«Troppo dentro, troppo fuori, non tenevo mai il passo e se camminavo con qualcuno restavo sempre un poco indietro, un poco avanti, vestita con qualcos'altro rispetto a quello che l'occasione richiedeva.In famiglia mi raccontavano che da bambina ero tale e quale, avulsa dalla realtà». (p. 45)
Ci sono scrittrici e scrittori che hanno il potere di lanciare ai lettori una sfida: accettare la semplicità formale del testo e andare oltre, scavare di strato in strato, fino a scoprire la profondità di un'opera solo in apparenza sentimentale e di formazione. Con il suo nuovo romanzo, Notte di vento che passa, Milena Agus fa esattamente questo: innanzitutto crea un'io-narrante diciannovenne, Cosima, che sente l'urgenza di ripercorrere al passato remoto gli eventi accaduti nell'ultimo anno, perché, per quanto recenti, le sembrano quasi incastonati in una vita lontana.
A lei affida un racconto scandito dal trascorrere delle stagioni. La sostanziale linearità del tempo non è però sinonimo di ingenuità narrativa: al contrario, se la realtà scorre inesorabile, giorno dopo giorno, tra eventi drammatici imprevedibili, incontri e prime volte che fanno crescere, la letteratura è al tempo stesso evasione dai problemi del quotidiano e chiave di lettura per leggere il proprio presente, in parte "letterarizzandolo", come suggerisce la professoressa di Lettere al liceo.
Ogni vita, anche quella apparentemente più semplice, è degna di essere scritta e, dunque ricordata, secondo la professoressa. E Cosima ci prova. Guardandosi attorno, Cosima può anzitutto vedere Cagliari, la città dove si è trasferita con i genitori e il fratellino, per provare a sfuggire alla "povertà" del paese. Una povertà che non li ha mai privati di tre pasti al giorno, ma che ha richiesto tanti sacrifici e un'oculatissima gestione delle spese. Sentirsi poveri è una costante nella vita di Cosima e soprattutto di sua madre (e non a caso questo tema appare già in apertura del romanzo), affetta da «un pessimismo che ti fa male dentro» (p. 71). Il padre, viceversa, mantiene quella capacità di sognare che riversa nei suoi quadri e in una visione del mondo mai disperata: quando non trova lavoro, si dedica alla casa e alla famiglia. Quanto al più piccolo di casa, detto il mutino, è difficile comprendere perché non parli né cammini, eppure per Cosima erano ravvisabili segni d'attenzione e di comprensione di quanto gli accade attorno.
Inoltre, a Cagliari Cosima vive il mare, le strade dove si trova più a suo agio con la famiglia che con gli amici, e la scuola. Lì, oltre alla già citata professoressa, vero nume tutelare e fonte di ispirazione costante per la protagonista, incontra il suo migliore amico, soprannominato Abya Yala, «perché passava le vacanze nei campi di lavoro in Africa, o in America Latina, ad Abya Yala, come i popoli indigeni chiamavano la Terra in fiore» (p. 23). Profondamente idealista e determinato a cambiare il mondo in prima persona, il ragazzo rifiuta le ricchezze di famiglia per vivere in modo modesto, coerentemente con le sue idee comuniste. Tra lui e Cosima c'è un'intesa profonda, priva di barriere: possono dirsi tutto con immediatezza e senza farsi problemi, sapendo che l'altro è in ascolto.
Eppure neanche questo legame speciale basta a rendere Cagliari casa. Tanta è infatti la nostalgia per il paese dove ancora abita la nonna, commiserata da tutti perché ai tempi fu una ragazza-madre. La donna non si è mai pentita della sua scelta di non rivelare il nome dell'amante fino alla morte della moglie di lui, come gesto di rispetto. L'uomo, ormai anziano e molto ricco, ha ammesso la loro relazione, ma questo non ha cambiato alcuna carta in tavola: lui continua a vivere in una lussuosa villa al Poetto, mentre la nonna e la sua famiglia lottano giorno per giorno per condurre una vita dignitosa. Anche per questa sua tenacia la nonna è un modello per Cosima.
Ma non è solo il desiderio di farle visita a spingere la ragazza a tornare al paese sempre più spesso: la ragazza passa sempre a salutare un'anziana del paese, zia Ausilia, che passa da sola la maggior parte del tempo. D'altra parte, il suo figlio prediletto si è sposato in Continente e raramente la chiama; l'altro figlio, Costantino, che vive accanto a lei, è un reietto ai suoi occhi, perché ha scelto di smettere di studiare, continuare a fare il pastore come i suoi avi, ma senza avere il loro fiuto per gli affari. Se aggiungiamo che pure la moglie lo ha lasciato e lui non costruisce alcuna relazione seria con le donne che frequenta, otteniamo il quadro di una figura che si tiene ai margini della società e che offre molte occasioni alle malelingue.
Invece, agli occhi di Cosima Costantino non è certo questo: a lei sembra un personaggio da romanzo, come confesserà al suo amico.
«Sembra uscito da Cime tempestose, o da Jane Eyre, o forse da un film western. Va a cavallo e quando gli dici qualcosa lui controbatte con due parole, poi si gira di spalle e se ne va, proprio come un pistolero senza nome. Ma forse, ora che lo conosco meglio, mi sembra assomigli a Kostantin Levin in Anna Karenina» (p. 59).
E a nulla serviranno gli ammonimenti di Abya Yala: Cosima si innamora perdutamente di quell'uomo di poche parole («Ho già parlato troppo di me. La mia è una vita che non vale certo la pena di raccontare. È per parlare di te che mi sono avvicinato. Ti vedo sempre con i libri, anche la domenica...», p. 75), che le dedica tempo e forse, chissà, anche sentimenti.
Così, nell'anno della maturità, Cosima affianca allo studio e alle tante letture il desiderio di rendere reali quei sentimenti e quelle scene erotiche che Grazia Deledda ha solo immaginato nei suoi romanzi. Lei, vuole avere invece il coraggio per realizzarli, a costo di mettere alla prova sé stessa, i pregiudizi e i luoghi comuni: cosa ha a che spartire una ragazzina così colta con un pastore adulto e disilluso, che solo nel suonare la fisarmonica si concede di essere creativo?
Nel portare avanti una storia molto diversa dalle precedenti con cui ha affascinato molti di noi in redazione, Milena Agus non dimentica mai di farci assaporare la lingua sarda, con tessere lessicali e proverbi, ma anche di farci camminare per quei luoghi che non smettono di ricordarci l'unicità della Sardegna, con la loro portata culturale e storica. Benché sia ambientato ai tempi nostri, Notte di vento che passa porta con sé un fascino di omaggio al passato, dal sapore deleddiano (a cominciare dal più svelato, ovvero dal nome della protagonista).
GMGhioni
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