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Tre brevi racconti di assaggio per scoprire l'opera del padre della fantascienza: "Racconti della prima fantascienza" di H.G. Wells

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H.G. Wells racconti della prima fantascienza

Racconti della prima fantascienza 
di H.G. Wells
Alter Ego edizioni, marzo 2021

Traduzione di Camilla Eracli
Prefazione di Emiliano Sabadello

pp. 62
€ 3,90 (cartaceo)

Sembra, in letteratura e in altri campi, di essere continuamente alla ricerca di qualche genitore, di qualcuno che possa prendere su di sé l'appellativo di padre. Con Wells e con la sua fantasia, però, non si deve vagare molto. Basterebbe semplicemente nominare La macchina del tempo, L'isola del dottor Moreau, L'uomo invisibile per essere catapultati immediatamente in una dimensione rifratta che è poi stata codificata come fantascienza. (p. 5)
Per fantascienza si intende il genere – sia letterario che cinematografico – che unisce speculazioni scientifiche a uno sviluppo fantastico della storia. Può avere ambientazione futuristica e può mescolarsi all'avveniristico e al romanzo d'avventura con inevitabili riflessioni antropologiche. Questo genere tentacolare, che si è sviluppato in una serie di sottocategorie sempre più ampie, ha, per recuperare la prefazione di Emiliano Sabadello al volume Racconti della prima fantascienza di H.G. Wells, una certezza di paternità. I due autori che hanno dato origine al genere e che sono ancora considerati maestri e fonti di ispirazione, oltre che classici conclamati, sono Jules Verne e H.G. Wells. Se Verne con i suoi voyages apriva all'avventura e a mondi fantasmagorici, Wells ragionava con criticità e con disincantata fascinazione sui progressi della Rivoluzione industriale e del Secolo Breve. Le straordinarie scoperte, l'accelerazione nelle conoscenze che spostavano nel campo della misurazione ciò che prima era solo magia e fede, e le infinite possibilità per l'uomo sono, nella visione di Wells, passibili di storture e di distorsioni: questo sentimento accompagna tutta la sua produzione come, nello specifico, dimostrano i tre racconti che compongono la raccolta edita da Alter Ego e inserita nella collana Gli Eletti dedicata alla riscoperta dei classici proposti in versione tascabile. 
«Sono... vivi? Sono pericolosi adesso?».
«Sono stati sottoposti a colorazione e uccisi» rispose il batteriologo. «Per quanto mi riguarda, vorrei che potessimo uccidere e colorare tutti i batteri dell'universo». (p.15)
Così proclama il batteriologo del primo racconto Il bacillo rubato in cui si esaminano i grandi passi avanti della scienza nel riconoscimento di nuove forme di vita microscopiche in grado, potenzialmente, di sterminare la razza umana. La fiducia nel saggio utilizzo dei nuovi strumenti scientifici non sembra pervadere l'autore. Come già nell'Isola del dottor Moreau (qui la recensione) in cui, forti del progresso, si conducevano grotteschi esperimenti eugenetici, la possibilità di avere a disposizione armi così potenti fa sì che l'interlocutore del batteriologo, che si rivelerà essere un anarchico, rubi il bacillo con l'intento di scatenare una guerra batteriologica. Con sottilissima ironia, Wells prenderà posizione anche sulla possibilità di riuscita di un'azione tanto estrema e non risparmierà una leggera stoccata ai rigidi costumi vittoriani nel divertente inseguimento della moglie del batteriologo che, a fronte di una possibile epidemia, pensa a cosa direbbe la signora Jabbers se vedesse il marito senza il soprabito.
«E là» proseguì, «ci sono il sole che sta appena sorgendo, i pennoni delle navi, il mare agitato e una coppia di uccelli che volano. Non ho mai visto niente di così reale. E sono seduto fino al collo in una montagna di sabbia».
Si piegò in avanti e si coprì il viso con le mani. Poi riaprì gli occhi. «Mare scuro e alba! Eppure sono seduto su un divano nello studio di Boyce...! Che Dio mi aiuti!». (p. 34)
Il protagonista del Sorprendente caso della vista di Davidson sperimenta il primo caso di reale visione a distanza: si trova a Londra, ma vede come se lo stesse vivendo un episodio marittimo alle Isole Antipodi. Se con La macchina del tempo ci si spostava lungo la linea temporale, qui ci si sposta nello spazio, nell'esplorazione della quarta dimensione e nel torcimento dello spazio. Spiegazione che per l'io narratore è oscura e inspiegabile, ma che già era stata toccata e vagheggiata in Flatlandia di Edwin A. Abbot (qui la recensione), testo di poco precedente alla Macchina del tempo e ai racconti di questo volume. 
Evans si affrettò a raggiungere lo scavo. Portati in parte alla luce dallo sventurato lì accanto c'erano numerosi lingotti di un giallo opaco. Evans si chinò sulla buca e, rimuovendo la terra a mani nude, estrasse rapidamente un pesante lingotto. (pp. 53-54)
Se nel racconto precedente il lettore era stato agli antipodi solo tramite la visione a distanza, nel Tesoro nella foresta viene portato nel romanzo d'avventura. Due scalcagnati gentiluomini di fortuna sono alla ricerca del tesoro di un galeone spagnolo incagliato due secoli prima. Con una descrizione naturalistica che porta a percepire il calor bianco della spiaggia e il silenzio minaccioso di una natura ostile, Wells inserisce la riflessione sociale sull'accelerazione dei tempi e delle possibilità che ritroviamo nel Rimedio miracoloso (qui la recensione) in cui la creazione di strabilianti fortune basate sul nulla è solo il preludio delle più rovinose cadute. 
Tre brevi racconti che sono piccoli assaggi di tutto il corpus di Wells e che spingono a una lettura delle altre opere e mostrano una paura che viene elaborata letterariamente sin dal Frankenstein: che gli strumenti creati dall'uomo stesso sfuggano al controllo. Scienza e coscienza non sono nate insieme, ma il terrore che la prima sconfigga la seconda è da sempre parte del nostro inconscio collettivo.

Giulia Pretta