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La narrazione letteraria, i sentimenti contrastanti: le "Notti di Tokyo" di Mateusz Urbanowicz

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Notti di Tokyo
di Mateusz Urbanowicz
L'Ippocampo edizioni, marzo 2022

Traduzione dal francese di Denis Pitter 

pp. 160
€ 25 (cartaceo)


Notti di Tokyo, il volume illustrato dell’autore polacco e residente a Tokyo Mateusz Urbanowicz, è un lavoro davvero molto interessante, a partire proprio dalle motivazioni e dai sentimenti che ne distinguono il componimento: dopo il bellissimo Le botteghe di Tokyo – di cui, tra l’altro, è in corso a Milano una mostra immersiva davvero imperdibile – Urbanowicz dedica alla città notturna una serie di acquerelli originali, per riflettere sui sentimenti contrastanti che la megalopoli suscita in lui, tra fascinazione e distanza. 
Ispirato da vagabondaggi notturni compiuti prima in solitudine e poi con la moglie giapponese, le trenta tavole conducono il lettore dentro quegli spazi urbani e notturni, tra i vicoli, in mezzo ai palazzi grigi, le luci delle insegne, i ponti deserti, le stazioni dei treni: luoghi ordinari che a un occhio disattento potrebbero apparire insignificanti, ma di cui Urbanowicz pare cogliere l’anima e suggerendo una riflessione sul senso stesso di bello, sull’alienazione e la solitudine suscitata da certi luoghi, il cemento, il grigio. 
Sono proprio gli edifici indefiniti, le innumerevoli insegne e quel particolare colore del cielo notturno […] gli aspetti dei paesaggi urbani che trovo più interessanti e che ho voluto mettere in risalto con questo libro. (p. 124)

Tavola dopo tavola si compone davanti agli occhi una vera e propria narrazione, seppur per immagini, fatta di contrasti: è la storia di un uomo e del suo rapporto complicato con una città, nei suoi percorsi più ordinari, il mistero che racchiude, la tranquillità notturna e la solitudine, il silenzio e il rumore della pioggia. Un testo in un certo senso meno convenzionale ma forse più vero e sentito, capace di andare oltre la fascinazione per un luogo e rivelare le complessità dei sentimenti che questo tipo di realtà può suscitare. La struttura stessa del volume è altrettanto interessante e contribuisce alla costruzione di una narrazione “letteraria”: ognuna delle trenta tavole è prima presentata nella sua interezza, spesso a tutta pagina, poi frammentata e commentata dall’autore nei suoi dettagli più rilevanti, con brevi didascalie che ne rivelano la genesi, alcuni dettagli tecnici, aneddoti ed elementi su cui soffermarsi con attenzione. Una narrazione che si intreccia alla scelta di un punto di vista ad altezza occhi per sentirsi in un certo senso “dentro i luoghi”, un’ottima tecnica per suscitare nel lettore un maggior grado di partecipazione con un’opera di questo genere. 

Una storia, quindi, che si compone per capitoli, legati dal fil rouge della città notturna e del complesso di sentimenti spesso contrastanti suscitati dalla città: ci sono tavole dedicate alla metropoli e i suoi edifici, altre ai luoghi più strani e particolari, ponti e treni, la città sotto la pioggia e infine i vicoli, in una sequenza narrativa organica e stratificata. Le tavole dedicate allo spazio urbano colto durante la pioggia sono probabilmente le più suggestive e tecnicamente complesse, nelle quali l’idea di una “narrazione letteraria” come si diceva poc’anzi appare anche più evidente; la pioggia modifica radicalmente l'aspetto del luogo e la tavola si anima non solo di colori nuovi - le luci artificiali che colpiscono le gocce d’acqua e le pozzanghere – ma coinvolge anche gli altri sensi, creando l’illusione di riuscire a percepire perfino i suoni e gli odori creati dalla pioggia. 


È questa stratificazione e complessità a rendere l’opera di Urbanowicz particolarmente interessante, al di là dell’immediata bellezza delle tavole; una stratificazione che si rivela anche nel capitolo finale in cui è ancora la voce dell’autore a guidarci dentro le tavole, spiegandone nel dettaglio i preparativi e le influenze, la tecnica, le difficoltà, la scelta dei materiali, la composizione stessa del libro. E, ancora, in dialogo con il regista Makoto Shinkai – del cui team artistico dello studio di animazione CoMix Wave Films Urbanowicz era stato membro – leggiamo di quel misto di fascinazione e distanza alle origini di queste vedute della città, l’amore e odio per l’architettura contemporanea, il senso di solitudine, una certa idea di bellezza e armonia. Lo scambio fra Urbanowicz e Shinkai apre a ulteriori riflessioni e spunti, a partire dal concetto di bellezza, ricordi e aneddoti personali, riflessioni su mezzi espressivi – la pittura e l’animazione, la scrittura e la regia – non così distanti fra loro.

Un volume prezioso, che come Le botteghe di Tokyo ci conduce su itinerari artistici poco convenzionali e in questo caso dal fascino meno immediato ma forse più profondo e complesso. È la narrazione di un rapporto multiforme con la città di oggi, che affascina e respinge, privo di quella vena nostalgica dell’opera precedente e che in qualche modo allena i nostri occhi a uno sguardo diverso sulla realtà che ci circonda; uno sguardo critico, anche, capace di accogliere le contraddizioni, la bellezza, il particolare. 
In tutta onestà, mentre lavoravo alle illustrazioni di questo libro, stavo anche cercando di trovare una risposta a un dilemma che mi si poneva da un po’: «Posso davvero dire che la città di Tokyo è bella? […] È davvero un posto adatto per viverci? Penso che realizzare questo libro sia stata un’opportunità per me di esplorare e venire a patti con questo mio conflitto interiore». (p. 130)


Di Debora Lambruschini