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La Sardegna arcaica e mitica dell'Ottocento vista dagli occhi di un viaggiatore: «Lettere sulla Sardegna», di Henri Monier

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Lettere sulla Sardegna
di Henri Monier
traduzione e cura di Carlo Floris
prefazione di Luciano Marrocu
Ilisso, 2013

pp. 176
€ 12,00 (cartaceo)

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«Avevo deciso di fare un viaggio in Sardegna e mancavano pochi giorni alla partenza. [...] Oggi eccomi di ritorno, con mille affascinanti ricordi, i miei taccuini anneriti e imbrattati di note e documenti di un interesse incontestabile che non vedo l'ora di comunicare al mio pubblico.» (p. 29)

Questa citazione è tratta dalla Prefazione a Lettere sulla Sardegna, di Henri Monier, intellettuale francese di cui sappiamo pochissimo, se non che dopo il consueto Grand Tour che i nobili e i figli della società altolocata compivano, decise di tornare in Italia per intraprendere un viaggio esplorativo in Sardegna (si può ipotizzare nel 1847). Di tale opera, solo una piccola parte, quella riguardante Alghero, è stata tradotta e inserita in un volume dedicato alla città (A. Budruni, Y. Gagliano, Splendori e miserie. Alghero nella cronache dei viaggiatori dell'Ottocento, Sassari, EDES, 1991). Per il resto, questo volume targato Ilisso si configura come la prima traduzione integrale italiana del libro di Monier. Un vero e proprio gioiello, quello che la casa editrice sarda ci propone: uno sguardo antico e un ritratto inedito dell'isola nei primi decenni dell'Ottocento.

Della Sardegna, Monier conosce molto poco, e purtroppo all'epoca erano molti i pregiudizi sulla sua popolazione, dovuti a una scarsa conoscenza del territorio. Basti riportare le reazioni dei più alla sua decisione:

«Prima della data stabilita, i miei amici mi fermavano soltanto per chiedere, stupiti: "Allora, partite veramente per la Sardegna? Ma, mio Dio, che cos'è la Sardegna?"» (p. 29)

Tuttavia, Monier, spinto da una autentica curiosità e un sano interesse verso questo luogo perlopiù sconosciuto e deciso a farsene un'idea propria, parte per l'isola. Questa spedizione, caratterizzata da un sentito interesse, anche folcloristico, diede origine ad una serie di appunti e trascrizioni, riversati poi in sei lettere fittizie, pubblicate prima a puntate sulla Revue du Lyonnais, col titolo di Lettre sur la Sardaigne, tra il 1847 e il 48 e poi in volume nel 1849. Se altri prima di lui avevano esplorato l'isola (si citi, a titolo di esempio, il Voyage en Sardaigne, di Alberto Della Marmora, pubblicato a Parigi e risalente a circa venti anni prima), è anche vero che lo spirito di Monier è decisamente peculiare, caratterizzato da un'apertura e una vivacità intellettuale del tutto notevoli: il suo occhio, attento e indagatore, resta subito colpito dalla bellezza dei paesaggi e dai colori che la natura ha donato a questa terra, tanto da dare origine, in svariate occasioni, a parentesi liriche di rara bellezza:

«Alla fine, una sera - era l'ultimo giorno di aprile - passeggiavo da solo sulle mura che circondano Cagliari. La notte era magnifica, migliaia di stelle scintillavano nel cielo e si riflettevano sulle onde del golfo addormentato solcate in ogni direzione dalle barche illuminate dei pescatori; il vento, che si spegneva mormorando tra i rami sospesi sulla mia testa, portava fino a me, dalla riva opposta, questi indefiniti profumi di vegetazione che i boschi esalano nelle belle giornate di primavera.» (p. 65)

Con un approccio quasi di stampo antropologico e una sincera curiosità verso un territorio a lui quasi completamente sconosciuto, Monier è attratto dalle tradizioni sarde e inoltre non manca di notare la bellezza delle donne del luogo. Ad esempio, grande rilievo viene dato alla festa di Sant'Efisio, patrono dell'isola, la quale ricorre il 1° maggio. Dal notturno precedentemente descritto, si levano voci e cori di festa e la mattina dopo è questo quello che vede:

«Il giorno dopo, il primo maggio, al levar del sole, mi alzai, svegliato dallo squillo delle campane, e mi recai nella grande piazza. Lo folla era già compatta e animata [...] Presto Cagliari presentò uno spettacolo incantevole. Era una varietà di costumi veramente stupefacente: uomini con grandi capelli di lana da cui uscivano, in mezzo a cascate di fiori e nastri, due immense trecce di capelli neri che ricadevano fino a metà della schiena, indossavano eleganti giacche marroni o scarlatte e pantaloni bianchi chiusi all'altezza delle ginocchia con ghette di pelle ricamate in seta rossa e oro; donne con le gonne di lana di colore scarlatto ricamate a strisce nere sfoggiavano sui loro petti [...] rosari d'oro, perle e pietre preziose, e avevano la testa avvolta in grandi veli bianchi e rossi.» (p 67)

Inoltre, l'autore si sofferma sulle bellezze artistiche del luogo (si veda la descrizione della cattedrale di Cagliari), e arricchisce la nostra conoscenza dell'isola con dissertazioni storiche (per esempio, sulle origini di Alghero) o spiegazioni etimologiche (Oristano).

L'itinerario che Monier segue parte da Cagliari, città protagonista della prima lettera, di cui viene data anche una descrizione geografica attenta e precisa e che egli vede, come prima cosa, dal mare: "Se osassi esprimere con sincerità la mia opinione, direi che non conosco niente di più pittoresco, di più originale di questa apparizione di Cagliari vista dal mare" (p. 32)

Poi prosegue da Sud a Nord: Sanluri, Oristano, Macomer, Sassari, Porto Torres, da cui poi partirà alla volta di Genova. In lui restano i paesaggi naturali, i tramonti infuocati, gli occhi neri e profondi delle donne sarde, i colori forti dei costumi caratteristici e la profonda sensazione di un'arcaica connessione con la vita. Monier lascia così l'isola, con queste parole, colme di ammirazione e fascino:

«I sardi sono uomini pazienti, energici e coraggiosi, e di un'intelligenza così viva, così completa, che tutti i viaggiatori che hanno soggiornato in mezzo a loro ne sono stati sorpresi e affascinati. Sono robusti e ben proporzionati, e i tratti regolari del viso mostrano dolcezza e fierezza. Le donne sono di una bellezza notevole, un miscuglio seducente di grazia e forza. Che cosa ci si può aspettare da una simile nazione quando l'ora della libertà suonerà per essa?» (p. 168)

Valentina Zinnà