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Come risolvere un conflitto apparentemente irrisolvibile: "La pace possibile", di Edward Said

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La pace possibile. Riflessioni, critiche e prospettive sui rapporti Israele-palestinesi
di Edward W. Said
ilSaggiatore, dicembre 2023

Traduzione di Antonietta Torchiana

pp. 352
€ 24 (cartaceo)

In momenti di crisi, di confusione politica e sociale, il modo migliore per non sentirsi sovrastati e per capire meglio il proprio presente è informarsi e sviluppare spirito critico. Per farlo, la via più sicura è rivolgersi verso chi, nel nostro presente o nel passato, ha studiato i suoi tempi e ha cercato di spiegarli con completezza e onestà intellettuale. Uno di questi è Edward Said: palestinese di origine, è stato critico e insegnate alla Columbia University di New York e ha pubblicato sulle principali testate mondiali. Celebre per il saggio Orientalismo (1978), sull’immagine distorta e infondata che gli europei si fanno dell’Oriente, si è occupato a lungo della questione israelo-palestinese.

La pace possibile (ilSaggiatore) è il volume che raccoglie scritti su questo tema pubblicati tra il 2000 e il 2003, in un periodo significativo in quanto a invasioni militari e tentativi di soluzioni diplomatiche tra le due parti: dalla sigla dei trattati di Oslo – che sanciscono la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese per l’autogoverno di alcune aree ma di fatto espandono di molto quelle controllate da Israele – all’inizio della seconda Intifada, all’11 settembre 2001, fino all’attacco statunitense in Afghanistan. Una cosa interessante di questi testi va rimarcata subito: come ricorda Tony Judt nella prefazione, quelli qui raccolti erano tutti articoli destinati a essere pubblicati, in arabo, sul quotidiano del Cairo, «e offrono quindi ai lettori occidentali la possibilità di vedere in che modo l’autore si rivolga a un pubblico arabo» (p. 13). 

Le caratteristiche del suo approccio sono dunque tre: analizza, rimprovera, incita. Said infatti, mentre denuncia l’aggressività di Israele dove «coloni finanziati dallo stato sguazzano in piscine bordate d’erba incuranti dei bambini arabi che a pochi metri di distanza marciscono nei peggiori tuguri del pianeta», è molto critico anche verso il popolo arabo, incapace di dar vita a una leadership illuminata e diplomatica, istruita e non corrotta, in grado di comunicare onestamente con il suo popolo e non di usarlo come moneta di scambio. Scrive nel 2002, in Disunione e faziosità tra gli arabi
Ecco il vero problema: l’assenza, all’interno del mondo arabo e all’estero, di una leadership che comunichi con la propria popolazione, non attraverso dichiarazioni ufficiali che esprimono un’impersonale e quasi sprezzante mancanza di interesse per la sua cittadinanza, ma mediante una concreta dedizione e l’esempio personale. (p. 234)
Tra i temi più ricorrenti nelle sue letture politiche, al primo posto c’è sicuramente la dipendenza di Israele dagli USA e la pretesa di quest’ultimi di essere il perno di ogni mediazione. La generale sensazione di superiorità che l’America attribuisce a sé e a Israele, e la conseguente ghettizzazione del popolo arabo, è ben espressa in occasione dell’attentato alle torri gemelle, nell’articolo Riflessioni sull’America
Non conosco un solo arabo o musulmano americano, uomo o donna, che non abbia l’impressione di appartenere al campo nemico e non pensi che in questo momento il fatto di trovarci negli Stati Uniti ci costringa a vivere un’esperienza di alienazione particolarmente sgradevole e la sensazione di essere bersagli di un’ostilità diffusa. (p. 182) 
Ma già quattro mesi prima scriveva che «Israele quindi è stato interiorizzato come fantasia personale privata da tutti i suoi sostenitori americani» (p. 93). 
Said propone un’analisi lucida e non condizionata, nella quale si profilano non due Stati in guerra, ma uno Stato potente e spalleggiato dall’America, e un popolo povero e privo di mezzi, scacciato dalla sua terra, privato dei diritti dei profughi, e governato da leadership rovinose. Sono molte le questioni socio-politiche implicate nel conflitto, e che storicamente hanno reso difficile per l’opinione pubblica schierarsi completamente da una parte: Said, per esempio, spiega con delicatezza il ruolo che la tragedia dell’Olocausto ha giocato in primis nella costituzione di Israele, e poi dopo nel far chiudere un occhio sulle «politiche fondiarie razziste di Israele, delle sue spoliazioni, delle torture, della discriminazione sistematica dei palestinesi soltanto perché non sono ebrei» (p. 75). 

Il volume è un manuale preziosissimo tanto dal punto di vista storico, come archivio degli sviluppi principali del conflitto israelo-palestinese, quanto per leggere e ipotizzare possibili soluzioni a una questione che sembra doversi trascinare per sempre. Infatti, partendo dal fallimento dei trattati di Oslo e dalla denuncia dell'ipocrisia che la soluzione a due stati rappresenta, la proposta che Said avanza è quella di un unico stato nel quale arabi ed ebrei convivano nel rispetto reciproco. Di questioni affini, e con maggior attenzione alle specifiche del popolo palestinese e alla giustezza della sua causa anticolonialista, Said ha trattato in un altro volume, La questione palestinese, sempre disponibile nel catalogo del Saggiatore.

Sono passati più di vent’anni da quando Said scriveva le sue denunce e le sue proposte di soluzione, ma purtroppo le speranze di sanare il conflitto diplomaticamente non sono affatto aumentate. Ciò che rimane immutato, però, è la necessità di conoscere i fatti prima di esprimere opinioni di qualsiasi natura su questioni complesse come questa: e La pace possibile di Edward Said ci aiuta ad avvicinarci sempre più a questo obiettivo.

Michela La Grotteria