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"Una stanza tutta per sé": Alex Johnson ci fa conoscere cinquanta stanze di cinquanta scrittori.

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Una stanza tutta per sé. Dove scrivono i grandi scrittori
di Alex Johnason
Illustrazioni di James Oses
L'Ippocampo, 2022

Traduzione di Silvia Bre

pp. 192
€ 19,00 (cartaceo)

Gli scrittori lasciano sulle cose un segno più profondo delle persone comune, trasformando a propria immagine e somiglianza il loro tavolo, la sedia, le tende  il tappeto (p. 6),

diceva Virginia Woolf, il cui scritto Una stanza tutta per sé dà il titolo a questo libro illustrato, edito da L'Ippocampo, che è una chicca imperdibile per chi ama sbirciare nella vita degli scrittori, nelle loro manie, nelle abitudini che hanno accompagnato la scrittura dei loro capolavori. I lettori amano andare a visitare le case degli scrittori, emozionandosi come se incontrassero di persona il loro romanziere preferito. Questo perché

continua ad aleggiare un non so che di magico nella stanza in cui uno scrittore ha lavorato: la vista su cui di tanto in tanto allungava lo sguardo, la poltrona dove riposava, l'atmosfera da lui creata e che a sua volta gli era di ispirazione. All'avventore curioso questi luoghi offrono più di una semplice occhiata agli arredi prediletti da chi ci viveva: rivelano ciò che a un autore stava particolarmente a cuore. (p. 7)

Alex Johnson ci porta a spasso per questi luoghi e ce n'è davvero per tutti i gusti e ciò vale a dimostrare che ognuno trova l'ispirazione nel modo a lui più consono. Cinquanta case per cinquanta scrittori, rigorosamente in ordine alfabetico. Si comincia dalla casita di Isabelle Allende, una stanza con bagno, in fondo al giardino, a cui nessuno poteva accedere, nemmeno per fare le pulizie. Allende comincia ogni nuovo romanzo l'8 gennaio, suo "giorno sacro" da quando scrisse in quella data al nonno morente la lettera che le avrebbe ispirato La casa degli spiriti

Durante la prima stesura lavora alla scrivania tutti i giorni tranne la domenica, dalle 8.30 - dopo avere portato a spasso i cani, aver fatto ginnastica e meditato - alle 19, con una pausa pomeridiana per una passeggiata. Tale ritmo prosegue fino a quando la prima stesura non è completata, cosa che avviene di solito verso maggio. (p. 13)

Poi si passa ai luoghi di scrittura di Maya Angelou, Margaret Atwood, Wystan Hugh Auden, per lo scrittoio portatile di mogano di Jane Austen e la masseria di James Baldwin. Insieme ai luoghi, quello che rende avvincente la lettura del libro di Johnson sono anche le curiosità sulle modalità di scrittura degli abitanti di queste "stanze tutte per sé". Come ad esempio, il rapporto scrittura/caffè in  Honoré de Balzac, il quale preparava personalmente una miscela e arrivava a consumarne una cinquantina di tazzine al giorno.

Gli effetti della caffeina gli garantivano la carica necessaria ad affrontare i suoi insoliti orari di lavoro. Balzac rivelò di aver scelto da ragazzo la carriera di scrittore, e non quella di avvocato, proprio perché non sopportava l'idea di "mangiare, bere e dormire a orari prestabiliti". (p. 32)

 Del resto, Balzac si svegliava a mezzanotte, lavorava per otto ore consecutive, poi pranzava, poi altre cinque ore di lavoro, cena e poi andava a letto. Ritmi sovrumani per una produzione sterminata. Molto più tranquille apparivano le abitudini delle sorelle Brontë e la loro la writer room  «ogni sorella possedeva un cofanetto portatile in palissandro, dotato di una serratura e di un ripiano inclinato in velluto: li chiamavano i "confanetti scrittoio" e vi custodivano inchiostro, carta da lettere, penne, pennini, carte assorbenti e altri piccoli oggetti preziosi». (p. 41)

Vi è chi, aveva bisogno della scrivania con vista sul giardino come  Anton Čechov,  chi di un tavolo robusto e una sedia dura con lo schienale rigido da usare quando batteva a macchina, come Agatha Christie, la quale, però, scrisse anche in una tenda durante un viaggio in Medio Oriente, quando accompagnò il marito impegnato in una campagna di scavi. C'è la baita di Paolo Cognetti, il capanno di Roald Dahl, lo chalet prefabbricato di Charles Dickens,  il seminterrato di Ray Bradbury, fino ad arrivare ad una casa biblioteca, quale quella di Umberto Eco. Un appartamento molto ampio, in un palazzo con una visione panoramica del Castello Sforzesco., uno studio senza pareti, una biblioteca con oltre 30.00 volumi. La nostra Sabrina Miglio ha visitato la casa milanese di Umberto Eco e di questa esperienza, che lei ha definito "mistica" ci ha regalato bellissime foto e un interessante articolo.

Dopo Ian Fleming e Thomas Hardy, arriva il turno di Ernest Hemingway, il quale a causa di due ferite riportate in due incidenti aerei scriveva sempre in piedi, poggiando la macchina da scrivere su una libreria addossata al muro, in camera da letto. 

Teneva vicino un tabellone su cui registrava il numero di parole scritte ogni giorno. Erano in media 500, ma con Fiesta l'asticella si alzò quasi fino a 2000. La stanza era arredata in tipico stile alla Hemingway, con una testa di gazzella appesa al muro, trofeo di una battuta di caccia, e una pelle di leopardo in cima all'armadio. (p.74)

In piedi scriveva anche Victor Hugo, utilizzando una scrivania verticale vicino alla finestra, in modo da ammirare la veduta delle isole Hern e Sark, dopo che andò in esilio in un'isola della Manica, a causa di dissidi con Napoleone III.  «Uno scrittore che si alza prima dell'alba e finisce la giornata a mezzogiorno ha compiuto il suo dovere» sosteneva Hugo e in effetti, il pomeriggio era dedicato alle passeggiate e alla visita alla sua amante Juliette Drouet. 

Ma se siete legati all'immaginario di Jo March e della sua soffitta minuscola, Samuel Johnson è lo scrittore che fa per voi! A Londra affittò una stanza all'ultimo piano e in questo abbaino spoglio e dimesso, diede vita al celebre Dizionario della lingua inglese. Anche le dimensioni della scrivania sono problemi a cui uno scrittore deve tenere conto. Lo sa bene Stephen King, che da giovane ne usava una enorme, in età adulta, invece è passato ad una piccola scrivania non più al centro della stanza, ma in un angolo appartato. Appartato ma non troppo, perché volle rendere l'ambiente, con tappeto, divano e televisore accogliente anche per i figli, perché «La vita non dev'essere di sostegno all'arte, ma viceversa».  Messi da parte Olivetti e Underwood in favore di un PC, King non disdegna tuttavia carta e penna, che trova molto più utili per riflettere. Anche per King la disciplina è tutto: è convinto che bisogna prefissarsi un numero di pagine al giorno (lui solitamente sei), cominciare la mattina presto e staccare alle 13.30; il resto della giornata dedicarlo a famiglia e lettura. Per Kipling il problema dell'inchiostro non era da sottovalutare, per Margareth Mitchell non dovevano mai mancare le buste, dove lei ripose  - un capito a busta - le immortali pagine di Via col vento. Murakami ha bisogno della musica, Geogre Orwell del completo isolamento. Le donne, de sempre più brave a conciliare il caos della vita domestica con le attitudini intellettuali, hanno saputo trovare (è il caso di Sylvia Plath e Hilary Mantel) uno strano e precario equilibrio tra figli, preparazione dei pasti e scrittura, un poco dove capita. 

Se invece, vi capita di amare il letto non solo per dormire ma anche per leggere e scrivere, riempendo la trapunta di fogli e foglietti, non siete soli: Mark Twain, Truman Capote, ma soprattutto Marcel Proust che scriveva sdraiato, con le ginocchia a fare da scrivania nella sua camera da letto, isolata con pesanti tende di raso e scuri, insonorizzata con pannelli di sughero alle pareti. Spesso i compagni di questi isolamenti sono i fedeli animali domestici, come nel caso di Edith Wharton. 

Si arriva infine (è la quarantanovesima) a Virginia Woolf, che ha appunto teorizzato la necessità di avere uno spazio proprio. Le varie scrivanie che ebbe in vita la Woolf erano piene di aloni lasciati dalle tazze di caffè e dalle macchie di inchiostro. Disciplina e regolarità negli orari di scrittura anche per lei.

Una carrellata piacevole, che rimanda la necessità per gli scrittori, ma anche per noi, di avere un rifugio, un luogo di incontro con noi stessi, e uno spazio che sia sottratto al mondo esterno e alle necessità degli altri. Un luogo dell'anima. Questo è il cuore pulsante del libro e altrettanto intime ed espressive sono le illustrazioni di James Oses, che con pennellate rapide ci consentono di immergerci nelle stanze dei nostri romanzieri.

Alla fine, il libro di Johnson ci ricorda che la scrittura, indipendentemente dall'esito e dallo stile, è innanzitutto un'educazione dell'anima e un incontro con il proprio io, perché proprio come diceva l'amata Virginia:

Fino a quando scrivi ciò che desideri scrivere, non c'è altro che conti; e che conti per secoli o solo per qualche ora, nessuno può saperlo. (p. 82)

Deborah Donato