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Miseria e nobiltà di una famiglia eclettica e disperata: "Althénopis" di Fabrizia Ramondino per Fazi Editore

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Althénopis
di Fabrizia Ramondino
Fazi Editore, marzo 2023

pp. 318
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Tra i più sensuali, fisici, azzarderei sessuali, romanzi italiani, Althénopis squaderna la sua irrefrenabile eccitazione, proprio come Cyrano, attraverso le parole. Le parole di Althénopis toccano e si lasciano toccare. Sudano. (p. 13, prefazione di Chiara Valerio)
Come non essere d'accordo con questa piccola disamina, una delle tante, dell'acuta Valerio. "Althénopis" è un romanzo di Fabrizia Ramondino, pubblicato per la prima volta nel 1981 e vincitore del Premio Napoli, intorno al quale c'è quasi una sorta di devozione. Profondamente autobiografico, ci porta più che ad Althénopis (Althénopis è il nome della mia città natale. In origine il suo nome significava «occhio di vergine». Ma pare che i tedeschi, durante l’occupazione, trovandola così imbruttita rispetto alle descrizioni di Mozart (riferite anche in una novella di Mörike) e di Goethe, le mutarono il nome in Althénopis, che starebbe appunto a significare «occhio di vecchia». Einaudi, pg,10) dapprima in un paesino sulla costa partenopea, Santa Maria del Mare, poi in pellegrinaggio presso vari parenti, infine al Nord.
Althénopis come Napoli, Porto Quì forse come Maiorca (Ramondino ricorda con vividezza la sua infanzia su un'isola mediterranea), Santa Maria del Mare probabilmente come un paesino della costiera amalfitana o sorrentina, Frasca come un qualche villaggio del vesuviano, il Nord come Francoforte? L'autrice non usa mai i nomi reali dei luoghi, ma dei surrogati assonanti, e ognuno di essi trova corpo e spirito attraverso la descrizione minuziosa dell'autrice, ma soprattutto la rappresentazione puntualissima dei suoi abitanti, dei parenti della protagonista, che nient'altri è che la stessa Ramondino.
Dunque la trama: la bambina vive in questo luogo bagnato dal mare, divisa tra i giochi con gli scugnizzi della piazza, le scorribande di "pezza in pezza" e le pretese un po' svampite della sua famiglia di nobili origini. Il periodo storico è quello del secondo dopoguerra, dunque miseria e nobiltà (come direbbe Totò) sono due facce della stessa medaglia.
Per varie ragioni, a un certo punto, tutti dovranno lasciare Santa Maria del Mare e trasferirsi da alcuni parenti, prima insieme dalla zia Callista ad Athénopis, in una villa meravigliosa con tantissime stanze e balconi affacciati sul Golfo, poi, separati, da altri: la piccola protagonista sarà ospitata dalla zia Cleope, il fratello dallo zio Adone, la madre e la sorella in casa dello zio Chinchino.
Ognuno di questi luoghi, con le sue peculiarità e i suoi bizzarri abitanti, sarà minuziosamente descritto dall'autrice, la quale non solo avrà particolare attenzione per i dettagli dell'ambiente, ma anche per la caratterizzazione dei personaggi: tanto la sua infanzia sarà piena di avventure, di Madonne, di animali, di bagni al mare, di dispetti agli anziani, di cibi succulenti e straripanti cucinati dalla nonna (personaggio affascinantissimo, uno dei miei preferiti), quanto l'evoluzione da bambina ad adolescente, e infine donna, sarà seguita attraverso le persone che fanno parte della sua vita, la madre e la nonna su tutte, ma anche la pletora di zie, zii, balie, cameriere, nonne, nonni, cugini, conoscenti, amici e amiche.
Qui l'insistenza dei ninnoli e di vari altri ornamenti e trionfi pareva abolire del tutto la luce e l'aria, e quando, sfuggendo alla sorveglianza, mi ci intrattenevo, provavo un'angustia, un'ansia mi prendeva e un timore che il cielo fosse diventato di cristallo, che l'aria tutta della contrada odorasse di ambra, sicché scostavo le pesanti tende, quale verde, quale rossa, quale gialla, per vedere se fuori era, come lo ricordavo, il mondo. (p. 147)
Pilastri del romanzo sono il carattere indomito e irrequieto della protagonista e il suo rapporto con le donne di famiglia: la nonna, florida e generosa dispensatrice di dolci, creme, bignè, parmigiane e merletti, e la madre, costantemente a letto con pezzuole d'aceto sulla fronte per combattere l'emicrania, arresa alle assenze del marito, algida, severa, lontana dai fasti della sorella Callista e della famiglia di lignaggio nobile. Tanto affascinanti le due donne quanto tutte le altre della discendenza: le zie, ognuna con le sue peculiarità fisiche e caratteriali. Gli uomini invece, a partire dal padre assente, insieme agli zii e ai nonni, faranno solo da contorno, schiacciati dalla presenza ingombrante di una sorta di matriarcato alle prese con ricchezza e miseria.
Tutto era dunque finito tra me e loro, perché mi negavano le due uniche consolazioni dell'esistenza: la favola e il teatro. (p. 60) 
In realtà, di favola e teatro è impregnato l'intero romanzo: la scrittura di Ramondino è ricca, sensuale, appiccicosa. Tutto è carne, viscere, pelle, feci, urine (a questo proposito la Valerio pone l'accento sulla curiosa ossessione dell'autrice per il defecare e l'orinare) sete, pizzi, marmi e sangue. La bambina, affetta da terrori notturni e da una natura agitata, metterà in dubbio se stessa in ogni frangente, tanto che a volte arriverà a chiedersi chi è, perché è al mondo, qual è lo scopo della sua nascita. 
Osservatrice implacabile, ci porterà con lei in saloni di luce e grotte oscure, tra campi pieni di alberi di limoni e catapecchie dove si annidano malati terminali. L'alternanza di luce e ombra, di lusso e degrado, è assoluta e credo non sia mai stata scritta meglio di così. 
Il titolo del libro è "Althénopis", ma di Napoli c'è molto poco: la vera protagonista è la vita di una famiglia, tutto sommato fortunata per quel periodo storico, che danza sulle note di un destino non ancora scritto, costantemente in bilico tra la caduta e i fasti più splendenti.
Particolare importante e anche curioso, si tratta di un romanzo che presenta tra le pagine numerose note: appunti su modi di dire, spiegazioni sul significato di una parola dialettale, piccole parentesi sulla vita di questo o quel personaggio, arricchimenti sui costumi del tempo, sulle abitudini, su ciò che significava appartenere a una determinata classe sociale.
La terza e ultima parte del romanzo, infine, sembra scritta in un altro stile e da un'altra persona: vi è una legittimazione dei ruoli - non più la mamma ma la Madre, non più la bambina ma la Figlia, non più la sorella ma la Sorella. Le maiuscole servono a prendere distanza dall'affetto e dall'infanzia, considerato che a parlare ora è una donna adulta che deve occuparsi di tutto, e a sigillare i ruoli imposti.
Ho amato molto questo romanzo, lo attendevo da tempo e non ne sono rimasta delusa. Leggendolo, pagina dopo pagina, mi sono resa conto di quanto lo stile di Ramondino abbia influenzato molti romanzi contemporanei che mettono in scena Napoli o luoghi legati a Napoli. Le descrizioni generose di dettagli, anche petulanti in alcuni casi, l'irrequietezza così attuale della protagonista, il suo rapporto col corpo, con il sangue, con la terra, con le donne della sua vita, e infine la ribellione, dapprima infantile, in seguito adulta, trovano spazio anche nelle pagine di oggi.
Lo consiglio a occhi chiusi a chiunque ami le scritture sfarzose ma non snob, lussuose ma sporcate dalla melma, o a chi è fan di autrici come Natalia Ginzburg, Matilde Serao, Goliarda Sapienza, Fausta Cialente, Anna Maria Ortese, Sibilla Aleramo.

Deborah D'Addetta