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L' irrappresentabile raccontato: "Le scavatrici" di Taina Tervonen

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Le scavatrici
di Taina Tervonen
Fandango Libri, 2022

Traduzione di Luca Bondioli

pp. 272
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Non sapevo cosa aspettarmi arrivando qui. Niente mi aveva preparato alla visita di un carnaio. Niente tranne qualche immagine d’archivio intravista qua e là nei reportage, racconti di sopravvissuti che avrebbero potuto trovarsi in fondo a questa fossa. Ma di quello che succede quando la terra si apre per lasciar risalire il passato non sapevo niente. Mi aspettavo l’orrore, l’indicibile, l'irrappresentabile. (p. 12)
Taina Tervonen è giornalista d’inchiesta e regista di documentari freelance per la stampa finlandese e francese. Nata in Finlandia, cresciuta in Senegal e residente ora in Francia, Tervonen si occupa di narrare storie di vita, di migrazione, di famiglie. Nel 2019 il suo lavoro è stato riconosciuto a livello internazionale, ricevendo una menzione d’onore dalla commissione del True Story Award 2019, premio internazionale dedicato al reportage giornalistico indipendente, per il documentario Les jours (2018), inchiesta che ripercorre la storia della strage che ha colpito le famiglie dei migranti annegati nel Mediterraneo nell’aprile del 2015. La rispettiva trasposizione in romanzo, Au pays du disparus, è stata premiata poi con il Louise Weiss Prize. Successivamente nel 2020, il suo primo lungometraggio Parler avec les morts, incentrato sulle vittime della guerra civile in Bosnia-Erzegovina, è stato selezionato per l'edizione 2020 del festival Cinéma du réel. Le scavatrici è la narrazione per parole di Parler avec les morts, ed è fino ad ora l’unica opera tradotta in italiano dell’autrice. Anche questa inchiesta ha ricevuto un riconoscimento internazionale, venendo premiata con il premio letterario Jan Michalski 2022.

La cornice storica di questo libro è il conflitto avvenuto tra il 1992 e il 1995 in Bosnia-Erzegovina, ma Tervonen non si sofferma sul passato, sui tragici avvenimenti storici che hanno segnato questa nazione nei primi anni ‘90. Tervonen radica la sua indagine nel presente, nella presenza di quelle persone ancora scomparse in attesa di essere ritrovate dai propri familiari, nella costante ricerca volta a dare un volto alle 10.000 vittime ancora disperse, volta a colmare una sofferenza ancora tangibile. Il racconto inizia nel 2010, quando l’autrice incontra per la prima volta Senem, l’antropologa forense direttrice del centro d’identificazione della Krajina. Sarà con Senem che Taina affronterà gran parte del suo viaggio, che si svolge nell’arco di sei anni. Con gli stessi occhi dell’autrice incontriamo le nuove persone che si presentano lungo la sua strada, impariamo ad orientarci nei nuovi ambienti e impariamo ad ascoltare con cura le storie raccontate.
Scarpe da tennis e giacca di cuoio, un berretto nero a nasconderle i capelli, appena trentenne, neanche lei coincide con l'immagine che avevo di qualcuno che dirige un obitorio. Come se occorresse essere segnati dalla vita per avvicinarsi alla morte e indossare almeno un camice bianco. (p.19)
Accanto a Senem, c’è Darija, la sua collega e amica, che si occupa di intercettare i parenti delle vittime per poter poter prelevare campioni utili a risalire al loro DNA, costantemente in viaggio tra Bosnia-Erzegovina, Serbia e Croazia alla ricerca di indizi, tra storie raccontate e taciute.
Darija ha gli occhi verde acqua e uno sguardo che trafigge, lo sguardo di chi la sa lunga sulle vicende umane. (p. 122)
Queste due figure, Senem e Darija, sono le donne che danno un volto, una voce, un legame, una rappresentazione del minuzioso lavoro che è necessario condurre per guarire una ferita di tale profondità. Se da un lato Tervonen racconta l’estenuante ricerca dei corpi delle persone disperse che Senem conduce ogni giorno, un legame tra passato e presente, tra morti e vivi, dall’altro la ricerca condotta da Darija della presenza e della ricostruzione dei legami tra la vita e la morte, attraverso il dialogo con i familiari intrecciato con i litigi, i risentimenti, le ferite e i rimproveri degli anni della guerra civile.

Mano nella mano con l'autrice muoviamo i primi passi sul terreno smosso, inciampiamo, cerchiamo di ambientarci nei dolorosi processi che coinvolgono la ricerca di persone scomparse, vediamo gli sforzi e i sacrifici delle persone che dedicano la loro vita a rendere la sofferenza un po' più leggera. La narrazione di Tervonen, sebbene affronti temi così profondi e così crudi, evoca con abile rispetto e sobrietà i sentimenti e le paure celati dal lutto e dalla memoria di una guerra non così lontana. Non è però, solo una storia di guerra, Tervonen si sofferma su tutti gli aspetti del suo viaggio in questa grande impresa, dipinge i legami che nascono tra i suoi compagni e le sue compagne di viaggio, tra le famiglie che incontra, tra le vittime che scruta sul campo. Tervonen ci coinvolge direttamente con le sue pennellate delicate e allo stesso tempo sferzanti lungo questo tortuoso percorso alla ricerca di una agognata verità, lungo l’orrore che vede e sente tutti i giorni. Tervonen riesce con maestria a dare voce all'indicibile, a dare un’immagine all’irrappresentabile.
Questa storia non è più solo una storia, è il vissuto dei miei amici, dei loro ricordi, i loro incubi, la loro vita, di cui una minuscola parte si è annidata in me. (p.121)

Barbara Nicoletti