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Il delitto è di nuovo tra i libri, nel nuovo romanzo di Piergiorgio Pulixi: "Se i gatti potessero parlare" (la soluzione dei casi sarebbe più semplice)

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Se i gatti potessero parlare
di Piergiorgio Pulixi
Marsilio, 2025

pp. 351
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Sono passati mesi dall’ultimo incontro del “Club degli investigatori del martedì” alla libreria Les Chats Noir. E se, in questi mesi, non è cambiato il caratteraccio del libraio, Marzio Montecristo, che non ha perso l’abitudine di mandare a quel paese con eccessiva leggerezza amici e – malauguratamente – anche clienti, certo è cambiato il contesto in cui l’uomo si muove, e non in meglio. La libreria è infatti sull’orlo del fallimento, la poliziotta Angela Dimase, di cui è segretamente innamorato, è in viaggio di nozze con un altro uomo e le condizioni di salute di Nunzia, figura di riferimento per Marzio, ma da anni ormai ricoverata in una casa di riposo, stanno peggiorando troppo rapidamente. L’abitudine a coprire la sofferenza, e un cuore d’oro, dietro a modi ruvidi porta Marzio a voler affrontare tutto da solo, e a consolarlo non bastano la presenza di Poirot e Miss Marple, i gatti neri che già nel volume precedente erano le mascotte della libreria, o la saggezza di Greta, la gattara senzatetto che sopravvive anche grazie alle sue piccole attenzioni.

In balia di problemi che gli sembrano insormontabili, Marzio rimette insieme il Club del giallo, affidandosi ai suoi membri in cerca di quell’aiuto che non ha prima osato chiedere. Certo, la combriccola rimane stravagante e pittoresca:

“Un libraio sull’orlo del fallimento, un frate fin troppo esuberante, un’ottantenne vedova nera fissata con i serial killer, una ragazzina gotica che sogna di uccidere qualcuno e un poliziotto cornuto, disincantato ed ex alcolizzato. […] E chi ci ferma più?” (p. 107)

L’affetto sincero che lega personaggi così diversi l’uno all’altro, a costituire una sorta di famiglia d’elezione, basata non sul sangue ma sulla reciproca accettazione e su una passione comune (quella, appunto, per le detective stories), contrasta violentemente e volutamente, nella costruzione della trama che procede per capitoli alterni, con una diversa rete di relazioni, articolata intorno a ipocrisie, bugie e tradimenti.

Si tratta di quella che lega il pluripremiato scrittore Aristide Galeazzo ai propri congiunti (la moglie, la figlia, ma anche il giovane assistente, gli editori, la social media manager…). All’inizio della narrazione, viene presentato un Aristide già sconvolto e furente: ha scoperto, grazie a un valido investigatore privato, che tutto ciò in cui ha sempre creduto è in realtà un castello di finzioni, eretto da chi più gli è vicino. Ha deciso così di ordire la sua suprema vendetta: si tratterà, da un lato, di uccidere il suo personaggio di punta, il detective Umberto Brizzi, sottraendolo al controllo di tutti coloro che si sono arricchiti grazie a lui; dall’altro, di smascherare pubblicamente e in modo scenografico tutti i responsabili dell’inganno, rivelando al mondo i loro scheletri nell’armadio.

L’occasione propizia sarà offerta da un evento pubblicitario organizzato, con grande dispiegamento di risorse, dall’editore francese: una crociera di lancio del suo ultimo romanzo, Maestrale di sangue. Al viaggio promozionale, che circumnavigherà Sardegna e Corsica per approdare poi in Costa Azzurra, parteciperanno tutte le persone che ruotano intorno alla serie di Brizzi (nella versione letteraria e cinematografica), ma anche i lettori appassionati e alcuni piccoli librai indipendenti, che si occuperanno dei firmacopie.

Quando Marzio viene invitato, quasi per caso, a partecipare al tour, questa parrebbe la soluzione a molte delle sue angosce: si prospettano infatti lauti guadagni, con cui l’uomo potrebbe saldare i debiti de Les Chats Noir, e permettersi un centro specializzato per accudire Nunzia. A ostacolare questa possibilità, si pone però un minuscolo, insignificante dettaglio:

Marzio […] detestava Aristide Galeazzo. Brizzi raccoglieva tutti i peggiori e strausati cliché del genere. […] Non era un personaggio che giocava con i codici del noir: ne era del tutto schiavo. E questo […] lo rendeva patetico, macchiettistico e prevedibile. (pp. 123-124)

Nella scelta, infine, di imbarcarsi pesa non poco la minaccia di licenziamento di Patricia, la sua unica collaboratrice, e la possibilità sempre meno remota di ritrovarsi di lì a poco a fare compagnia sulla strada a Greta e ai suoi gattini. I buoni propositi, però, non sono sufficienti a frenare un carattere irruente, e uno spirito per natura caustico e pessimista. Tanto Montecristo, quanto l’amico poliziotto Caruso, nuovo adepto del Club che lo accompagna nel viaggio, esprimono i timori non troppo velati che in qualche modo finisca per «scapparci il morto»; ma quelle che inizialmente paiono battute tra il serio e il faceto improvvisamente rivelano il proprio valore di presagio.

Nel bilancio del volume, viene forse prolungata eccessivamente la fase di preparazione, tanto che il lettore inizia a fremere nell’attesa che tutti siano a bordo e la Mise en abyme finalmente si decida a salpare. Quando poi la nave prende il mare, però, la trama subisce un’accelerazione improvvisa: Marzio non resiste neanche poche ore prima di rivelare – e in maniera piuttosto plateale – cosa pensi veramente di Aristide Galeazzo e delle sue opere, e durante la prima notte di viaggio il morto ci scappa sul serio: è proprio lo scrittore, trovato riverso in biblioteca sul suo ultimo manoscritto, quello che avrebbe dovuto sancire la fine della serie su Brizzi.

Non pensi chi legge che si sia svelato troppo della trama: con la morte dello scrittore, in medias res, si apre infatti il romanzo. Ciò che è da scoprire, quindi, è a chi appartenga il volto nell’ombra, la figura misteriosa che ha vantato di poter orchestrare il «delitto perfetto» (p. 159).
Come nel precedente La libreria dei gatti neri, l’umorismo pungente di Pulixi, prestato al sarcasmo di Montecristo, conferisce ritmo alla narrazione anche nei punti di transizione, rendendo la fruizione godibile e accattivante, distensiva nonostante il sapiente utilizzo delle strategie di costruzione della tensione (e, per quanto possa apparire paradossale, le due sensazioni apparentemente antitetiche riescono ad armonizzarsi sempre piacevolmente nel volume).

Maestro del genere, Pulixi ha una bella penna anche quando sceglie di giocare, e l’opera si riempie quindi di citazioni e riferimenti che il pubblico esperto è chiamato a riconoscere (dal più esplicito ipotesto, Assassinio sul Nilo di Agatha Christie, ad altre opere decisamente più di nicchia). Quello che viene rappresentato è un gioco di specchi, in cui i riflessi possono essere traditori: al centro, un delitto letterario, che simula altri delitti letterari, e che coinvolge, in veste di vittima, uno scrittore di romanzi gialli, e nella veste di investigatore improvvisato un esperto del genere narrativo, che ne conosce tutti gli stilemi e gli espedienti. Si tratta quindi di un’opera metanarrativa, in cui si svela anche il significato nascosto nel nome della nave: la myse en abyme è infatti la strategia narrativa del rispecchiamento e della vertigine, che qui rappresenta una sfida diretta anche al lettore. Il modello è quello del “delitto nella stanza chiusa”, l’investigazione segue le procedure del giallo classico… ma nient’affatto classica sarà la soluzione, che certamente sorprenderà anche chi abbia provato a formulare qualche ipotesi, magari lasciandosi ispirare dai numi tutelari dell’indagine, i fedeli e immancabili Miss Marple e Poirot. 

Carolina Pernigo