosi e relativi comportamenti rispetto alla propria condizione, ognuno con reazioni e posizioni diverse. Una volta assunto che la fama è una relazione parasociale, ovvero il fan percepisce di avere un reale rapporto con la persona nota, sente di conoscerla, pur non avendola probabilmente mai incontrata, sono sufficienti pochi strumenti di psicologia per assimilare questo al concetto di idealizzazione. Ma, estendendo a entrambi i soggetti in causa il concetto di idealizzazione, anche il personaggio famoso ne è profondamente intriso. Succede così che la celebrità non si sottrae ad un autografo o ad un selfie nella paura di rompere l'ipnosi da simulazione di una relazione. 
Possiamo dunque affermare che la fama è una strategia difensiva psicologica per mantenere il rapporto in una forma idealizzata, in un gioco di proiezioni di immagini finalizzato a marginalizzare il rischio di un rapporto reale e delle connesse delusioni?  

Rossella Lacedra