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"Guida alla notte per principianti": gli animali notturni di Mary Robison

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Guida alla notte per principianti
di Mary Robison
Racconti, 2021

Traduzione di Sara Reggiani

pp. 160
€ 16 (cartaceo) 
€ 5,99 (ebook)





Girata l’ultima pagina di Guida alla notte per principianti, la raccolta di Mary Robison di recente pubblicata da Racconti nella puntuale traduzione di Sara Reggiani, la primissima cosa che ho pensato è quanto questo libro sia l’ideale per parlare di racconti, fra teoria e pratica di scrittura. Mary Robison in Italia non è – ancora – autrice particolarmente nota e della sua produzione letteraria piuttosto vasta e variegata hanno trovato spazio soltanto questa e un’altra raccolta di racconti, edita da Minimum Fax nel 2004; ora, nulla è più rischioso per chi fa il mio mestiere di azzardare pronostici sulla fortuna o meno di un certo autore o di dare giudizi assoluti, ma una cosa in questo caso credo si possa dire senza correre troppi rischi di venir smentiti ed è appunto la valenza di queste tredici storie per orientarsi nel mondo della scrittura e della teoria sulla forma breve. 
Non a caso Rossella Milone, che firma un’interessante postfazione alla raccolta, cita più volte Cortázar, che della teoria del racconto ha costruito la struttura fondamentale con cui ancora ci orientiamo. È stato appunto l’autore argentino ad accostare per la prima volta il racconto alla fotografia per la capacità in entrambe le forme di cogliere un frammento della vita, un particolare messo a fuoco, lasciando fuori tutto il resto.

Fotografie sono in questo senso i tredici racconti di Robison, pubblicati per la prima volta nel 1984, che si concentrano su un dettaglio, un momento preciso nel quotidiano scorrere del tempo dei personaggi rivelando tutta la natura frammentaria della forma breve. Racconti che si aprono in media res, nel cuore della vicenda se di vicenda possiamo in questo caso parlare e di cui poco o nulla sapremo di quanto c’è stato prima; similmente a quanto accadrà con i finali, caratterizzati da un certo grado di indefinitezza, una sorta di interruzione improvvisa che ci lascia talvolta disorientati. Perché ciò che conta è solo lì, in quei frammenti di vita raccontati di cui Robison mostra l’increspatura
Sono storie intime, domestiche, da cui traspare un senso profondo di solitudine e isolamento, un quotidiano smosso, si diceva, da quell’increspatura e dalla tensione che ne deriva. 

I rapporti, le relazioni, sono mostrati nel loro svolgersi consueto, nel ritmo cadenzato della quotidianità appunto, ma di cui si intravede a un certo punto e sempre più evidente la crepa sulla facciata: le mancanze, le frustrazioni, le distanze. Sono mariti e mogli, genitori e figli, fratelli, madri, su cui la lente del racconto mette a fuoco un dettaglio in un’inquadratura assolutamente ravvicinata sfocando tutto il resto, che non conta. 
Il racconto che dà il titolo alla raccolta è forse il più esemplare, tanto del volume quanto della scrittura di Robison, la fotografia di una giovane madre e una figlia adolescente: si fingono sorelle, escono in quattro con i ragazzi, vivono praticamente isolate nella casa del nonno, solo loro tre dopo che il padre da tempo se n’è andato. 
Ci prendevano per sorelle. E noi ci marciavamo. Io dimostravo più dei miei diciassette anni, lei meno dei suoi trentacinque. Uscivamo sempre a quattro, non solo con quei due. Ne frequentavamo di tutti i tipi. Mai a lungo, però. (“Guida alla notte per principianti”, p. 22)
Percepiamo subito una nota stonata in questo strano quadretto famigliare di cui comunque Robison non svela mai più di quanto occorre ai fini della narrazione e ciò che resta fuori dai margini della fotografia tentiamo di colmarlo noi lettori. Come si sono invertite le parti della figlia che si prende cura della madre, l’adolescente che guarda le stelle con il suo telescopio ma non sa immaginare di andarsene lontano da lì? E noi quel telescopio lo puntiamo dentro casa, per osservare attentamente le pieghe sui vestiti, le tazze di caffè che si accumulano in cucina, i brevi lampi che squarciano la pagina.
La sua bellezza stava svanendo, riflettevo. I capelli castani erano sbiaditi, e da quando si era licenziata si cambiava solo una volta ogni tanto. Avevo intenzione di stirarle qualcosa, fosse mai che poi decidesse di metterselo. (“Guida alla notte per principianti”, p. 28)
In un’altra storia una donna che madre lo sta per diventare e vive la gravidanza chiusa al riparo dentro casa, lo spazio ingombro di cose, niente di organizzato per la nascita e la vita che sarà, indifferente a tutto. Per un istante la immaginiamo giovanissima e sola alla prese con una nuova schiacciante responsabilità, nel tentativo di comprendere e chiudere in una scatola precisa, etichettare, l’immagine di una donna che sarà madre e non corrisponde allo stereotipo che abbiamo in testa. 
Seguiamo ancora una volta le crepe sulla parete, i movimenti minimi della donna e tutto ciò che intanto le si anima intorno: il fratello, mandato a tentare di sistemare la casa e la vita della donna per distrarsi dall’arresto della propria; il padre del bambino, inaffidabile, evanescente come un fantasma; la vicina di casa, che ogni giorno si è presa cura della donna con pasti caldi. Osserviamo, dall’interno della palazzina Augusta, ma arrivati a questo punto dei racconti è chiaro che l’isolamento e la solitudine che i personaggi di Robison si portano dentro è il risultato di un conflitto intimo e schiacciante di cui non vedremo la risoluzione, non almeno nel senso tradizionale.
Dal mio letto intravedevo un angolo della chiesa attraverso una finestra laterale. Mi appariva nera e minacciosa, ma intrisa di significato. Decisi che non me ne sarei andata dall’Augusta. Per un po’ forse Phil sarebbe tornato a trovarmi. Forse Jackie sarebbe rimasto. Sarebbe passata Mrs Dixon, e presto o tardi avremmo chiacchierato piacevolmente, o mangiato un boccone insieme. Oppure no. Se non era lei sarebbe stata un’altra Mrs Dixon. Un altro Phil. (“Sveglia”, 101)
Le crepe sulla facciata, però, quelle sì che sono evidenti. Come i silenzi o, per contro, le parole che non riescono a farsi udire, a sovrastare il rumore di un aspirapolvere e accorciare una distanza fra marito e moglie. Robison scatta con precisione scene di un quotidiano che ha la malinconia e il senso di struggente solitudine di un dipinto di Hopper, ma che prendono vita mediante dialoghi serrati, fulminanti, immediati

Storie cesellate con estrema cura e rispetto per la parola, lo stesso che traspare dall’attento lavoro di traduzione di Reggiani capace di restituire appieno la prosa scarna, gli spazi bianchi della narrazione che sono valsi a Robison l’odiata etichetta di scrittura minimalista in riferimento a una tradizione letteraria cui è stata spesso accostata dalla critica statunitense ma che le sta stretta. La usiamo per tentare di orientarci, come del resto ogni altra etichetta letteraria, ma cercando di non farci limitare e poter cogliere le innumerevoli sfumature dei racconti che abbiamo di fronte. Perle rare, di notevole valore.