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Non c'è un pianeta B. Il monito arriva dal 1969 con "L'isola dentro l'isola" di Josephine Johnson

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L'isola dentro l'isola Josephine Johnson

L'isola dentro l'isola
di Josephine Johnson
Bompiani, gennaio 2023

Traduzione di Beatrice Masini
Illustrazioni di Chiara Palillo

pp. 256
€ 18,00 (cartaceo) 
€ 9,99 (ebook)


Novembre, l'undicesimo mese, è il nono mese del vecchio calendario romano.
I fiori di novembre: dente di leone, forsizia, viole.
Gli uccelli: la solita folla.
I colori: grigio, marrone e nero.
Gli animali: nelle tane. O cacciati.
Le stelle: non guardo molto le stelle. Troppo freddo. Incricca il collo. (p. 223)
Un anno di vita tra le colline, i boschi e le paludi dell'Ohio meridionale. Dodici finestre temporali in cui si osserva la vita in tutte le sue forme: dalle frotte di uccelli, alle ferine volpi, passando per le coccinelle e i sinuosi serpenti che si arrampicano su alberi di forsizia gialla dalla chioma di strega, seguiamo il lento evolvere delle stagioni. Josephine Johnson, vincitrice del premio Pulitzer nel 1935, registra ogni cambiamento attorno a lei e lo fa con due focus che, allora come oggi, ci colpiscono con urgenza. Il primo è che l'essere umano è solo una piccola, non la più importante ma di sicuro la più dannosa, parte dell'ecosistema; la seconda è che non ci stiamo prendendo cura dello spazio che abitiamo e che il tempo, sia il nostro che quello della terra, passa in modo inesorabile.
I bambini dovrebbero avere il verde. Dovrebbero esserci parchi di verde ovunque. Questo è un mondo di strade e quartieri di cemento e di gente che va altrove perché non sopporta di restare dov'è, perché ha rovinato il posto dov'è, per poi ritrovarsi dentro qualcos'altro di rovinato e tornare da dov'è venuta. (p. 158)
Non c'è un'esatta storia narrativa da seguire all'interno dei dodici capitoli di questo volume. Non è un anno di vita con l'iniziale adattamento dell'uomo all'ambiente naturale, le piccole accortezze per vivere in un ecosistema così delicato e la scoperta del piacere di un ritmo di vita più lento e semplice. Questi dodici mesi, una raccolta di saggi brevi, sono permeati di descrizione naturalistica molto consapevole. Josephine Jonhson osserva e riporta con precisione tutte le meraviglie intorno a lei. Pur non essendo una fanatica, è curiosa scopritrice della fauna avicola e conosce tutti i volatili che, in ogni stagione, affollano il territorio. Ha l'orecchio sintonizzato sul chiocchiolio dell'acqua dei torrenti e li sente scorrere lenti e decisi sotto lo strato di ghiaccio invernale. Si prende cura dell'erba e degli alberi portando i bambini alla scoperta del territorio paludoso. Resta immobile di fronte alle volpi per far capire che, sebbene umana, non è una minaccia per loro. Il ritmo delle frasi, molto brevi e concitate, unito alle delicate illustrazioni di Chiara Palillo, immergono in questo ambiente dove le evocazioni magiche e favolistiche non mancano. Ma sotto l'evocazione di questa natura che, al netto del suo incanto non è mai del tutto benigna come ricordano i nidi di vespe cartonaie e le piante potenzialmente letali, scorre, deciso come il torrente a gennaio sebbene sembri fermo, una condanna nei confronti della razza umana. Piccola rispetto all'ecosistema, ma grande nel fare danni. 
Nata nel 1910, l'autrice ha vissuto tutti i grandi conflitti del XX secolo. Una donna che ha passato la vita in guerra e che vede nel continuo, e inutile, accapigliarsi e nel crescente consumismo le fondamenta per la distruzione del pianeta
Questi giorni mutevoli una volta li chiamavano "il tempo pericoloso". Ogni giorno è pericoloso adesso, che sia per il clima o per altre ragioni. Da tre mesi ci sono questi cambiamenti, questi estremi. (p. 64)
Gli eventi atmosferici estremi oggi fanno parte del nostro quotidiano arrivati come siamo all'inizio del film apocalittici che tanto ci spaventano, e Johnson già lo dichiarava nel 1969. Il suo monito non è rivolto solo alle istituzioni o ai governi, ma a chiunque su questo pianeta. Un monito che diventa anche condanna.
Non si può dire (come potevamo dire di Hiroshima) io non sapevo. Io so. Tu sai. Si sa. E allora qual è il risultato di questa accettazione? Consapevolezza e consapevole diventano uno. Nel buio che segue la domanda si muovono forme vaghe. C'è consolazione nel sapere che siamo tantissimi. Qui siamo tutti assassini. Io, tu, il mio vicino, e tutti i fiduciari della legge. (p. 237)
C'è conforto nel sapere che siamo tutti allo stesso livello: ci teniamo al caldo nella consapevolezza che, quando andremo a fondo, andremo a fondo tutti insieme. Ed è per questo che non ci impegniamo più di tanto, allora come oggi, nel modificare la nostra relazione con il pianeta.
L'autrice non predica un ritorno ai ritmi di vita più lenti. Non suggerisce di abbandonare le città e vivere come fa lei, non pecca di albagia morale. Non ci sono soluzioni concrete su larga scala anche perché non sarebbe stata né la persona né il contesto giusto, quello narrativo, per elaborare un piano. Punta l'occhio e la penna su ciò che dovremmo vedere, mira al risveglio della consapevolezza: l'uomo, come gli opossum e i procioni, mangia in equilibrio sul bordo della morte e non c'è più tanto tempo per fare un passo indietro dall'abisso. Per farci rendere conto di questo lo fa mostrandoci quanto bello e delicato è l'ecosistema del suo nativo Ohio. 
La sensazione di tutta questa vita ignota di creature che passa e ripassa qui evoca una bizzarra sognante sensazione di incantamento. È il seme delle fiabe, la ricerca di valli sperdute. Tasche senza tempo nel mondo del tempo. Non dovrei andarmene mai, o non dovrei tornare. (p. 55)
E ancora, nella sua attività preferita, il bird watching.
Poi, incredibilmente, due tanagre scarlatte. Come carboni ardenti vivi. Ali nere attorno a un fuoco rosso! [...] E poi finalmente arriva la sialia. L'adorabile brivido elettrico del blu. Il cuore ha un sussulto. Quel blu ultraterreno, quella sfumatura di "un colore di solito evocato dall'energia radiante della lunghezza d'onda di 478,5 nanometri". È da lì che arriva lo scossone, la sveglia. Cielo di zaffiro. Passa nelle vene come fuoco blu. (pp. 112-113)
La bellezza che traspare da queste pagine e la meraviglia che ne deriva non sono intrise della malinconia per qualcosa di fuggevole e delicato che sappiamo essere nato per durare poco. È permeata di rabbia sotterranea per un pianeta incantevole fatto per sopravvivere ed evolvere, ma che stiamo distruggendo. La consapevolezza si faceva sentire nel 1969, anno di pubblicazione di L'isola dentro l'isola: questo volume arriva come un monito che ci fa domandare se, oggi, non ci stiamo muovendo troppo poco e troppo tardi.
Giulia Pretta