in

Il posto dove le parole si disgelano. Memoria e istante in "Romanzo senza umani" di Paolo Di Paolo

- -

 


Romanzo senza umani
di Paolo Di Paolo
Feltrinelli, 2023

pp. 224
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Perché si è raffreddato tutto?» è la domanda storica ed esistenziale che attanaglia Mauro Barbi, l'io narrante che in preda a una crisi di panico calma, a un'urgenza fredda, acquista un biglietto ferroviario Venezia Mestre-Monaco di Baviera e in un post-it annota sette nomi: gente della sua vita. 

Barbi vuole riannodare i fili interrotti dei rapporti con queste persone, non tanto per nostalgia sentimentale, ma perché pretende che i suoi ricordi coincidano con quelli degli altri; vuole cioè raccontare la propria versione dei fatti accaduti e, allo stesso tempo, fugare il timore di essere stato dimenticato. Barbi ricorda tutto, è l'uomo della memoria, e non solo perché di professione fa lo storico, ma perché delle persone conosciute, dei pomeriggi trascorsi, dei dialoghi avuti, lui ricorda i dettagli, l'intonazione, le movenze, le atmosfere. 

E così, quando il suo PC mostra ossessivamente la notifica risparmiare spazio ottimizzando l'archivio, è davvero un'indicazione da leggere in chiave esistenziale. L'archivio della memoria di Mauro Barbi è sovraccarico, ma - come il buon Nietzsche sapeva - un eccesso di senso storico inibisce la capacità di fare nel presente e il presente di Mauro è deserto e algido come il mondo senza umani che viene narrato in capitoli che si intersecano alla trama principale, in cui, dismessa l'intimità della voce narrante, l'autore narra della piccola glaciazione che colpì l'Europa nella seconda metà del Cinquecento. Questo è l'argomento della tesi e della specializzazione dello storico Barbi, che lo porta a fare un periplo lungo il lago di Costanza, che tra il 1560 e il 1575 gelò in media una volta ogni cinque anni e nel biennio 1572-73 rimase permanentemente ghiacciato. Il lago di Costanza è un correlativo oggettivo in questo romanzo, perché Barbi, viaggiando lungo le sponde di questo lago, affronta la sua  piccola era glaciale privata, un analogo processo di raffreddamento che spopola e devitalizza. Mentre Mauro immagina l'immensa lastra di ghiaccio che quasi cinque secoli fa ricopriva il lago, gli uccelli morti, la mancanza di cibo, gli alberi ischeletriti, le anatre assiderate, si chiede:

Com'è che ci siamo persi? È arrivato il momento di ricostruire le ragioni di un esodo - lo spopolamento del paesaggio della mia esistenza: devo essermi distratto, è passato il tempo, mi sono guardato intorno e un mucchio di gente non c'era più. Ancora in vita, per carità, ma non più nella mia. Dove siete tutti? State già dormendo? (p. 83)

La vita di Mauro Barbi è davvero un romanzo senza umani, segnato dal suo gironzolare notturno il più delle volte senza meta, con interlocutori occasionali o sottratti caparbiamente al passato: mail a cui risponde dopo quindici anni, telefonate a compagni di scuola, al vecchio prof, alla ragazza per cui si aveva una cotta. Diverso sarà per la donna amata.

Il telefono e la mail sono simbolo della distanza, di una comunicazione inautentica, di una distanza che non si può colmare perché gli altri hanno risparmiato spazio ottimizzando l'archivio, cioè lo hanno dimenticato. Così, ci chiediamo con Barbi, «quando non c'è nessuno, che rumore fa il mondo?».

Nel susseguirsi dei capitoli, legati fra loro da una sorta di enjambements che creano un flusso continuo di pensieri che evidenzia concetti, che aggancia simboli, impariamo a riconoscere il "rumore" della solitudine. È un rumore fatto anche di parole inautentiche, come quelle dei messaggi che sommergono Mauro alla sua apparizione televisiva. È la tragica constatazione che si è ricordati solo quando si appare. Nel vociante insieme dei messaggi che intasano lo smartphone di Mauro, l'unica interlocutrice - l'unica che gli viene in soccorso quando lui si distrae dalla domanda del presentatore, l'unica con cui si hanno ricordi condivisi - è Anna. L'unica con cui vale la pena spaccare il ghiaccio del tempo.

Insieme a lei, le uniche altre parole vere sono quelle scritte allo studente che ha cercato disperatamente una risposta via mail con Barbi. Prima scritte e poi cancellate, riaggiustate, addomesticate, ma che nell'immediata sincerità rivelavano il cuore di Mauro:

in certe giornate - no, non dico buone, dico stranamente energiche, inutilmente energiche - mi prende la smania di difendere ciò in cui ho creduto, e forse ancora credo, come se fossi un vescovo nella diocesi del Valore-dello-Studio-e-della-Bellezza-e-della-Profondità. In altre giornate, altrettanto inutili ma meno energiche e più rassegnate, forse perfino più serene, sento che al fondo, in uno strato di me oscuro e ultimo, non me ne frega più niente, non ho l'intenzione di difendere niente, e che se mi chiedi qual è il valore di questo o di quello, ecco, non riconosco alcun valore: riconosco solo me stesso devoto a una causa, a una specie di senso intermedio che non è il Senso, ma il surrogato benefico e provvidenziale che mi ha permesso - che mi permette - di tirare avanti. (p. 149)

Come dirà poco dopo, «è pur vero che qualche volta, scrivendo agli altri, si scrive a se stessi» (p. 152) e nel capitolo otto Barbi approda alla scrittura, in un incipit di un romanzo senza umani, che si chiude in circolo, riproponendo l'incipit. Il romanzo che abbiamo finora letto è il romanzo che Barbi ha alla fine deciso di scrivere per trovare il luogo in cui le parole disgelano. La citazione è di Rabelais e

dice che una volta scongelate, finalmente, le parole si riescono a sentire. E si riconoscono. (p. 194)

A me piace pensare che questo posto in cui le parole disgelano sia la letteratura. In che modo essa disgela le parole? Raccontando «ciò che viviamo mentre accade» (p. 196), ricordandoci l'irripetibilità dell'istante, la sua pienezza. 

Mi denuncio testimone oculare del vostro esserci stati. Non chiedo niente in cambio. Ho conservato l'intensità di una vostra espressione assorta, con il mare davanti. Un silenzio che rivela un'angoscia. Una sequenza di parole esatte. (p. 204)

L'aggettivo esatte, così mitteleuropeo, riassume tanti echi che è possibile cogliere in questo viaggio nel centro dell'Europa di un novello Hans Castorp, che, come l'illustre predecessore, medita davanti a una radiografia. E se alla fine l'ultima parola ce l'avrà Sofia - ma non è possibile dire altro, per non rovinare la sorpresa -, le Considerazioni inattuali di questo storico sono redatte sotto il segno del disgelo.

Deborah Donato