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Il tentativo di rivivere un amore perduto: «L'invenzione di noi due», di Matteo Bussola

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L’invenzione di noi due
di Matteo Bussola
Torino, Einaudi, 2020

pp. 216
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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«a chi si ama e non ricorda il perché»

Inizia con questa frase, posta in apertura del libro, il libro di Matteo Bussola, L’invenzione di noi due, un romanzo intenso, delicato e coinvolgente, capace di cogliere appieno il tramonto di un amore e il tentativo di tenerne insieme i pezzi.

La splendida copertina, opera di Giulia Rosa, un’artista molto nota nel mondo dell’illustrazione, rappresenta, in maniera delicata e toccante, il tema centrale del romanzo: due figure sono poste una accanto all’altra e, dandosi le spalle reciprocamente, si sporgono ognuna verso l’ombra dell’altra persona. Un tentativo di catturare il passato, di riprendere un filo che pare ormai spezzato, di conoscere la persona che ognuno dei due è diventata oggi, oppure di rincontrare quella di cui ci eravamo innamorati e che ormai non è più la stessa.

«Pare che la bellezza di una perla sia la risposta organica a un dolore. La perla cresce attorno alla ferita che un singolo granello di sabbia, penetrando nella conchiglia, provoca all’ostrica. È la risposta a un elemento imprevisto che riesce ad attraversare le sue difese. L’amore non è diverso: è la reazione a qualcuno che è riuscito a superare tutti i nostri muri. La risposta accogliente a una potenziale minaccia che ha valicato il confine.» (p. 9)

Milo Visentini ha quarantasette anni e lavora come cuoco presso l’osteria gestita assieme al suo amico Carlo; è sposato con Nadia, conosciuta sui banchi di scuola, anzi, per essere precisi su un banco di scuola: la storia tra i due comincia, infatti, con una corrispondenza alquanto particolare, poiché Milo e Nadia appartengono a due classi diverse che condividono – per motivi di spazi – alternativamente la stessa aula; così, all’inizio per divertimento e poi sempre più seriamente, i due iniziano un gioco in cui si scambiano messaggi scritti a mano sulla superficie del banco su cui i due si alternano. Questo intreccio prosegue fino all’ultimo giorno di scuola, dopo il quale i due perdono ogni contatto. Seguiamo la vita di Milo, che continua gli studi e prosegue la sua vita, trasferendosi a Venezia e incontrando altre ragazze di nome Nadia, le quali però non corrispondono a quella figura che si è formata nella sua testa, come un sogno interrotto. Un nome, un suono, che Milo incontra più volte nella vita, quasi come se l’universo stesso stesse cercando di ricondurlo sulla strada d’origine. Fino a quando egli non incontra proprio la Nadia della quinta C, quella che scriveva sul banco. Il loro è un amore immediato e profondo, intenso e impetuoso, che Milo racconta oggi, con nostalgia e amarezza, dal suo punto di vista, quello di un uomo ancora innamorato della moglie, pur capace di accettare – seppur con sofferenza – il suo progressivo distacco.

«Ma se alcuni amori fossero una forma di necessità? La nostra storia era nata così: due poli che si erano attratti, inesorabili. Una necessità elettromagnetica che era riuscita ad attraversare il tempo. All’inizio ci eravamo sentiti quasi dei predestinati, la marea che vedevamo sommergere gli altri non avrebbe mai dovuto raggiungerci. E poi, lentamente, ci raggiunse.» (p. 37)

Se in un primo tempo, infatti, l’amore e la passione tra i due sembrava appianare ogni screzio, procedendo nel tempo il rapporto tra i due comincia a mutare, piegando lentamente e inesorabilmente verso una lenta e apatica sopportazione.

Quello che colpisce è la voce di Milo: assieme ad una tristezza sofferta per ciò che era e non è più, traspare candidamente, dal suo racconto, anche un romanticismo innocente e delicato, un sentimento profondo, simile alla nostalgia che si prova al termine di un bel sogno. L’amore profondo che prova per Nadia si riflette anche nell’intimo dispiacere che egli prova per la stessa donna e per il paradosso in cui entrambi si sono trovati: tenendo fede alla promessa che si erano fatti anni prima si stanno in realtà condannando ad un’infelicità perpetua.

«Nadia ora non mi amava più, ma sapevo che non mi avrebbe lasciato mai. Questo la stava condannando a un’esistenza di profonda infelicità» (p. 9)

L’autore riesce con naturale semplicità a raccontare l’amore tra Milo e Nadia, due persone molto diverse, le quali si trovano, dopo pochi anni, schiacciate dalle reciproche differenze. Cosa fare, quindi, quando l’amore sembra non bastare più? Tutto cambia quando il nostro protagonista decide di compiere un ultimo tentativo per smuovere le cose: e se Nadia dovesse spiegare a qualcun altro la loro situazione? E se potesse sentirsi nuovamente desiderata e amata cosa accadrebbe? Ma soprattutto, se questo qualcun altro e lo stesso Milo sono due figure che si sovrappongono fino a confondersi – per motivi che lasciamo alla vostra lettura – cosa può accadere nelle loro vite?

Il modo di raccontare di Matteo Bussola è davvero particolare: una narrazione semplice, senza fronzoli o cesellature barocche, ma non per questo banale; capace di definire con esattezza i sentimenti (un’impresa non da poco) di tutti i giorni, facendoci sentire i personaggi molto vicini. Una voce, quindi, intima e piana, che concorre alla costruzione di un libro che, una volta finito, resta uno di quelli da custodire con cura, da consigliare e regalare perché consapevoli che si tratta di un’opera non solo capace di regalare un’emozione profonda ma anche in grado di dare un messaggio forte, una lezione d’amore e di affetto.

Valentina Zinnà