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Mettersi nei panni del “diverso”: il racconto crudo e schietto di J. H. Griffin in “Nero come me”

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Nero come me
di John Howard Griffin
Fandango editore, novembre 2021

1^ edizione: Black Like Me, 1960
Traduzione di Pietro Cecioni

pp. 237
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9.99 (ebook)

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Tutti noi sappiamo cosa è il razzismo, quali implicazioni porta, ma sappiamo veramente com’è stare dall’altra parte? Dalla parte di chi è disprezzato, deriso per il colore della pelle, per la religione, per un modo di vivere diverso. Ci mettiamo mai nei panni dell’altro? Proviamo a immaginare cosa prova quando è offeso, discriminato e mortificato?

Tutto questo lo spiega benissimo John Howard Griffin in Nero come me.

In un’America divisa in due, il giornalista bianco, J. H. Griffin, decide di colorarsi la pelle di nero per approfondire la condizione degli afroamericani che negli Stati Uniti del Sud erano ancora vessati, nonostante l’abolizione della schiavitù fosse accaduta molti anni addietro. Così decide di recarsi dal medico per trovare un modo per “scurirsi”. Attraverso alcune pillole usate per la vitiligine, dunque in grado di sviluppare la melatonina, e qualche accorgimento strategico riesce nel suo scopo.

Inizia così il suo viaggio “verso l’oblio” (p. 53).

 

 La sua prima tappa è New Orleans (Louisiana) nel quale Griffin arriva in cerca di lavoro e di una sistemazione, i primi giorni nella capitale della Louisiana sono di disorientamento, quello che fino a ieri era concesso adesso non lo è più: non può più utilizzare il bagno, ma deve cercare quello per i colored (i colorati, termine usato all’epoca per indicare gli afroamericani), non può comprare in qualsiasi negozio ma deve trovare quello che accetta denaro dai neri. Dunque, la confusione è totale fin quando non conosce un lustrascarpe che diventerà la sua guida e la sua salvezza a New Orleans.

 

Durante i primi giorni in Louisiana inizia a comprendere quanto le sue idee fossero lontano dalla realtà, e quanto questa molte volte sia distorta o cambiata. Siamo intorno agli anni Sessanta, quando inizia il viaggio di Griffin, la schiavitù è abolita, ma la segregazione razziale è sempre lì, soprattutto negli stati che visiterà Griffin.

Nonostante la Louisiana faccia parte di questi stati, la situazione non è tesa come in altri: New Orleans alla fine è un crocevia di culture e etnie e questo, secondo gli occhi di Griffin, rende tutto meno rigido e opprimente, sebbene gli afroamericani siano isolati e ghettizzati dal resto della società. Le risposte gentile che riceve, lo sono solo in apparenza, ma non nei fatti. La tensione c’è ma è nascosta:  

La prima, vaga impressione, che non sarebbe stato poi così difficile quanto pensassi l’ebbi dalla cortesia che i bianchi dimostravano versi i neri di New Orleans. Ma erano solo persone superficiali. Non sarebbero bastate a coprire l’enorme dispetto: il nero non è trattato come un cittadino di seconda classe, ma di decima. La vita di tutti i giorni gli ricorda il suo status inferiore. Non si abitua a queste cose: i gentili rifiuti quando cerca un lavoro migliore; l’essere chiamato negro, coon, jijaboo; il dover cercare un bagno o un ristorante che servano la sua razza. Ognuna di queste cose colpisce a fondo. (p. 63).

Sicuramente la situazione è ben più seria alla sua seconda tappa, Mississippi. Arriva così a Hattiesburg, nella quale si sono verificati anche scontri e uccisioni, in particolare negli ultimi giorni si è verificato un linciaggio nei confronti di un uomo di colore, il quale ha gettato nella paura la comunità afroamericana della città. Griffin, così, decide di vedere con i propri occhi la loro condizione in questo stato. Il senso di alienazione per essere dall’altra parte è talmente forte che deve trovare rifugio presso un suo amico giornalista così da avere un po’ di tregua e per cercare di sostenere la pesantezza della situazione.


È come vagare tra due mondi, quello dei bianchi e quello dei neri, perché in quel momento c’erano due mondi. Rincuorato dall’amico, riprende così il suo esperimento e dopo il Mississippi, si reca in Alabama, nel quale trova alloggio presso alcune famiglie che li dimostreranno tutto l’affetto che gli era mancato.

E come c’è un mondo diviso, due sentimenti si contrappongono: da una parte l’odio razziale e la rabbia di chi lo subisce, dall’altra la solidarietà e l’altruismo d’intere famiglie o concittadini:

Conclusi che, come sempre, l’atmosfera di un luogo è completamente diversa per i neri e per i bianchi. I neri vedono e reagiscono diversamente non perché sono neri, ma perché sono oppressi. La paura offusca persino la luce del sole. (p. 127)

Un diario, un esperimento, un viaggio che ti mette davanti a una Storia sempre troppo poco raccontata. Nonostante la prima edizione risalga al 1960, è una storia quanto mai attuale. Con parole semplici e un linguaggio lineare, è un viaggio nel profondo Sud degli Stati Uniti.

In un momento in cui Martin Luther King iniziava la sua pacifica rivolta civile per i diritti degli afroamericani, Griffin intraprendeva il suo viaggio. In concomitanza, ma distanti l’uno dall’altro, hanno piantato i primi semi per cambiare questa situazione.

 

Da una parte Martin Luther King, il predicatore, che ha trovato il coraggio di riunire la comunità dei neri e alzare la voce, dall’altra J. Howard Griffin, che da uomo bianco negli anni Sessanta, ha trovato il coraggio di vivere da nero, quando non era facile farlo.

È un documento straordinario perché a distanza di sessant’anni ti costringe ad aprire gli occhi e guardare dall’altra parte, dalla parte di quelli discriminati, e chiederti se ci fossi io in quella parte di persone? Oggi come allora il racconto schietto e crudo di Griffin è una testimonianza imprescindibile.  


Giada Marzocchi