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"Klara e il Sole": la meccanica dei sentimenti e dell'umano nell'ultimo, intenso romanzo del premio Nobel Ishiguro

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Klara e il Sole
di Kazuo Ishiguro
Einaudi, 2021

Traduzione di Susanna Basso

pp. 280    
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 





Il ritorno alla narrativa di Kazuo Ishiguro a quattro anni dal Premio Nobel è un romanzo destinato a inserirsi tra i titoli più riusciti della sua carriera letteraria, complesso, denso di spunti e interrogativi; un’opera che trascende i generi, difficile da etichettare e che richiede fin dalle prime battute un tacito accordo fra lettore e narratore, un patto fra noi e Klara, la voce narrante e punto di visto sulla storia, un’intelligenza artificiale dalle sembianze umane. Con uno stile piano, lineare, Ishiguro intreccia una narrazione dal ritmo vivace, tesa fra i nodi cruciali della storia che mano a mano si svelano, pur lasciando moltissimi interrogativi e spunti nelle mani del lettore. La semplicità della narrazione, resa dall’abile traduzione di Susanna Basso, è costruita con estrema cura, per adattarsi alla voce di Klara e dare in qualche modo ancora più rilievo alle grandi domande che si intrecciano alla storia, alla profondità delle tematiche, alla complessità dei sentimenti indagati. 

Se c’è un fil rouge nella produzione letteraria di Ishiguro è senza dubbio la scelta precisa di un narratore “altro”, l’unico adatto a raccontare proprio quella storia: è quella sola voce capace di creare la narrazione tutta nei romanzi di Ishiguro, che ne inventa il mondo, ne mette a nudo le dinamiche, le contraddizioni, le complessità. È, per esempio, la ragazza-clone, è Mr Stevens, è il vecchio artista del mondo fluttuante a fare la narrazione. E Ishiguro, ogni volta, riesce a calarsi dentro queste voci narranti, anche quando così distanti da sé: ma quello che fa con Klara e il Sole è anche in questo senso una prova davvero eccellente, ardua, eppure l’unica scelta possibile: Klara è un AA, un amico artificiale, una macchina dalle sembianze umane e dalle capacità straordinarie. In un futuro prossimo non troppo caratterizzato, queste macchine sono costruite con il solo scopo di combattere la solitudine degli adolescenti, proteggerli, aiutarli in ogni modo possibile. Un amico speciale, che gli accompagni verso l’eta adulta. 

Quel poco che osserviamo del mondo in cui la storia è ambientata non è un futuro distopico, ma una realtà ancora ben riconoscibile come la nostra, tranne che per alcuni elementi che, tuttavia, appaiono problematici. I ragazzi sembrano aver perso la capacità di interagire tra loro e la solitudine profonda di cui soffrono – uno dei temi più importanti del romanzo – è alleviata dagli AA, macchine praticamente perfette e devote alla persona che le sceglie. Ancora più allarmante – e forse proprio perché come il resto rimane soltanto accennato – è il trattamento cui i ragazzi vengono sottoposti, un “potenziamento” delle loro capacità che nella maggior parte dei casi serve ad avere accesso a istruzione e ruoli professionali di alto profilo, ad avere successo insomma. Non tutte le famiglie scelgono di potenziare i propri figli e non tutte le procedure si svolgono senza danni: i rischi sono notevoli e hanno colpito direttamente anche la famiglia di Josie, l’umana che sceglie Klara come AA.
Il mondo esterno, che come ogni altro particolare osserviamo attraverso lo sguardo di Klara, è molto simile alla realtà contemporanea, ma anche in questo caso non mancano dettagli allarmanti: l’inquinamento è aumentato, lo sviluppo tecnologico ha portato numerosi cambiamenti anche positivi ma, come inevitabile, ci sono state conseguenze che riguardano la sfera sociale ed economica e che in qualche caso hanno provocato tensioni e il sorgere di piccole comunità in conflitto, che appaiono come bombe a orologeria sul punto di esplodere alla prima occasione di contrasto, con l’esterno certo, ma anche fra gruppi diversi. Di questo mondo conosciamo quel poco che si mostra a Klara, ma nella semplicità delle sue parole avvertiamo la complessità del sistema e appare evidente, pagina dopo pagina, quanto profonde siano le implicazioni di ogni minima osservazione, quanto problematiche e complesse siano – in perfetto contrasto con la linearità e unicità della narrazione – le tematiche con cui Ishiguro ci spinge a confrontarci. 

Al centro, la domanda più complicata di tutte, il centro nevralgico stesso della narrazione: che cosa rende unico l’essere umano? Che cosa, da ultimo, ci rende umani?
«Tu credi al cuore umano? […] Tu credi che esista? Qualcosa che rende ciascuno di noi unico e straordinario?» Padre (p. 191)
Niente di più semplice, niente di più complesso. Klara è un AA diverso dagli altri, un modello meno recente e quindi tecnologicamente meno all’avanguardia, ma dalla peculiare capacità di osservazione e riflessione su tematiche tanto complesse quanto, nel suo caso, dai risvolti concreti, per sé e per la famiglia che l’ha scelta. Josie, la sua umana, è una ragazzina fragile, dalla salute compromessa da un male misterioso, vive con la Madre e Domestica Melania in una villa immersa nel verde lontano dalla città; ha, come tutti, difficoltà a relazionarsi con gli altri, soffre per la solitudine – ed è per questo che ha scelto Klara. Nella casa accanto, dimessa e disordinata, vive Rick, anche lui rimasto solo con la madre, emarginata per la sua stravaganza e, probabilmente, per la scelta di non potenziare il figlio. Josie e Rick sono amici fin dall’infanzia, un legame che sembra resistere alla mutevolezza dell’adolescenza, ai malumori, alla malattia stessa di Josie e all’arrivo di Klara, che il ragazzo accoglie con una certa diffidenza. 
Klara osserva ogni cosa, cercando di assimilare tutto per comprendere gli umani: non è, infatti, la conoscenza del mondo l’interesse principale della AA, ma l’essere umano, le sue caratteristiche peculiari, le relazioni e i rapporti che intreccia, in sostanza il suo cuore. Esattamente quello che, almeno teoricamente, manca a Klara, quella mancanza che fa di lei una macchina e la distingue da loro. Ma è ben presto chiaro che Klara non è il tipo di macchina che ci si aspetterebbe, la sua capacità di osservare si intreccia al sentimento, qualcosa che è tipicamente umano. Non è semplicemente intelligente, una macchina perfetta, bensì dimostra di possedere mano a mano che la storia si complica ed evolve una capacità di empatia e di scelta che vanno oltre il ruolo di AA.

La vicenda costruita da Ishiguro è costruita con tensione narrativa costante e sono molti gli snodi interessanti della trama che lasciamo al lettore il piacere di scoprire; ma quello che soprattutto colpisce è la stratificazione di Klara e il Sole, che porta il lettore a interrogarsi su questioni chiave, a partire dalle domande di cui sopra sulla natura umana, di cui nel finale si riveleranno molte implicazioni pur senza voler fornire una netta soluzione di tutti gli enigmi sparsi lungo la storia. Senza rischiare di svelare troppo, c’è un punto su questo che bene delinea il contesto entro cui la narrazione si sviluppa: nell’interrogarsi su che cosa ci rende umani, che cosa ci sia di tanto unico e speciale dentro di noi, alcuni personaggi compiono una virata improvvisa, considerando l’opzione che in realtà non ci sia nulla di davvero unico e imperscrutabile, che ci distingua in quel senso dalle intelligenze artificiali.
«Siamo due sentimentali. E più forte di noi. La nostra generazione si trascina appresso sentimenti del passato. Una parte di noi si rifiuta di lasciarli andare. La parte che si ostina a voler credere che ci sia qualcosa di inaccessibile dentro ognuno di noi. Qualcosa di unico e non trasferibile. Ma non esiste niente di simile, e ora lo sappiamo» (p. 184)
Una posizione estrema, certo, ma centrale per gli sviluppi della storia. Se da un lato, si diceva, il fil rouge che lega la produzione letteraria di Ishiguro può essere individuato nella scelta di un narratore molto particolare, fino al caso esemplare di Klara, e capace da solo di dare vita alla narrazione stessa, un altro elemento ricorrente è la sensibilità dell’autore nei confronti di quella che potremmo definire “meccanica dei sentimenti e dell’umano”: lo sguardo di Ishiguro si posa su quei meccanismi che costituiscono la parte più intima e complessa dell’uomo e che, in sintesi, ne definiscono la sua stessa essenza.
Non è quindi o non soltanto analisi dei sentimenti e delle relazioni personali fra esseri umani, dei rapporti e dei legami che ci legano agli altri, complicati dalla situazione o dall’appartenenza o meno a un certo gruppo sociale e umano perfino; è questo ma è soprattutto l’interesse mai esaurito verso un mistero che tale resta e di cui di volta in volta l’autore ci mette di fronte tutto il potenziale, le implicazioni, formulando interrogativi che potremmo definire esistenziali se la parola nel tempo non avesse perso un po’ del suo carico. E chi meglio di Klara, un’intelligenza artificiale, con la sua innocente ignoranza dell’essere umano può ragionare in modo così semplice e diretto su questioni tanto complesse e astratte, dalle molteplici implicazioni?

La sensazione, alla fine della lettura, è che Ishiguro non ci mostri una deriva possibile del nostro mondo ma che, raccontando un futuro prossimo in cui la tecnologia ha compiuto un eccezionale balzo in avanti, sia il solo modo di riportare il discorso verso qualcosa di arcaico ed essenziale, ma che ancora non smette di affascinarci. C’è poi, alla fine, quando il quadro si è in qualche modo delineato e l’enigma risolto, uno struggimento a cui è impossibile restare indifferenti ma che ha anche toccato inattese corde personali a partire da ciò che in ultima analisi per Klara è la risposta alla domanda intorno a cui ruota la storia.
C’era invece qualcosa di molto speciale, ma non era dentro Josie. Era dentro quelli che l’amavano. (p. 268, finale)
È una risposta molto semplice e, allo stesso tempo, molto complessa, ma attraverso la quale leggere non soltanto il cuore umano ma anche i nostri rapporti con gli altri e, da ultimo, con la morte. Perché forse è lì, grazie alla nostra umanità e a ciò che di noi resta negli altri, che possiamo trovare grazia e consolazione.