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#Pilloledautore - Una domanda che non avrà mai più una risposta: la prosa poetica della fine di una relazione in "Se eravamo nel mondo" di Antonella Vitali

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Antonella vitali se eravamo nel mondo

 
Se eravamo nel mondo
di Antonella Vitali
Le Trame di Circe, febbraio 2022

pp. 144
€ 12,00 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)

 
Immagino le sue dita avvolgere il bicchiere, e le vene della mano gonfiarsi appena per disegnare un fine bordo sulla pelle, come l'orlo sottile lasciato sulla spiaggia dall'onda che si ritira.
Nell'etichetta del vino cerco le lettere del suo nome. Ne manca una. (p. 27)
Capita che gli amori che ci sembrano i più straordinari si rivelino una delusione; la persona a cui abbiamo dedicato tutte le energie e che ci ha così tanto coinvolto si rivela egoista e crudele e ci lascia. O, almeno, questa è l'impressione di chi si ritrova a vivere la parte dell'abbandonato. Da dove si riparte per costruire? Cosa resta di tutte quelle emozioni e come si può gestire il marasma emotivo?
Antonella Vitali in Se eravamo nel mondo si rivolge alla scrittura per raccontare di un doloroso distacco sia fisico, perché la voce narrante si trova in Africa e attende l'arrivo di chi non si paleserà mai, sia emotivo, perché la prosa poetica qui impiegata è il modo per elaborare e lasciar andare tutti i ricordi che lei e l'amato hanno creato insieme. 
Corre su due binari di narrazione. Quello di prosa poetica che racchiude i pensieri e le elaborazioni della voce narrante e quello epistolare: la narratrice si trova infatti in Africa e racconta al suo amato le sue giornate e la spasmodica attesa. Ma in entrambe le sezioni narrative si tratta sempre della storia di una domanda che non avrà mai più risposta.  
Immagino i bagagli poggiati accanto alla finestra e lo sguardo che corre veloce alle vecchie copertine dei libri in ordine diverso, a loro agio nella nuova casa.
Non ci sono pieghe sulle lenzuola. Le federe conservano l'odore del bucato steso fuori, perché lui possa respirare il vento dell'Atlantico che le ha asciugate, una lieve nota di torba delle ciminiere vicine, scansata dalla ginestra spinosa con il suo giallo profumo esotico. (p. 55)
Oggetti che restano vuoti per la mancanza e che si personificano per estrapolare il dolore della donna.
Quella casa racconta le cose che non sono più, un museo del prima, e un presente che è il solito rituale, stesso fuori ad asciugare.
Sento l'abbraccio sincero della porta sul retro, incontro lo sguardo discreto stillare tra ciglia di cotone bianco alle finestre, e denti di tegole rosse sfuggire dal triste sorriso della tettoia. (p. 64)
Le lettere, trasposizione degli appunti dell'autrice durante le sue esperienze come insegnante volontaria in vari stati dell'Africa, piace quasi immaginarle come spedite via posta ordinaria, scritte a mano su fogli di carta sottile: raccontano di questo mondo così lontano  e che ha rapito il cuore della donna e si mescolano curiosità antropologiche e lo struggente desiderio di condividere tutto questo con la persona amata.
Ci si rivolge alla persona più anziana congiungendo le mani e chiedendole "se sta passando un buon mattino, poi la persona risponde con una domanda: "Hai dormito in pace? Come sta la famiglia?. E Bisogna rispondere: "Loro sono qui, sono vivi" oppure: "Loro sono in vita, hanno la forza". Quindi il padrone di casa aggiunge: "Il y a la place" e a seconda della possibilità viene offerta una panca, uno sgabellino, una sedia, o un tappeto dove sedersi. Tra una domanda e l'altra ci può essere un lungo silenzio, dove non accade nulla in apparenza, ma è essenziale perché le parole pronunciate abbiano valore e raggiungano il cuore. (pp. 70-71)
Oggi è caduta la prima pioggia. La chiamano la pioggia dei manghi. Le persone credono che nel bel mezzo della stagione secca, Dio mandi questo miracolo dal cielo per lavare gli alberi dalla polvere del deserto, così che i frutti possano essere mangiati con la Sua benedizione.
Come vorrei poterti offrire un mango appena colto... (p. 123)
In tutte queste offerte senza ricezione e lettere che non avranno mai una risposta, emerge prepotente l'amore per l'Africa della narratrice che non fa mistero di non riuscire ad allontanarsi da quella terra. 
Oh mio caro, se sapessi quello che sto vivendo qui... Ci sono cose che non possono essere raccontate ma voglio condividere tutto quello che il mio cuore saprà dettarmi a parole, e farti partecipe di tutte le travolgenti emozioni che mi fanno apprezzare ancora di più il privilegio di trovarmi in questi luoghi. (p. 89)
Siamo nel cortile di una casa, guarda! Le ragazze che lavano i panni, le maman che preparano da mangiare all'aperto, i bimbi che giocano e si rincorrono, gli uomini che pregano sui loro tappeti, e tutti gli oggetti che fanno parte del loro quotidiano sparsi qua e là, tra capre, polli e asini [...] È un privilegio attingere da questo tesoro e poter scorgere questi frammenti di vita intima e osservarli con rispetto così da vicino, ma sono le persone del luogo che rendono questa terra un posto davvero molto, molto speciale. (p. 110)
Un memoir dove la concretezza dei fatti resta appena accennata, dove i particolari di questo specifico distacco possono diventare i particolari di ogni distacco mai avvenuto, di ogni storia d'amore che mai si sia conclusa. L'impianto grafico è un po' frammentario, quasi disordinato e può creare qualche difficoltà inizialmente nella lettura. Ma, d'altra parte, non c'è ordine nel flusso dei pensieri di chi deve liberarsi dei sentimenti e la via della guarigione non può restare sempre tra i margini.

Giulia Pretta