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La poesia di Forugh Farrokhzād: il desiderio femminile contro il millenario patriarcato culturale e letterario iraniano

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Io parlo dai confini della notte. Tutte le poesie 
di Forugh Farrokhzād
Bompiani, 25 ottobre 2023
 
A cura di Domenico Ingenito
Con testo persiano a fronte

pp. 800
€ 30,00 (cartaceo)

Stanotte oltre il cielo dei tuoi occhi
le stelle piovono sui miei versi,
nel silenzio di un foglio bianco
le mie dita seminano scintille.

La mia poesia folle e febbrile
nella vergogna della scia lasciata dalle voglie
vedere ardere di nuovo la sua figura
nella sete eterna dei fuochi.

[…]

Ah, lascia che io mi perda in te
e nessuno saprà più dove sono,
lo spirito rovente dei suoi sospiri umidi 
soffierà sul corpo della mia canzone.
(Da Dell’amare, tratta dalla raccolta La prigioniera, p. 221)
In alcuni Paesi del mondo, come l’Iran e l’Afghanistan, ancora oggi una donna non può parlare dell’amore passionale, non può esprimere il proprio desiderio sessuale neppure attraverso l’arte e la poesia. Forugh Farrokhzād lo ha fatto negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento in Iran, sfidando la morale comune e infrangendo le regole letterarie di una tradizione lirica millenaria. Nonostante oggi sia la più importante poetessa del modernismo letterario iraniano, alcune sue opere sono irreperibili e quelle che circolano sono impietosamente censurate: quando lei era in vita ed evidentemente ancora adesso, i temi e i metri lirici delle sue poesie apparvero moralmente riprovevoli e lontani dai canoni del tradizionale patriarcato letterario.
L’unica raccolta al mondo dell’intera produzione poetica di Forugh Farrokhzād è edita Bompiani, curata e tradotta da Domenico Ingenito, professore associato di Letteratura persiana all’Università della California, a Los Angeles. Nel volume è possibile trovare un’interessante ricostruzione della “biografia poetica” della poetessa,  morta in un incidente d’auto a soli trentadue anni, insieme alle poesie tradotte in italiano in versione integrale con testo persiano a fronte inserite in ordine di pubblicazione e alle note critiche alle diverse raccolte: tutto il lavoro è stato curato sempre dal professor Ingenito. Non è stato semplice recuperare l’intera produzione poetica di Farrokhzād, in quanto alcune raccolte sono introvabili in Nordamerica e in Europa e «ormai irreperibili in Iran e in Afghanistan» (p. 37). 
Sola, in questa notte io desidero lui
con i miei occhi perduti nell’incontro
con il dolore silenzioso della bellezza
e colma, ricolma della mia pienezza.

Lo voglio, voglio che mi stringa su di sé
che stringa me, estasiata, su di sé
che si avvinghi a tutto il mio essere
con quelle braccia calde di potenza.
[…]
Voglio che mi prenda, assetato,
selvatico, tremante e acceso,
come fiamma ribelle mi prenda ansimando
e non lasci che cenere di me nel letto.
(La notte e il desiderio, pp. 59-61)
Questi versi sono tratti dalla poesia La notte e il desiderio e appartengono alla prima raccolta di poesie di Forugh Farrokhzād, Prigioniera (1955), dedicata al marito Parviz Shapour (che sposò a sedici anni contro la volontà dei genitori e dal quale si separò dopo qualche tempo per inseguire la cometa della sua ispirazione artistica e viaggiare). Questa raccolta venne pubblicata a Teheran dall’editore Amir Kabir, che accettò di pubblicare un canzoniere così insolitamente corposo dietro la presentazione di un autore più famoso, quale garanzia del valore letterario del lavoro della giovane poetessa: le sue poesie purtroppo, come sottolinea Ingenito nelle Note ai testi, subirono un accurato labor limae non sempre rispettoso dell’originale (p. 749). Curioso notare come, nella precedente edizione di questa raccolta, fossero presenti ben undici illustrazioni di Mohammad Bahrāmi alquanto esplicite riguardo ai contenuti erotici e talvolta autoerotici dei componimenti di Farrokhzād. Di fronte all’ardire erotico e artistico di questa scrittura, critici e pubblico rimasero da subito spiazzati, fomentando tutta una serie di pettegolezzi sull’elevato numero di amanti della poetessa e gridando allo scandalo. Tra l’altro, soprattutto nelle prime raccolte di poesie, Farrokhzād non faceva mistero dei dettagli cronologici e geografici della sua vita privata all’epoca della composizione di quelle poesie (in questa sede ometterò di ripetere i dati biografici riguardo alla poetessa, per cui si rimanda alla recensione del libro Tutto il mio essere è un canto, curato da Faezeh Mardani, edito da Lindau).

La portata rivoluzionaria della poetica di questa giovane artista consisteva non soltanto nell’esprimere per la prima volta in assoluto il desiderio femminile, ma anche nel conservare l’io poetico femminile e utilizzare nuove forme metriche e nuovi ritmi. Come viene chiaramente spiegato dal professor Ingenito, anche attraverso le dichiarazioni e le lettere della celebre poetessa, in base alla consolidata consuetudine, risalente al medioevo iraniano,  una donna nelle sue poesie avrebbe dovuto adottare un io lirico maschile per rivolgersi a un destinatario amato maschile! Era successo alla poetessa Jahān Malek Khātun, contemporanea di Hāfez di Shiraz, il massimo poeta persiano del periodo classico, la quale, pur firmandosi donna, si era piegata ai canoni tradizionali parlando attraverso una voce lirica maschile. Farrokhzād rimane donna fino alla fine, non scende a compromessi e, avvicinandosi alla corrente della Nuova Poesia inaugurata da Nima Yushij, va anche oltre lo sperimentalismo moderato. In un Paese in cui la poesia classica è fortemente identitaria, va considerato il grande coraggio della nostra, e non soltanto la freschezza e la potenza dei suoi versi che parlano di una donna innamorata, che brucia di passione, che soffre per amore, che si sente prigioniera in un Paese che si ostina a non riconoscere alla donna il suo posto nella società e nel panorama culturale e artistico.
Io ho deciso con forza di rimanere una donna nella mia poesia. Non ho avuto bisogno di indossare una maschera di castità e purezza sul mio viso per nascondere fattezze interiori diverse. […] Coloro che vogliono attaccarmi con queste tattiche dovrebbero considerare che il mondo della poesia è un luogo che libera l’artista da questi vincoli esteriori. Inoltre, se mi sono rivolta alla poesia e all’arte, non è stato per vezzo o divertimento, ma perché per me queste cose sono la mia stessa vita. Quello che per me conta è l’emozione di essere in vita. Non voglio arrendermi alla tranquillità e alla felicità dell’anima e del cuore. […] Voglio che la mia poesia sia da cima a fondo colma di emozione e di ardore. (p. 756)

La poesia diventa allora «una divinità avida di sangue» (Il sacrificio, da Il muro, Op. cit. p. 265), ma foriera di ispirazione, energia e forza vitale. Mai porre limiti all’artista, che siano tematici o metrici, la sua voce deve essere piena e inconfondibile. In un Iran che fa fatica a modernizzarsi, sia nel secolo scorso che ai giorni nostri, dove i diritti delle donne vengono ignorati e calpestati, Farrokhzād invita le ragazze e le donne a liberarsi del velo delle convenzioni antiche, ad abbattere quello spirito debole e sottomesso che ha permesso all’uomo in millenni di storia a considerarle oggetti, beni di consumo.

Sollevati adesso e rivendica i tuoi diritti
sorella mia, perché stai in silenzio?
Sollevati adesso, d’ora in poi potrai bere
il sangue degli uomini tiranni.

[…]

Per quanto ancora sarai fonte di godimento
e piacere nel tempio della lussuria dell’uomo?
Per quanto ancora come serva sventurata
strofinerai la tua testa fiera sui suoi piedi?

Fino a quando per un pezzo di pane dovrai
sposare per poche ore un pellegrino centenario
o vedere la seconda e la terza moglie di tuo marito?
Fino a quando questa ingiustizia, sorella mia?
(Per mia sorella, p. 51)
Lungi dal voler assurgere a femminista, la nostra ha comunque scritto qualche poesia (Per mia sorella o anche Canto di battaglia, entrambe appartenenti alla raccolta Prigioniera) in cui il suo spirito ribelle e insofferente alla convenzioni sociali invita le donne iraniane a combattere la loro guerra per non essere più considerate subalterne all’uomo. Sicuramente, se fosse stata ancora qui con noi, si sarebbe schierata a fianco di coloro che stanno combattendo per i diritti fondamentali della donna in tutto in mondo, soprattutto nel suo Paese, e lo avrebbe fatto ancora attraverso la poesia, il suo strumento preferito, che lei sapeva padroneggiare alla perfezione, per esprimere attraverso il suo prepotente e irriducibile io individuale (e non condiviso come la tradizione vuole, e, soprattutto non maschile) l’ anima, il cuore e la vita di tutte le donne ridotte al silenzio.
Le sue liriche travalicano i confini del tempo e delle regioni geografiche, perché si fanno portavoce di sentimenti universali, toccando con delicatezza e suggestione le corde più profonde dell’animo umano: dalla prima raccolta Prigioniera, attraverso un percorso poetico già consapevole della propria potenza espressiva, Farrokhzād approda alle rime più mature de Il muro, Una rinascita e alla bellissima raccolta Crediamo pure all’inizio della stagione fredda. Il lettore troverà le raccolte in versione integrale, più le poesie postume e quelle scritte A quattro mani da Forugh Farrokhzād e Yadollah Royā’i. Un lavoro poderoso per onorare e custodire finalmente insieme tutte le poesie di colei che ha parlato a continua a parlare «dai confini delle notte» (il verso che dà il titolo al libro di Ingenito è tratto dalla poesia Il dono, da Una rinascita, p. 585) a tutti gli uomini e alle donne di ogni tempo e di ogni nazionalità.
Senza amici cui confidare il mio segreto
ripongo ogni lamento nel mio strumento,
il mio dolore si fa liuto: un colpo solo
per pizzicare le mie corde, la mia voce.
(Il vino e il sangue, p. 127)

Marianna Inserra