La raggia
di Mattia
Grigolo
Pidgin, 2022
pp. 136
€ 14 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Anche se non lo so se continuo a scrivere e se poi scrivo ancora non lo so perché lo sto facendo.Forse perché il disastro che ho combinato magarise ne escemi esce da dentro e me lo dimentico. Ma come si fa a dimenticare questa cosa qui? (p. 43)
Si dice a volte che l’arte sia una forma
di salvezza: che avvenga suonando uno strumento, dipingendo un quadro o
scolpendo un masso informe di marmo, nel corso della storia è successo diverse
volte che l’arte consentisse di superare quel baratro oltre il quale si
intravedevano solo orrore e disperazione.
Anche senza questo momento salvifico, in
ogni caso, è innegabile che per molti la scrittura ricopra un ruolo catartico,
o svolga anche solo una funzione terapeutica. Tutti abbiamo avuto, almeno per
un periodo della nostra vita, un diario segreto, un taccuino, dei fogli di
carta sparsi che usavamo per riportare le nostre frustrazioni e gli eventi
piacevoli. È ciò che succede al protagonista della Raggia, romanzo d’esordio
di Mattia Grigolo – che esordisce, sì, ma non è nuovo dell’ambiente avendo
pubblicato su diverse riviste, e avendone anche fondata una. Al ragazzo, adolescente
problematico che vive in una baracca insieme a un padre nullafacente e
violento, viene infatti consigliato di riportare i propri pensieri su carta,
così da tentare di gestire meglio le proprie emozioni. Ciò che leggiamo è
dunque una narrazione a cuore aperto di vicende vissute in prima persona.
La curiosità di quest’opera è la scelta –
azzeccatissima – di procedere all’inverso. Leggiamo i due quaderni partendo
(quasi) dalla fine, quando ormai le cose sono andate male e niente sembra
recuperabile, e proseguiamo cercando di capire cosa sia successo, cosa abbia condotto
i fatti verso la destinazione finale. Grigolo è bravo a usare un linguaggio
semplice – da adolescenti illetterati, appunto – e a caricarlo di tensione ed
emotività. La rabbia, sì, ma anche la paura, il pentimento, il rimorso, l’incertezza
sono tutte sensazioni palpabili, che emergono con forza soprattutto là dove le
parole sono poche. Vi sono infatti pagine che riportano appena due o tre righe,
come se chi scrive avesse sentito la necessità di buttare giù quei pensieri in
fretta e furia perché in qualche modo andavano tirati fuori. Quelle pagine sono
le migliori, perché la vacuità che hanno intorno, dettata visivamente dal
foglio bianco, incrementa il senso di angoscia.
Altro elemento notevole dell’effetto di
retrospezione che si ha leggendo la storia al contrario è il fatto che, a
differenza dei romanzi normali, qui l’atmosfera si fa – giustamente – più leggera
man mano che si prosegue nella lettura. Ma la leggerezza è solo apparente, così
come apparente è la felicità che ci trasmette il protagonista quando racconta i
primi incontri con Nina, la ragazza trovata morta nel fiume. Avendo ben impresse
sin dall’inizio le parole terribili con cui viene descritta la situazione
finale – in questo, molto fa la brevità della storia – non possiamo che vibrare
di orrore davanti alla comparsa della ragazza. Conoscere il finale porta solo
altro dolore.
Grigolo ha scritto una novella oscura nella
quale non c’è gioia, non c’è futuro e soprattutto non sembra esserci
redenzione. Al centro troviamo il disagio di un adolescente dall’animo sensibile
ma irrimediabilmente corrotto dall’ambiente in cui è cresciuto. La raggia
è una storia che racconta un singolo evento ma che lascia una sensazione di
vuoto e ingiustizia che, inevitabilmente, deve essere colmata dal lettore
attraverso una riflessione successiva, senza la quale la lettura è utile solo a
metà.
Un’ottima prova, di cui si attende un non
semplice seguito.
David Valentini
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