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Le città (e gli) invisibili. "Tokyo - Stazione Ueno", di Yu Miri

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Tokyo - Stazione Ueno 
di Yu Miri
21lettere, maggio 2021
 
pp. 176
€ 16 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


 

 

Credevo che la vita fosse come un libro, dove una volta sfogliata la prima pagina c'è la successiva, e sfogliando una a una tutte le altre dopo un po' si arriva all'ultima. Invece la vita è completamente diversa dal racconto che trovi dentro a un libro. Anche se le parole sono messe una accanto all'altra e le pagine sono numerate, manca la trama. Anche se c'è una fine, non finisce.
È un tempo non lineare quello di Tokyo – Stazione Ueno, scritto dall'autrice di origini sudcoreane Yu Miri e appena uscito, nella traduzione di Daniela Guarino, per 21 lettere, raccontato da un uomo la cui storia è la storia di tanti, in un Giappone contemporaneo ma saldamente ancorato all'antichità nella quale affondano le radici di fortissime disuguaglianze e ingiustizie sociali.

Il parco imperiale di Ueno, accanto alla stazione che da esso prende il nome, snodo fondamentale per i viaggi nel nord del Giappone, a Tokyo, è divenuto via via dimora di un gran numero di senzatetto: gente che vive regolarmente vite scadute, frugando nella spazzatura e costruendo giorno dopo giorno una quotidianità che può essere spazzata via da un momento all'altro.
Per esempio nei giorni che gli abitanti chiamano "Cacciata dalla montagna", quando qualche membro della famiglia imperiale si trova in visita e le loro tende e tutto quanto contengono vengono sgomberate. 
La delicata bellezza del parco, specialmente nel momento della fioritura dei ciliegi, stride con la condizione di questi invisibili, e i frammenti di racconti di vita di chi si trova a passare si mescolano alla narrazione delle esistenze del protagonista e dei suoi vicini. 
Alternando leggende, vissuto personale e collettivo, tassello dopo tassello il nostro narratore, il vecchio Kazu, ci porta a conoscenza della sua famiglia, e di una lunga catena di miseria, fatica, lutti, soldi che mancano e tradizioni da rispettare. 
Paradigmatica perché simile a quella di molti che, in un Giappone lanciato come un treno in corsa, sono rimasti indietro, schiacciati dal peso della Storia, che - sembra dirci Yu Miri - quando viene raccontata è già propaganda, a meno che qualcuno non si prenda la briga, come in questo caso, di recuperare le esistenze minori, le piccole testimonianze di chi non ce l'ha fatta. 

Dalla voce del protagonista filtra un senso di accettazione passiva, di triste rinuncia al diritto di ciascuno a una vita dignitosa, ed è forse questo l'elemento più toccante del libro. 
I ricordi e i racconti popolari di antichi conquistatori si contrappongono ai falsi miti di progresso - la corsa alla ricostruzione della città che attira forza lavoro in vista delle Olimpiadi, nel 1964 come nel 2020 - basati unicamente sullo sfruttamento economico: aumenta il divario fra i pochissimi ricchi, al cui vertice ovviamente troviamo la famiglia imperiale, e i molti che si vanno impoverendo, fino a diventare veri e propri senzatetto. 
Questo libro, ha dichiarato la scrittrice al momento del ritiro del National Book Award per la miglior opera straniera, nasce da decine di interviste agli abitanti del parco di Ueno e dalla sua storia personale di immigrata sudcoreana in Giappone; dalla sua volontà di non voltare lo sguardo dall'altra parte ma anzi di guardare negli occhi il dolore degli altri e provare a testimoniarlo. 

Giulia Marziali