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«La donna è l’unica che può salpare per se stessa»: storie di viaggiatrici in “Donne in viaggio. Storie e itinerari di emancipazione” di Lucie Azema

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Donne in viaggio. Storie e itinerari di emancipazione.
di Lucie Azema
Tlon Edizioni, 2022

Traduzione di Nunzia De Palma

pp. 245
€ 18,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

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Le donne hanno viaggiato e viaggiano da molto tempo: scienziate, guerriere, pirate, scrittrici, archeologhe, geografe, spie, politiche, religiose, giornaliste, fotografe, cartografe – o semplicemente donne libere alla ricerca di un altrove. Queste donne hanno contribuito a studiare il mondo, disegnarlo, cartografarlo, raccontarlo (p. 21).

Se pensiamo alle più grandi scoperte dell’umanità, ci accorgeremo che non ci sovviene nemmeno un nome femminile; se pensiamo, poi, a tutti i racconti di viaggio, ugualmente nessuno di essi avrà una donna come protagonista; è mai possibile che il genere femminile sia stato così assente da questo campo tanto caro all’umanità?

A leggere il ricchissimo saggio di Lucie Azema, Donne in Viaggio. Storie e itinerari di emancipazione, sembrerebbe di no, tant'è che, al contrario, le donne sono state protagoniste di viaggi tanto quanto gli uomini, soltanto che le loro storie o sono state raccontate molto raramente o sono state completamente ignorate. Sì, perché fino a qualche tempo fa, nemmeno tanto lontano, il fatto che una donna viaggiasse da sola era alquanto sconveniente. L’autrice, che tra le sue passioni ha appunto il viaggio, dimostra come già nella terminologia ci sia un’accezione negativa: «l’avventuriera indicava una donna di pessima fama, che ordisce intrighi e ha della avventure […]» (p. 15). Dunque, la donna che decide di partire da sola, senza una figura maschile, non è una figura di sani principi, ma forse è solo in cerca di avventure poco lecite. Se ci fermiamo a riflettere, questo concetto, così misogino, non è poi così estraneo anche dalla stessa letteratura di viaggio: in nessun racconto di avventura il protagonista è femmina e, se sono presenti, le donne sono solo figure a margine e di contorno. Anche nell’Odissea, se ci pensiamo bene, Ulisse parte e Penelope lo aspetta a casa.

L’emarginazione delle figure femminili da un’attività che è ritenuta propria dell’uomo da sempre è sicuramente nei termini, ma non nei fatti, poiché le donne hanno sempre trovato astuti escamotage e scappatoie per prendere parte, come nel caso di Isabelle Eberhardt, la quale attraversò il deserto algerino travestita da uomo arabo per aver piena libertà di movimento, oppure Sarah Marquis, che, una volta scappata dal convento nel quale il padre l’aveva rinchiusa, in abiti maschili riuscì ad arrivare in Sud America. Come vediamo, alcune figure femminili, dunque, non si sono arrese a e hanno cercato i pregiudizi e hanno cercato di oltrepassarli.

Rendendo invisibili per secoli il loro vissuto, la letteratura di viaggio cosiddetta “classica” ha creato un vero e proprio angolo morto nel racconto del mondo. I testi femminili non sono diversi quanto a grammatica e struttura […], ma lo sono per quanto riguarda l’esperienza e il vissuto. I loro schemi narrativi sono multipli, e ciò li rende interessanti (p. 64).

Se ci soffermiamo ancora: quante cameriere o tate saranno state presenti durante le traversate o i viaggi in treno? Pochissime di loro, però, come ci racconta Lucie Azema, hanno pensato di scrivere le loro esperienze di viaggio, perché - ed è questo un altro nodo cruciale della questione - anche la letteratura di viaggio è appannaggio maschile. Abbiamo, infatti, rarissime testimonianze di scrittrici che ci raccontano i loro viaggi; tra le più note sicuramente la prima giornalista investigativa, Nellie Bly, che girò intorno al mondo in settantadue giorni (e a cui è stato dedicato un libro di recente). La mancanza di testimonianze dirette è indizio delle limitazioni che la donna ha subito nel corso della Storia: scrivere le proprie impressioni significa, infatti, esprimere se stessa e questo, tante volte, non era concesso.

[…] viaggiare e scrivere dei propri viaggi vuol dire servirsi della propria libertà di movimento, riappropriarsi dei racconti del mondo, e, nello stesso tempo, del proprio racconto (p. 13).

Tale mancanza, inoltre, si tramuta in una lacuna nella letteratura da viaggio; se potessimo oggi consultare quei resoconti, avremmo un punto di vista diverso e utile alla ricerca. L’oscillazione della concezione nei confronti del genere femminile era quella tra «paurosa» o «puttana» (p. 74): troppo debole o troppo sfrontata per viaggiare. Questo binomio ha accompagnato per lungo tempo le donne viaggiatrici, lenendo, ovviamente, la loro reputazione. 

[…] la novellina, l’incompetente che ha paura di tutto e non è capace di niente, e la sgualdrina, una donna di malaffare che mette a repentaglio, la sua virtù ai quattro angoli del globo (p. 74).

Donne in viaggio di Lucie Azema non è solo un elenco superficiale di donne che hanno sfidato le convinzioni sociali, ma, inserendosi pienamente negli studi femministi, aggiunge un tassello importante allo studio delle viaggiatrici, campo che è, ancora oggi, troppo poco approfondito, ma che merita di essere finalmente riscoperto. L'autrice, partendo dall’antichità fino ai nostri giorni, ci conduce in un viaggio fra alcune donne che hanno provato a emanciparsi, portandoci a riflettere sul loro coraggio e, soprattutto, sulle sfide che hanno dovuto affrontare, aiutando anche le donne di oggi a conquistarsi la libertà. Sì, perché la riflessione dell’autrice si allarga fino a raccontarci il viaggio in un’ottica femminista che porta alla luce voci rimaste sommerse fino a oggi.

Giada Marzocchi