in

Leggi oscure della provincia rurale: "Gente alla buona" di Mattia Grigolo racconta un paese e le sue colpe

- -



Gente alla buona
di Mattia Grigolo
Fandango, 2024

pp. 190
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Toni, quando una bugia la metti davanti allo specchio, diventa una verità. (p. 85)

Per lo scrittore e psichiatra Giuseppe Quaranta non possiamo immaginare di chiudere i ricordi in un armadio pretendendo di tirarli fuori a nostro piacimento e quella coi ricordi è una convivenza costante: sono qualcosa che non hanno a che fare col passato ma col presente, ci seguono sempre, determinano chi siamo ogni giorno. Citando sempre l'autore di La sindrome di Ræbenson (Atlantide, 2023)ogni ricordo somiglia a un capo inserito in una lavatrice: ciò che entra non esce mai uguale a come è entrato. Paragoni domestici a parte, loro influenzano sempre la direzione di ciò che scrive Mattia Grigolo, e si confondono ai segreti. 

I ricordi e i segreti sono l'ossatura del libro d'esordio, La Raggia (Pidgin, 2022), nel quale leggendo a ritroso due quaderni si scopre il grande crudele mistero dell'autore; quelli di Ofelia hanno incupito Temevo dicessi l'amore (Terrarossa, 2023). Se prima riguardavano un singolo, adesso riguardano la collettività: Gente alla buona è la storia del segreto di un paese.  Di come si tramanda, del male che provoca. 
Quello che Larcher aveva sottolineato, sforzandosi di chiamare l'amico che non sentiva più ormai molto, era che dentro quella storia non c'erano figli, padri e nonni. Non c'erano fucili e cartucce. Non c'era nessuno che aveva litigato, lottato chiuso in una villetta a schiera uguale ad altre villettine a schiera. In quella storia c'era il paese e i suoi codici, la sua forma, l'amalgama di tutti quando tutti sono uno solo, anche chi non c'è, chi non c'entra, chi sta dormendo, chi è lontano, chi è già morto e chi deve ancora nascere. (pp. 92-93) 
Siamo nella provincia rurale della bassa padana, tre amici d'infanzia ereditano i fantasmi di genitori amici da sempre tra sbronze, sfuriate e silenzi: Brando, Larcher e Sara sono cresciuti, eppure alla fine degli anni novanta era successo qualcosa, un omicidio, e da grandi devono sistemare le cose, saldare i conti col passato. Grigolo incrocia i destini di ragazzi prima e adulti poi in una trama con più archi temporali, diluita e frammentata, fatta di lunghi dialoghi e tanti non detti - racconta soprattutto le feroci dinamiche della provincia

Se per inquadrare ogni romanzo bisogna quasi sempre comprenderne il contesto, questo sforzo diventa necessario in Gente alla buona. Un paese è una stanza, un paese ha le sue regole - si autoregola. Le province hanno una vita propria, collettiva, che sopravvive di leggi autonome da ciò che sta al di fuori e lì ci deve restare. Qui codici e modi di fare si trasmettono di generazione in generazione, tutto si tocca e contagia, e ciò che compie un individuo sembra riguardare tutti: in paese ci si passa la colpa. In Gente alla buona si tramanda la responsabilità di un evento oscuro, come se tutti ne fossero responsabili perché, in quel modo, forse in fondo non lo è nessuno. 
I tre sono cresciuti insieme, quando ce n'è stato bisogno si sono divisi pure lo stesso letto, le donne mai. Sono figli di quelle campagne, ereditate dai loro padri e dalla guerra, sudate dal lavoro che non li ha nobilitati, ma induriti come biscotti secchi. Sono uomini del paese, padroni e schiavi della terra e della ridicolo economia di quel luogo. Sono contadini, becchini, barbieri, postini, netturbini, padroni di quelle quattro strade, di un posto sicuro tra le panche della chiesa la domenica, delle bestie che accudiscono e della sedia sulla quale stanno seduti. (pp.27-28)
Brando vaga tra i ricordi. Alcuni gli sembrano brutti sogni, immagini che non ha mai compreso, forse perché non hanno una spiegazione, che a volte le cose devono restare sospese nell'incrocio delle domande. Da bambino, quando gli incubi lo svegliavano, correva nella stanza dei genitori e si buttava nel letto con loro, abbracciato alla madre. Lei gli chiedeva cosa avesse sognato e Brando lo raccontava, allora lei gli diceva di non chiudere gli occhi e di pensare a qualcosa di bello. Una notte le aveva chiesto il motivo per cui non poteva chiudere gli occhi e lei gli aveva risposto che il brutto sogno era ancora lì dietro, ad aspettarlo, e se fosse stato sveglio, si sarebbe stancato di aspettare. I brutti ricordi sono la stessa cosa. Sono lì che aspettano di tornare quando si è più vulnerabili. E si è sempre fragili davanti al male. Le cose cattive sono più determinate delle cose buone. (p. 89) 
L'opera terza di Grigolo è un romanzo spezzettato e sinistro, un gioco di voci e incastri temporali. E, come in molti romanzi di questo tipo, tutte le pagine sembrano tendere a una scena finale risolutoria. Polanski scriveva i film al contrario, partendo dall'ultima sequenza per scorrere fino alla prima, e si ha la sensazione che Grigolo possa aver ragionato in quel modo (in La Raggia l'aveva fatto). Mattia, scrittore di spettri e violenze taciute, si distacca dalla compostezza Carveriana della precedente raccolta di racconti per abbracciare toni cruenti vicini all'opera d'esordio, sfumature noir che ne vestono la storia: la sua scrittura, in origine limata all'osso, si sta espandendo, prende spazio, concedendosi più parole, più momenti dilatati, e in questo caso concede campo alle personalità di personaggi in balia del passato e del paese intero - come Marione, il beccamorto, o padre Maurizio, chiacchieratissimo prete col vizio della bottiglia e della speranza.

Daniele Scalese